Cosenza. La morte dimenticata. Quando negli ospedali muore anche la civiltà della cura

La morte dimenticata. Quando negli ospedali muore anche la civiltà della cura

di Radio Ciroma

È morto da solo, nel bagno di una stanza d’ospedale. Non in un luogo di abbandono, ma in quello che dovrebbe essere un presidio di vita, di attenzione, di cura. È accaduto all’ospedale di Cosenza, perché ciò che emerge da questa tragedia non è solo la cronaca di una morte, ma il ritratto di un sistema sanitario che sembra aver smarrito il suo senso più profondo: l’umanità.

Non è accettabile che un paziente possa morire senza che nessuno se ne accorga, che nessuno bussi alla porta, che nessuno si chieda come stia. Non è un caso, non è una fatalità: è il sintomo estremo di un collasso morale e organizzativo.
Dietro ogni corsia vuota, dietro ogni infermiere esausto e ogni medico lasciato solo, si nasconde una rete di responsabilità che parte dall’alto: anni di tagli, di rimpalli, di nomine politiche, di disinteresse.
Si è parlato tanto della mancanza di personale, delle strutture fatiscenti, dei pronto soccorso al collasso. Ma c’è qualcosa di ancora più grave: la perdita della cultura della cura.

La sanità non è solo un insieme di procedure, turni e protocolli. È la presenza, lo sguardo, la parola che riconosce nell’altro una persona e non un numero di letto. Quando questo viene meno, non siamo più un Paese civile.
Perché la vera povertà non è quella economica, ma quella che si manifesta quando chi soffre viene lasciato solo.
E allora dobbiamo dirlo con forza: questa morte è una sconfitta di tutti.
Della politica che ha chiuso gli occhi, delle direzioni sanitarie che gestiscono i reparti come aziende senz’anima, e di una società che ha smesso di pretendere rispetto per i propri malati.

Ogni ospedale dovrebbe essere un luogo dove la vita trova difesa, non dove si consuma nel silenzio e nell’indifferenza.
Il tempo delle scuse è finito. Ora serve una rivoluzione della cura: non solo più personale, ma più responsabilità, più presenza, più umanità.
Perché finché continueremo a considerare la sofferenza come un fastidio da nascondere, continueremo a morire due volte: nel corpo e nella coscienza.