Da un po’ di tempo a questa parte, per il questore di Cosenza, Giuseppe Cannizzaro, prossimo al trasferimento, l’epicentro del crimine organizzato, del malaffare cittadino, dell’insicurezza pubblica e forse persino del cambiamento climatico si trova in un solo punto della mappa urbana: l’Autostazione. Sì, proprio lei. Quella spianata di cemento sporco tra bus in ritardo, venditori ambulanti e ragazzi che bivaccano fino a tardi. Che qualche problema ce l’ha, per carità. Ma, a voler credere al racconto ufficiale del questore, sembrerebbe che il destino della legalità in città si giochi tutto lì, tra un panino col kebab e un caricabatterie per il telefonino.
Peccato che il crimine, quello vero, quello che condiziona per davvero la vita sociale ed economica della città, stia da un’altra parte, e questo i cosentini lo sanno bene. Il male della città risiede nella dilagante corruzione negli uffici pubblici, nel saccheggio continuo delle risorse destinate agli ospedali, nel clientelismo amorale, nei concorsi e negli appalti truccati, nei bandi cuciti addosso agli amici degli amici, nei fiumi di cocaina che scorrono tranquilli, nei voti comprati con denaro pubblico. Il pizzo? Non lo riscuotono all’Autostazione. I traffici di droga? Non si fanno lì. All’Autostazione, al massimo, si spaccia qualche stecca di fumo. E pure scadente. Perché la “pezzata” buona non la vendono gli africani. Quelli non sono autorizzati. E se qualcuno lo è, non la spaccia certo all’Autostazione. Ma per il questore, sta lì l’origine di tutti i mali.
È chiaro a tutti i cosentini che esistono dei problemi all’Autostazione, spesso legati a condizioni di vita estreme di migranti che vivono ai margini della società, che vanno risolti, e basterebbe davvero poco. Ma è anche chiaro che questa stucchevole attenzione verso l’Autostazione ritorna ogni volta che le forze di polizia attraversano una fase difficile di immagine. Quando bisogna nascondere la polvere sotto il tappeto, o meglio, quando bisogna nascondere sotto il tappeto qualche talpa, qualche corrotto, consumatori di cocaina, sparizioni di denaro sequestrato, collusioni con narcos, ricattatori, violenti, e persino attentatori e minacciatori, ecco che ritorna il classico: l’emergenza Autostazione.
È il grande classico del repertorio. La narrativa rassicurante che ha imparato a recitare anche il questore Cannizzaro: «Tranquilli, cosentini, ci siamo noi con le nostre volanti a vegliare su di voi, a mantenere fede al patto di fiducia stipulato tra una comunità civile e i nostri uomini e donne sulla strada». E per rendere il tutto credibile, il questore Cannizzaro si affida a uno spot dove illustra l’operatività delle sue pattuglie. Lo spot si consuma nello stesso quadrante urbano, sempre nella stessa coreografia. Giri attorno all’isolato della questura, lampeggianti accesi, due controlli fotocopia e una bella inquadratura sulle panchine. E poi vai con l’Autostazione. Quasi tutto lo spot è girato di notte all’Autostazione, dove non succede niente. Ma viene illustrata come la Scampia cittadina, la roccaforte dei narcos e delle pericolose organizzazioni criminali di tutto il mondo. Mentre i veri narcos e gli spacciatori di peso cosentinissimi se la ridono alla grande.
Il questore ci tiene a spiegare nello spot che «la città viene divisa come una torta: due parti alla Polizia, una ai Carabinieri». Ma la ciliegina è sempre la stessa: l’Autostazione. Lì si gira, lì si filma, lì si costruisce il grande racconto dell’ordine. Il questore parla di «missione», di ragazzi che lasciano mariti, mogli e figli per indossare la divisa. Come se fossero gli unici. Come se nessun altro lavorasse di notte, sotto stress, a rischio. Come se gli infermieri, i medici del pronto soccorso, i farmacisti di turno, gli operatori ecologici, i ferrovieri, i panettieri, i camionisti, i macchinisti, non lasciassero anche loro mogli, mariti e figli per garantire servizi essenziali. La differenza è che loro lo fanno senza luci, senza telecamere, senza chiamarla “missione”. Lo chiamano semplicemente lavoro. E pazienza se la criminalità vera sta da un’altra parte, tanto quella non da fastidio a nessuno. Nessun cittadino si lamenta se nel suo palazzo o nel suo quartiere, ci sono i pusher cosentini che spacciano veleno anche a ragazzini. Gli unici a dare fastidio sono i neri dell’Autostazione, la mafia africana, come definita dalla procura cosentina.
Quella messa in campo dal questore Cannizzaro non è una strategia di sicurezza. È uno schema narrativo. Serve a far credere che il crimine sia là dove fa più scena. Che l’insicurezza si combatta con la presenza. Che tutto quello che non si vede — le mazzette, le assegnazioni pilotate, la droga che viaggia tra locali di tendenza e uffici pubblici — non esista. Esiste solo l’Autostazione. E gli extracomunitari che “danno fastidio”.
Questa è la vera missione: non combattere il crimine. Ma combattere la percezione di assenza. Con un bel giro dell’isolato, magari due, giusto per far vedere che “ci siamo”. Sempre lì. A presidiare il nulla.









