Cosenza, la favola di Brunello Trocini/2: il sogno bianconero

Dopo aver sondato gli umori della piazza facendo uscire la “notizia” del contatto con Brunello Trocini, Gargamella come suo solito è tornato nel silenzio più totale in attesa di tempi migliori. Brunello intanto ha fatto sapere in maniera informale che – se mai dovesse ricevere un’altra telefonata dal nemico dei puffi – lo manderà a… cagare. E noi ne approfittiamo per ricordare il percorso di Trocini, orgoglio cosentino. 

di Gabriele Carchidi

Questa intervista con Brunello Trocini la conservo gelosamente da un po’ di anni. In cuor mio sapevo che questo (ormai ex) ragazzo sarebbe riuscito alla grande nella carriera di allenatore dopo aver toccato il cielo con un dito da ragazzino alla Juventus e aver pagato il contraccolpo psicologico di essere andato via di casa a 16 anni. Ho aspettato prima di pubblicarla su Iacchite’ perché c’era bisogno della cosiddetta consacrazione e così tre anni fa, dopo la storica vittoria del suo Rende al “Gigi Marulla”, era arrivato il momento di rispolverarla non prima di avergli augurato le migliori fortune. Allora c’era già nell’aria un contatto con Guarascio, che meditava di scavallare Braglia ma poi arrivarono i playoff e buonanotte ai suonatori. Il problema principale però è sempre lo stesso: il patron si chiama Guarascio e con i cosentini (come sa anche Brunello) non ha per niente un grande feeling. Ma siamo sicurissimi che Brunello lo manderà a… cagare. 

Ieri abbiamo ricostruito il percorso di Brunello Trocini con il Cosenza Calcio (http://www.iacchite.blog/cosenza-la-favola-di-brunello-trocini-1-il-ragazzino-terribile/), oggi ci occupiamo del sogno bianconero. 

Quando hai saputo dell’interessamento della Juventus?
Sapevo che mi cercavano Milan e Juventus. Ho visto più volte il direttore sportivo Braida parlare con i dirigenti del Cosenza, così come il “vecchio” Cestmir Vycpalek, che si sobbarcava viaggi pesantissimi per vedermi giocare a San Fili con la “Primavera”. Il Torino, dal canto suo, mi aveva mandato a casa la maglietta di Martin Vazquez.
E tuo padre?

Non voleva che andassi fuori a 16 anni. O quantomeno mi diceva che sarebbe stato meglio attendere un anno. Il fatto è che la Juventus era disposta a pagarmi due miliardi, dei quali 1 miliardo e 200 milioni subito, per cui la trattativa si è decisamente accelerata. A quel punto mio padre mi ha detto di fare quello che sentivo. Il presidente Serra e il direttore sportivo Ranzani mi hanno confermato che la Juve mi voleva subito e non c’è stato verso di farli aspettare. Dovevo ancora fare l’ultimo anno allo Scientifico, ma questo era il minore dei problemi: è finita che a sedici anni e mezzo ho preso l’aereo e sono partito per Torino. Non ti nascondo che ho pianto…

1991/92: comincia la grande avventura in bianconero.

Sono stato aggregato alla “Primavera” di Antonello Cuccureddu e ho giocato al meglio delle mie possibilità. Siamo arrivati alle finali ma il Torino, che aveva in organico, tra gli altri, Bobo Vieri, Cois e Sottil, era più forte. Per me comunque è andata molto bene, avendo segnato un buon gruzzoletto di gol. La prima squadra, con Maifredi in panchina, giocò un campionato disastroso nonostante ci fossero Roberto Baggio e Totò Schillaci. Io ero diventato molto amico di Moreno Torricelli, alias “Mastro Geppetto”, un ragazzo simpaticissimo, che non ha mai dimenticato da dove arrivava. Per più di un mese ha abitato a casa mia. 1992/93: finalmente “assaggi” la prima squadra.

Il momento più emozionante è stato quando ho conosciuto mister Trapattoni nella sede sociale di via Crimea. Io ero con papà. Mi ha stretto la mano e mi ha detto: “Tu sei Trocini? Ma sei più famoso di me!”. Si riferiva agli articoli dei giornali sui “bambini prodigio” ma anche a quelli sulla “Primavera” bianconera della stagione precedente. In pratica avrei fatto la quarta punta e sarei stato aggregato alla prima squadra stabilmente pur giocando nel settore giovanile. Per me era il massimo: il “Trap” mi incitava a chiamare di più la palla e a non essere timido e si fermava a fine allenamento per darmi qualche consiglio prezioso sulla tecnica. Ma andavo d’accordo anche con il diesse Morini, detto anche “Ciccio Disco” per la sua passione per le discoteche. Ho stretto la mano anche all’avvocato Agnelli, a Villar Perosa. Ci hanno presentato e ha sussurrato: “Ah, Trocini…”. Ma detto da lui con “erre arrotata” faceva tutto un altro effetto.Hai fatto tutto il ritiro precampionato con i “grandi”.

Sì, è stata un’esperienza fantastica. Ho giocato un’amichevole a Montecarlo contro il Monaco (hanno vinto loro con un gol di Weah) e ho iniziato ad andare in panchina anche in campionato (contro l’Atalanta e la Sampdoria).

E hai conosciuto il “mitico” Vialli.Mi ha visto “vestito” Asics e con un polsino al braccio e gli sono entrato subito in simpatia. Uscivamo spesso insieme e non mi sembrava vero di andare a prenderlo a casa. Com’era a livello umano? Un anticonformista, uno che ha sempre fatto tendenza. Una volta a Neuchatel noi eravamo tutti in divisa ufficiale e lui si presenta all’improvviso, in taxi, con una maglietta e un jeans scolorito, una busta di plastica in mano con le scarpette dentro e i capelli rasati. All’epoca ancora la “pelata” faceva un certo scalpore… Io facevo di tutto per stargli vicino, ormai era diventato il mio idolo. Ma il suo carisma era riconosciuto da tutti: noi più giovani lo ascoltavamo a bocca aperta. Aveva una cultura superiore alla media, un’intelligenza fuori dal comune e quanto al gioco è quasi superfluo sottolineare che era un fuoriclasse. Quell’anno purtroppo non ho giocato moltissimo perché mi sono infortunato di nuovo alle caviglie e così ho fatto la conoscenza del dottore Bergamo, cosentino di Scalea, una persona eccezionale.1993/94: ultimo anno di Juventus.

E me la sono passata malissimo perché, nel frattempo, Cuccureddu era stato rimpiazzato da Beppe Furino, con il quale non sono mai riuscito ad avere un buon rapporto. Non mi vedeva bene perché avevo la macchina, un appartamento e il telefonino. Non sopportava che fossi di buona famiglia e riteneva che non sapessi soffrire per gli infortuni che subivo. Una volta gli risposi per le rime: ci odiavamo cordialmente. Quello era anche il mio ultimo anno di “Primavera” e ormai dovevo pensare alla mia prossima destinazione.

2 – (continua)