Cosenza, la città unica è uno squallido assalto di speculazione edilizia contro tutti i cittadini (di Battista Sangineto)

Siamo entrati nella settimana che ci porterà alla gran pagliacciata del referendum consultivo – e quindi non vincolante – per la cosiddetta città unica (Cosenza, Rende e Castrolibero) dei papponi. Di seguito pubblichiamo l’intervento del professore Battista Sangineto nel corso del recente dibattito promosso dalla Cgil. 

di Battista Sangineto 

La mia posizione di contrarietà alla fusione è di natura squisitamente ideologica perché proprio le città sono la rappresentazione materiale dei più importanti conflitti sociali, politici, economici e culturali del nostro tempo.

E in particolare a Cosenza, è stato sferrato un assalto, un attacco che, forse, è quello finale partendo dalla demolizione dei palazzi antichi nel centro storico e il tentativo, fallito, di costruire l’orrenda scatola dorata di un Museo che non avrebbe contenuto nulla ed è continuato con le demolizioni/ricostruzioni dei palazzi nella Cosenza otto-novecentesca e sta finendo il lavoro colando cemento ovunque, a via Popilia, a via Alimena, a via Parisio, a via Alimena e in ogni luogo ove sia possibile costruire grazie al Psc adottato, ma non approvato da Occhiuto nel 2013, e ora in nome dell’approvando Psc, come dimostrano le numerose orribili torri, più o meno arboree, di Via Popilia e l’approvazione da parte di questa amministrazione dell’ultimo, in ordine di tempo, ecomostro di lusso alto 40 mt. e con una superficie di 19.000 mq., più grande, di un terzo, della Galleria degli Uffizi a Firenze che ha una superficie di 13.000 mq., più grande, addirittura, dell’Altare della Patria a Roma, il Vittoriano, che si sviluppa per ‘soli’ 17.550 mq.

Un attacco di edilizia speculativa sferrato in primo luogo contro i titolari del diritto alla città: i cittadini medesimi. Noi cittadini abbiamo, però, smesso di subire e abbiamo reclamato il diritto alla città (quel ‘Le droit a la ville’ di Henry Lefebvre) formando un coordinamento di associazioni di cittadini che abbiamo chiamato proprio “Diritto alla città”. Abbiamo rivendicato il potere di dar forma ai processi di urbanizzazione, ai modi in cui le nostre città vengono costruite e ricostruite, e abbiamo rivendicato il potere di farlo in maniera radicale chiedendo e ottenendo l’apposizione del vincolo paesaggistico alla parte nuova di Cosenza e chiedendo il vincolo anche per via Popilia e l’areale del Crati che, purtroppo, la Sabap di Cosenza non ha ritenuto di voler apporre.

Ma l’egemonia del pensiero neoliberista ha fatto diventare luogo comune l’idea che la grandezza, come la chiama Rem Koolhaas LA BIGNESS, delle città garantirebbe alla nostra società, in un mondo di città sempre più grandi e globalizzate, prosperità e benessere. Secondo questa ricetta neoliberista le agglomerazioni urbane e delle loro più o meno sterminate periferie-‘sprawl’, farebbe della dimensione in quanto tale (attraverso le economie di scala e gli effetti di rete) un fattore che innescherebbe di per sé il successo delle città sempre più grandi.

La grandezza delle città avrebbe, di per sé stessa e indipendentemente dalla reale dimensione delle città, il vantaggio di trasformare la BIGNESS in un motore di creatività attraverso la competitività di produttività, di successo e, dunque, di felicità. La ‘Bigness’ e l’urbanizzazione delle campagne circostanti alle città, invece, non è altro che uno dei tanti modi che il neoliberismo ha trovato per estrarre più ricchezza dalle città sempre più grandi trasformando lo spazio in merce e aumentando, per mano della speculazione edilizia, la diseguaglianza sociale ed economica (come dicono Koolhaas, Harvey, Settis, Montanari, La Cecla…)

Sono del tutto d’accordo con il recente studio multidisciplinare-pubblicato sul prestigioso “Cambridge Journal of Regions, Economy and Society”- nel quale alcuni studiosi europei sostengono che “il successo di una città non dovrebbe misurarsi dalla sua grandezza né dalla sua capacità di competere con altre città di egual dimensione, ma piuttosto dalla sua capacità di distribuire al proprio interno beni e servizi che possano garantire la vita civile del più gran numero possibile dei suoi cittadini (Engelen, Johal, Salento, Williams 2017).

Per mettere le mani sulla città gli speculatori e la politica si affidano agli urbanisti e all’urbanistica che era nata, come disciplina autonoma, durante la rivoluzione industriale con la vocazione di correggere lo sviluppo industriale e i danni causati dal capitalismo al territorio, al paesaggio. A partire dagli anni ’80 essa ha perduto, però, la sua originaria vocazione riformatrice per diventare, con le sue competenze giuridiche e tecniche, un potente strumento nelle mani dei governanti, amministratori pubblici, immobiliaristi e, persino, finanzieri, per manipolare e condizionare lo sviluppo delle città e il governo del territorio nella direzione della speculazione, dello sviluppo edilizio infinito e incontrollato.

