di Gabriele Carchidi
Cosenza ha salutato poco più di un anno fa per l’ultima volta Raffaele Nigro, scomparso il 13 gennaio del 2023 a 81 anni, senza nessun dubbio il giornalista più influente ed importante della città attraverso le colonne della Gazzetta del Sud per 25 anni. Una vita. Ricordando la sua figura, abbiamo lasciato in sospeso l’epilogo del rapporto professionale tra Nigro e la Gazzetta del Sud (https://www.iacchite.blog/cosenza-raffaele-nigro-e-la-gazzetta-un-quarto-di-secolo-di-storia-della-citta/). L’addio del professore risale al 2007. Ufficialmente tutti sapevano che Nigro aveva maturato gli anni di servizio per la pensione ma il giornalista non riteneva tuttavia concluso il suo percorso professionale, segno che qualcosa si era rotto all’interno della “sua” redazione e nel rapporto con l’editore Calarco e aveva accettato di collaborare con La Provincia Cosentina. Considerato il suo spessore, era lecito supporre che avrebbe diretto il giornale e la circostanza aveva creato scompiglio e panico in un contesto di giornalismo paludato e funzionale, se non venduto al sistema di potere.
Con tutta l’infinita stima per il professionista, non c’è dubbio che anche lui nel corso degli anni si fosse adeguato ai sistemi del porto delle nebbie, sposando inevitabilmente la causa del pensiero unico dettato dai poteri forti senza provare seriamente ad opporsi. Non si può restare 25 anni alla guida del più importante media cosentino se non si rappresenta in qualche modo il potere. Da qualche anno la faida tra magistrati cosentini ovvero Eugenio Facciolla contrapposto a Mario Spagnuolo e Vincenzo Luberto aveva fatto irruzione anche sui media e nel 2005 tutti avevano avuto notizia – all’epoca – dell’ispezione nel famigerato porto delle nebbie decisa dal Ministero della Giustizia e affidata al magistrato di lungo corso e specchiata onestà Otello Lupacchini. Ma nessuno (ad eccezione de Il Giornale, che tuttavia aveva dato solo una “timida” notizia senza particolari e dettagli) aveva avuto il coraggio di pubblicarlo, neanche Raffaele Nigro.
Se c’è una cosa che fa andare in bestia l’associazione a delinquere che gestisce ancora oggi – ahimé – le sorti del Tribunale di Cosenza (procuratore capo, pubblici ministeri e organi giudicanti) è proprio il cosiddetto dossier Lupacchini, dal nome del famoso magistrato, che ha detto la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità, sulle vergogne del nostro Tribunale porto delle nebbie.
Dal 2005 al 2007 sono passati due anni e Raffaele Nigro lascia la Gazzetta del Sud. In giro si dice che il professore voglia lavorare ad un giornale d’assalto con toni gridati e scandalistici. Non serviva molta fantasia per capire quali sarebbero stati i bersagli da colpire. Dal 2005 al 2007 sono passati due anni e proprio in quel lasso di tempo nel giornale concorrente della Gazzetta, Il Quotidiano, si è consumata una clamorosa scissione perché il vecchio editore de La Provincia Cosentina, il terribile don Pierino Citrigno detto lo strozzino per i suoi trascorsi, ha fondato un nuovo quotidiano che si chiama Calabria Ora chiamando a raccolta gli scissionisti, tra i quali – ahimè – c’era anche chi scrive. La creatura di Citrigno non regge molto, il gruppo si spacca e io sono andato via dopo sei mesi (agosto 2006), quando sento le voci dell’arrivo del giornale di Nigro e capisco che il “direttore” scelto da Citrigno sta per tornare “a cuccia”, destinazione Basilicata.
In realtà, il giornale di Nigro è La Provincia Cosentina. Citrigno ha mollato le redini dopo i suoi guai giudiziari dovuti all’arresto di Facciolla nell’operazione Twister e il giornale lo aveva rilevato il palazzinaro Rolando Manna, che nel 2007 aveva deciso di affidare la prosecuzione del viaggio a una cooperativa di giornalisti che lavoravano nella precedente gestione. In sostanza, c’era libertà assoluta. E’ stato Marcello Gallo, già alla Gazzetta del Sud da tempo, a dirmi che il professore aveva pensato a me per la “squadra”, anche se c’era pure Mario Campanella, per bilanciare a destra. L’idea da una parte mi entusiasmava ma dall’altra non mi piaceva e però (come avrebbe detto il professore) non avevo molte alternative. Ricordo di aver fatto le mie brave passeggiate a corso Mazzini con Marcello, Nigro e qualche volta anche la bonanima del fotografo Gianni Muraca, che faceva parte della cooperativa editrice. Finalmente avevo conosciuto il professore, che non ha mai fatto niente per nascondere le sue idee di destra, ma che in quella circostanza stava dalla mia parte perché c’era necessità di fare uscire un bel po’ di materiale per attaccare la corruzione. Certo, c’era Campanella, che invece all’epoca era ancora legato mani e piedi ai fratelli Gentile, ma in cuor mio speravo che succedesse qualcosa che li potesse in qualche modo frenare.
