Cosenza, la 5^ retrocessione dalla B alla C chiude il cerchio di 75 anni di storia rossoblù

La storia di ogni società di calcio è fatta di promozioni e retrocessioni, un po’ come la vita. E ogni società ha costruito le sue fortune e la sua credibilità proprio attraverso gli inevitabili alti e bassi di storie spesso ultracentenarie come quella del Cosenza Calcio.

Quella di ieri è stata la quinta retrocessione dei Lupi dalla Serie B alla Serie C e chiude un cerchio che comincia dall’immediato dopoguerra – campionato di Serie C 1945-46 -, prima storica promozione del Cosenza in Serie B, allenato da Renato Vignolini e guidato dal presidente Mario Morelli. Due i campionati in cadetteria, dal 1946 al 1948: una salvezza sofferta con al timone il campione del mondo italo-argentino Attilio Demaria nel ruolo di allenatore e calciatore e una retrocessione per riforma dei campionati nonostante la squadra si fosse classificata al decimo posto (sarebbero entrate solo le prime sette). 

Nonostante la voglia di riscatto del presidente Morelli (il figlio Vincenzo sarebbe stato poi il primo presidente del Cosenza Calcio 1914 SpA), sono passati altri tredici lunghi anni – e uno sfortunatissimo e chiacchierato spareggio perso col Messina – prima che i Lupi riassaporassero la gioia della Serie B, nel campionato 1960-61. Alla guida della società c’era Biagio Lecce ma ci sarebbe stato senza alcun dubbio Salvatore Perugini, artefice della rinascita del Cosenza alla fine degli anni Cinquanta, se un maledetto incidente non gli avesse fatto perdere la vita prematuramente solo due anni prima. Era il Cosenza del tridente delle meraviglie formato da Rizzo, Lenzi e Gallo, una vera e propria macchina da gol ma anche di campioni come Ardit, Della Pietra, Delfino, Orlando e Joan solo per citarne alcuni. Una promozione festeggiata a lungo e tre campionati di Serie B con una salvezza difficile al primo anno, favorita da un provvidenziale illecito sportivo del Novara e un’altra tranquilla e piena di soddisfazioni, conquistata grazie al fattore campo del vecchio stadio Emilio Morrone di via Roma (demolito poi negli anni ’80 da un politico che somiglia ancora oggi come ieri a un cinghiale), vero fortino dei colori rossoblù. Poi la retrocessione nel 1963-64, un torneo nato subito sotto una cattiva stella e con la squadra sempre relegata nei bassifondi della classifica nonostante cambi di allenatore e il mercato di riparazione. Una retrocessione resa ancora più amara dalla conclusione dei lavori del nuovo “stadio dei ventimila” ovvero lo stadio San Vito, che era stato allestito proprio perché il Cosenza era tornato in Serie B all’alba degli anni ’60.

Da allora sono dovuti trascorrere altri 24 lunghi anni prima del terzo ritorno in Serie B (“Mai più prigionieri di un sogno”) con lo “stregone” Gianni Di Marzio, la società – intanto finalmente diventata SpA – guidata dal presidente Carratelli e una squadra di alto profilo, forse la più bella e la più vincente di tutti i tempi, che la stragrande maggioranza dei cosentini (anche quelli che ancora non erano nati…) ricordano ancora oggi a memoria: Simoni, Marino, Lombardo, Castagnini, Schio, Giovanelli, Galeazzi (De Rosa), Bergamini, Lucchetti, Urban e Padovano. Non a caso quella stessa squadra con appena qualche rinforzo e con alla guida Bruno Giorgi sfiorò addirittura un clamoroso doppio salto in Serie A, negato solo dalla classifica avulsa nei confronti della Cremonese e da quel maledetto palo colpito da Lombardo nella partita decisiva al San Vito contro l’Udinese. 

Sono i migliori anni della storia del Cosenza Calcio: nove campionati consecutivi in Serie B con i brividi dello spareggio vincente di Pescara contro la Salernitana deciso da un gol “immortale” dell’eterno Gigi Marulla sotto la guida di Edy Reja e dei 9 punti di penalizzazione neutralizzati alla grande dalla squadra di mister Zaccheroni e con un’altra Serie A sfiorata nel 1993 quando al timone c’era Fausto Silipo.

La terza amara retrocessione sarebbe arrivata nel 1997 all’ultima giornata sul campo del Padova dopo una stagione travagliata nel corso della quale né Gianni De Biasi né il compianto professore Franco Scoglio erano riusciti a trovare il bandolo della matassa e a nulla era valso l’ennesimo gol di Marulla, vanificato dopo neanche 30 secondi da uno “stranissimo” pareggio dei padroni di casa. La società intanto era guidata da 3 anni da Paolo Fabiano Pagliuso, che subito dopo la batosta non aveva esitato un attimo ad annunciare a tutti che il Cosenza sarebbe immediatamente tornato in Serie B. E riuscì a mantenere la promessa. 

Altri sei campionati cadetti tra alti e bassi e poi nel 2002-03 la retrocessione più rocambolesca della storia rossoblù. Un’annata allucinante: tre cambi di allenatore, Pagliuso arrestato dopo essere stato denunciato dal suo ex socio Settimio Loré, il blocco delle retrocessioni che salvò tutti tranne… i Lupi, sacrificati sull’altare del ritorno in B della Fiorentina ma anche da una gestione societaria che ormai aveva raschiato il fondo del barile per l’eccessiva esposizione debitoria. Il fallimento fu decretato il 31 luglio 2003 in una giornata drammatica per la passione rossoblù. 

Il resto è storia di oggi. Dopo 15 anni di sofferenze e con un nuovo fallimento sul groppone, il Vecchio Lupo guidato dal patron Guarascio conquista la Serie B dopo 9 appassionanti battaglie nei playoff del 2018 culminate con il successo di Pescara contro il Siena, tra l’incredulità generale per una squadra che nella stagione regolare era arrivata appena settima ed era stata lungamente contestata. Una gioia durata troppo poco, appena tre anni ed ecco arrivare la quinta retrocessione. Difficile dire adesso quale sarà il futuro del Cosenza ma di certo la nostra città si rialzerà come sempre è accaduto, del resto, nella sua storia ormai ultracentenaria.