Una disciplina che ha subìto una ‘ingegnerizzazione’, fatta di norme tecniche comprensibili solo agli addetti ai lavori e subalterne al dominio neoliberista. È evidente ai più che i piani urbanistici cittadini, i PSC, siano del tutto privi di risvolti ‘spaziali’ nei loro contenuti, tutti incorporati solo in indici, zone, norme, fasce di rispetto et cetera. Elementi che pur essendo, a loro modo, strumenti ‘conformativi’, non provengono certo dagli stessi principi dell’architettura costituiti da tipologie edilizie, da regole codificate nei secoli, da materiali millenari e dalle combinazioni di tutti questi elementi.

Le regole e le norme che, in un qualche modo, avevano permesso che la crescita delle città fosse soggetta al controllo pubblico, subiscono un processo di forzato dissolvimento della forma e delle forme, per essere ricondotte alla logica dell’ideologia neoliberista, alla logica dello sviluppo infinito.

Uno sviluppo ed una speculazione edilizia che a Cosenza e nella sua area urbana è davvero meno comprensibile che altrove perché, come ho già dimostrato in altri scritti a stampa, secondo le statistiche ISTAT del ’23, Cosenza ha il 21% di case vuote (ben 7561), Rende il 17% (4931) e Castrolibero ha 332 case vuote.

Voglio darvi ancora dei dati per far capire meglio a tutti quali sono le ragioni per le quali tutti i partiti, e coloro i quali li etero-dirigono, vogliono fare la fusione:

Cosenza ha una superficie comunale di 37 Kmq. con 1.676 abitanti per Kmq.; Rende 55 Kmq. con 663 abitanti per Kmq.; Castrolibero 12 Kmq.  con 790 abitanti per Kmq.

Secondo voi, dopo aver occupato tutti gli spazi edificabili a Cosenza, dove si abbatterà la speculazione edilizia, dove si estenderà la metastasi cementizia se non verso le colline più appetibili di Castrolibero e, soprattutto, verso la pianura di Rende? Quello previsto dalla fusione è solo sviluppo edilizio, speculazione e non miglioramento delle condizioni abitative, sociali ed economiche dei cittadini dell’area urbana. Si può ben dire che questo è solo SVILUPPO, NON PROGRESSO, come diceva Pasolini.

Né può arrivare progresso e nemmeno sviluppo dai presunti fondi aggiuntivi dello Stato perché il FONDO ERARIALE DI FINANZIAMENTO DELLE FUSIONI, che era di soli 87 mln., è già sceso a 84 e verrà ulteriormente decurtato dalla Finanziaria di quest’anno, come promesso dal governo.

Dal 2022 al ‘24 la somma più alta erogata alla fusione più popolosa è stata di circa 2 mln. per 15 anni, ne discenderebbe che per tutte e 3 le città il contributo straordinario sarebbe di 2mln. per 15 anni: una somma irrisoria rispetto ai 3 bilanci di Cosenza, Rende e Castrolibero.

Così come è evidente che l’enorme debito di Cosenza di più di 300 milioni sarà, ‘ipso iure’, spalmato sui 110.000 abitanti circa dell’area fusa. Come dice, in un’intervista, la collega Maria Nardo che insegna, all’Unical, Economia aziendale: “Gli eventuali debiti non li può ripagare lo Stato, ma ricadrebbero sul nuovo Ente”.

Sempre a proposito di convenienza economico-gestionale abbiamo a disposizione molti studi accademici di carattere socio-economico, alcuni di qualche anno fa dell’Università di Bologna (Tubertini et alii) e uno più recente dell’Unical, proprio per questa area urbana (Mercuri).

Studi dai quali si evince che la maggiore convenienza le unificazioni è per quelle che avvengono fino ai 10.000 abitanti, mentre sono molto diseconomiche e socialmente negative quelle sopra i 10.000 e, soprattutto, sono sommamente negative da tutti i punti di vista quelle sopra i 100.000 abitanti.

C’è, anche, un’altra importante questione che riguarda la presenza del Pubblico e dello Stato nelle città: se si accorpano più uffici comunali in uno solo per migliorarne l’efficienza sarà un problema per chi abita più lontano da Cosenza dove si accentreranno tutte le funzioni amministrative dello Stato e del Comune unico: anagrafe, uffici tecnici, uffici di assistenza pubblica, uffici delle Asp etc.

Ma, soprattutto, si verificherà uno dei fenomeni tipici di questo nostro tempo: la diminuzione dei presidi del Pubblico e la ritrazione dello Stato dai territori attraverso l’accorpamento degli uffici ed il taglio inesorabile e progressivo della pianta organica dei dipendenti comunali e statali, la diminuzione dei dipendenti pubblici che, in Italia, sono, ormai, solo il 14% rispetto alla media del 16% degli altri paesi europei.

