Cosenza. La tragicomica propaganda del sindaco: Palazzo dei Bruzi è zona franca per tutta la paranza, altro che legalità

C’è un vecchio vizio che resiste a ogni cambio di stagione politica: quello di svegliarsi solo quando la barca affonda. È esattamente ciò che sta accadendo a Palazzo dei Bruzi, dove il sindaco (si fa per dire) Franz “pennacchio” Caruso e il presidente del Consiglio comunale (anche qui si fa per dire) Giuseppe “guappu i cartuni” Mazzuca provano, con una nota congiunta dal retrogusto farsesco, a prendere le distanze da Eugenio Guarascio, presidente del Cosenza Calcio, ormai divenuto bersaglio della città intera. Ma Cosenza non dimentica. E nemmeno perdona.

Per anni, il Cosenza Calcio ha occupato lo stadio comunale senza pagare l’affitto, accumulando un debito di 1 milione di euro e il Comune ha taciuto. Per anni, in Consiglio comunale, la maggioranza ha fatto finta di non sapere. Nessuno si è indignato, nessuno ha chiesto conto. Anzi, ad ogni crisi societaria, Guarascio veniva blandito, difeso, legittimato. Ora che la squadra è retrocessa, che il fallimento è dietro l’angolo e che i tifosi – con una rabbia mai vista prima – invocano la cacciata di Guarascio e della sua fidatissima Scalise, ecco che spunta la foglia di fico: “Abbiamo avviato le procedure per il recupero dei tributi comunali”, dichiarano.

Tardi. Tardissimo. Troppo comodo. Le loro affermazioni sul mancato pagamento dei canoni – pare si aggirino attorno al milione di euro – dello stadio San Vito-Marulla non sono solo tardive, sono un insulto all’intelligenza collettiva, e la domanda è: come mai lo fanno solo adesso? Parlano di “atti riservati”, di “rispetto della privacy del debitore”. Come se a Palazzo dei Bruzi regnasse il culto della legalità. Eppure parliamo dello stesso palazzo dove è stato assunto come usciere un noto emissario dei clan, quello che accompagnava Mazzuca a colloquio con i boss. E allora, quale legalità? Quella a targhe alterne? Lo dicono solo per trovare una pubblica giusitficazione ai loro omertosi silenzi e infami complicità. Non possono più coprire Guarscio, e cercano una via di fuga pubblica: usano il verbo della legalità come paravento. Ma tutta la città sa che nell’amministrazione guidata da Nicola Adamo, il vero sindaco, la legalità è solo scena. Anzi una sceneggiata.

E poi il capolavoro dell’ipocrisia: “Tutti i contribuenti sono trattati allo stesso modo”. Davvero? E allora perché tutte – e ripetiamo tutte – le strutture sportive comunali (campi da calcetto, centri sportivi, palestre) sono in mano a privati che non solo non pagano l’affitto da anni, ma godono anche delle utenze pagate con soldi pubblici? Luce, gas, acqua – tutto a carico dei cittadini. Il debito complessivo sfiora i 3 milioni di euro. E nessuno ha mai visto una diffida, un recupero crediti, uno sfratto. Nulla.

E i costruttori? Quelli che, con il benestare della politica, continuano a cementificare la città senza mai aver versato un euro di oneri di urbanizzazione? Anche lì: silenzio totale. Nessuna richiesta. Nessun accertamento. Nessuna cartella. Perché? Perché fanno parte della “categoria protetta”, quella degli amici del potere. Altro che “uguaglianza”. A Cosenza c’è chi viene tartassato per una tassa sui rifiuti e chi può occupare uno stadio per anni senza tirar fuori un centesimo. C’è chi viene cacciato da una casa comunale per bisogno, e chi si tiene stretto un impianto sportivo come fosse proprietà privata. C’è chi deve giustificare ogni centesimo, e chi – se amico degli amici – può permettersi anche i debiti di lusso.

E ora Franz Caruso e Giuseppe Mazzuca, proprio loro, parlano di “rispetto delle istituzioni”. Mettono in guardia dal rischio di “commettere errori grossolani” che potrebbero danneggiare il Cosenza Calcio. Ma il vero errore – enorme, colossale – è stato coprire per anni un sistema marcio, fondato sulla complicità tra potere politico, affarismo e silenzio istituzionale. Hanno garantito coperture, omesso controlli, regalato spazi pubblici, piegato le regole. E oggi, con la città in rivolta, provano a rifarsi una verginità a colpi di comunicati. Troppo tardi. Troppo falso. Perché dietro la falsa legalità non ci si può più nascondere. La città ha capito. E non dimentica. Altro che “istituzioni”: qui si è rispettato solo il silenzio complice. E se oggi provano a dissociarsi, non è per senso di giustizia. È per paura. Paura che qualcuno cominci a scavare. Paura che, stavolta, i nomi, i numeri e le connivenze escano tutti fuori. Perché quando il re è nudo, nemmeno la miglior propaganda riesce a rivestirlo. E oggi, a Palazzo dei Bruzi, sono rimasti tutti in mutande. E si vede.