Sarebbe un’altra vittoria della ricetta neoliberista: meno Stato per tutti.

Da ultimo arriva questa ridicola corbelleria del possibile scippo del titolo di capoluogo dovuto alla scarsità di abitanti a Cosenza. Ma come si fa a dire che Cosenza, la Metrópolis tōn Bréttion (la capitale dei Brettii), la colonia augustea romana di Consentia, la capitale della Calabria Citra nelle epoche successive e, definitivamente, capoluogo di Provincia dal 1861 possa perdere le sue prerogative di capoluogo!? E, soprattutto, cosa c’entra la popolosità della città capoluogo con le sue funzioni? C’è davvero qualcuno che può mettere in dubbio che Siena, con soli 53.000 abitanti, potrebbe non essere più capoluogo? Non è, forse, vero che nei territori di Imperia, Caltanissetta, Trapani, Varese etc. il capoluogo è meno popoloso di altre città delle loro rispettive Province?

Non capisco, dunque, perché la sinistra politica– o quel che ne rimane a Cosenza, Rende e Castrolibero- non si opponga fermamente alla città unica che si presenta come un’annessione di Rende e Castrolibero alla città capoluogo, configurandosi come un’altra, inutile e ingovernabile, “nebulosa urbana” pensata per ridurre ancor di più lo spazio a merce, una riduzione funzionale solo al neoliberismo più spinto degli speculatori edilizi.

Perché sono tutti d’accordo, da Sinistra Italiana a Fratelli d’Italia, a volere la città unica, perché i partiti di sinistra voteranno insieme a quelli che deportano i migranti in Albania e che coprono politicamente coloro che qualche giorno fa hanno manifestato davanti alla stazione di Bologna con il braccio teso e con le svastiche al collo?

La forzata unificazione di quest’area urbana imposta dal presidente di Regione comporterebbe la forzata omogeneizzazione delle nostre città cancellandone, inoltre, le differenze, le peculiarità e la memoria storica in nome di un modello unico di pensiero neoliberista.

Non vi rendete conto che è un altro grave errore omologare forzatamente le identità di 3 città che hanno una storia molto diversa l’una dall’altra solo perché sono geograficamente contigue?

Cosenza ha una storia di 25 secoli di primazìa nella Calabria Citra, prima capitale dei Brettii, poi municipium romano e colonia augustea, più tardi è stata una delle pochissime città del Regno a non essere infeudata e ad avere un governo democraticamente eletto. Quella Cosenza che è la città di Telesio, Parrasio, Quattromani, Amico, Salfi, Rossi, Rendano etc.,

Una storia ce l’ha anche un paese antico come Rende che nel secondo dopoguerra riesce, in pianura, a farsi città grazie ad amministratori illuminati e capaci di avere una visione che, con l’aiuto di urbanisti, economisti e altri professionisti, predispongono un impianto urbano di prim’ordine di carattere non solo residenziale, ma sempre di più nel corso dei decenni, costituito da servizi, da edilizia popolare ed economica nel pieno centro della città e non in periferia, da scuole di ogni ordine e grado, da parchi pubblici, da strade ampie e fittamente alberate, da musei nel Centro storico e nella Rende Nuova. Una città della quale i cittadini, nonostante l’appannamento dell’azione amministrativa degli ultimi 10-15 anni, vanno orgogliosi perché è bella, funzionale, pulita, con servizi efficienti e che aveva, fino a poco tempo fa, una notevole quantità, superiore ad ogni altra città del sud, di verde pubblico e privato.

Castrolibero, l’altomedievale Castelfranco, è un paese che ha una sua originale identità che si fonda sulla propria storia di ribellioni ai feudatari che la possedettero e poi ad una radicata tradizione risorgimentale e libertaria che la portò, dopo l’unità d’Italia, a cambiare il nome in Castrolibero a seguito di una decisione decurionale.

Il modello al quale bisognerebbe ispirarsi è, invece, quello della piccola e media città storica italiana, quello delle 100 città italiane che ci è stato invidiato e copiato in tutta Europa per secoli. La piccola e media città nella quale si va a piedi, si può andare in bicicletta in un reticolo urbano denso e pluristratificato dal punto di vista funzionale, sociale ed economico, con una corposa densità abitativa ed una armoniosa compattezza architettonica che permette tragitti brevi ed elevata funzionalità sociale.

Un modello che non è solo architettonico e urbanistico, ma che rappresenta anche l’unica possibilità di restituire a tutti il ‘diritto alla città’ perché per i cittadini la priorità non è che la loro città diventi più competitiva e più di successo di altre, ma che sia un luogo nel quale la vita quotidiana sia più gradevole e più equa per coloro che vi abitano.