Siamo partiti l’11 giugno 2007 e neanche una settimana dopo scoppia il ciclone Why Not, che investe in pieno praticamente tutta la politica calabrese e azzoppa persino i Gentile. In maniera tale che Campanella non può scrivere manco una riga per la mia immensa felicità. In mezzo a quei media legati al potere e subito armati contro il malcapitato De Magistris, La Provincia Cosentina diventa zona franca e saranno lunghe settimane di passione sul giornale, con le carte dell’inchiesta pubblicate in solitudine e con gli editoriali più o meno espliciti di Nigro che sferzano e non poco tutta la malapolitica.
Sì, ma il dossier Lupacchini? Erano i primi di luglio quando Nigro, insieme alla sua fonte, mi consegnarono il mitico fascicolo. E’ da qui che comincia la storia moderna del giornalismo cosentino. Successivamente si è appreso che non si trattava di un’ispezione ma di una vera e propria inchiesta, ovviamente insabbiata qualche anno dopo. E dopo la pubblicazione di quel dossier, niente è stato più come prima, anche se i media di regime continuano ancora oggi ad ignorarlo.
Di seguito, l’editoriale con la sigla di Raffaele Nigro che inaugurò l’uscita di quel dossier a puntate, nel quale vengono elencate per filo e per segno le logiche di stato deviato del porto delle nebbie di Cosenza. E la prima puntata del dossier. Lo ripubblicheremo, in omaggio alla memoria di Raffaele Nigro, in tutte le sue parti. E per concludere ricorderemo anche quale fu la fine de La Provincia Cosentina.
Il professore scelse per il suo editoriale un titolo eloquente e significativo, “Scusate il ritardo”, scusandosi con se stesso ancora prima che con i suoi lettori, per il ritardo con il quale dava il via all’operazione verità sul porto delle nebbie di Cosenza. E rendendo chiaro a tutti che qualcuno alla “Gazzetta” aveva deciso di non pubblicarlo. Mentre per l’apertura della prima pagina optò per un perfetto “Rapporto-choc sul Tribunale”. E sottolineò che si doveva usare “choc” e non “shock” per dare ancora più forza a quella decisione dirompente. Quel giornale fu acquistato quella mattina a Cosenza e provincia da oltre 8mila persone. Il professore aveva battuto anche la “sua” Gazzetta. E l’avrebbe battuta ancora per altri giorni “di gloria”, prima che il sistema intervenisse – anche sopra di lui – per fermarlo.
Scusate il ritardo
La Provincia Cosentina, giovedì 5 luglio 2007
di r. n.
La pagina più nera della magistratura cosentina. L’hanno scritta gli ispettori del ministero di Grazia e Giustizia che hanno raccolto in un voluminoso dossier i risultati della loro missione al palazzo di giustizia.
Attenzione alle date. Il dossier è del 2005 ma in questi due anni è rimasto invisibile. Tutti sapevano che c’era ma nessuno ne ha reclamato la pubblicazione. Una prudenza sospetta in una città in cui custodire un segreto è operazione impossibile. Rompiamo, con due anni di ritardo, la consegna del silenzio e pubblichiamo il dossier perché rappresenta un eccezionale documento sulla malagiustizia, che è la gemella di quella malapolitica che domina a Cosenza e in Calabria.
Il dossier mette in evidenza intrighi, rivalità, omissioni, complicità che hanno avuto come protagonisti magistrati importanti sia della Procura cosentina che della Dda, avvocati, faccendieri. Non spetta a noi formulare sentenze. Ci limitiamo a raccontare i fatti con le parole degli ispettori, senza commenti. Che sono, come i lettori capiranno, davvero superflui.
IL PATTO TRA FRANCO PINO, SPAGNUOLO E SERAFINI
In molti ci chiedono chi ha avuto così paura di Otello Lupacchini, tanto da far di tutto per spedirlo fuori dalla Calabria. Il primo ad aver avuto paura è il procuratore di Cosenza. Mario Spagnuolo si è insediato a procuratore della Repubblica di Cosenza il 30 giugno 2016. In questi anni ci ha riempiti di chiacchiere, assicurandoci che era cambiato e che avrebbe dato filo da torcere ai colletti bianchi e alla malavita. I risultati sono pari allo zero. Con l’aggravante di avere siglato un patto di potere con il sindaco Occhiuto tramite l’assunzione del nipote al Comune da dirigente “abusivo”. Spagnuolo ha già ricoperto per lunghi anni l’importantissimo ruolo di sostituto anziano. E la vera storia della città è piena delle sue nefandezze giuridiche. Che non possiamo e non dobbiamo dimenticare. E sono contenute nel dossier redatto dal magistrato Otello Lupacchini nel corso della sua inchiesta (non ispezione) del 2005. Un dossier che NESSUNO potrà mai cancellare.
Soltanto pochi mesi fa, quando le procure di mezza Italia hanno preso d’assedio il cazzaro, Spagnuolo ha finalmente dissepolto dai suoi cassetti l’indagine per bancarotta fraudolenta su Occhiuto ma soltanto perché costretto e per pararsi il deretano. Esattamente come ha fatto per la sanità a febbraio 2021 e a novembre 2022 per il suo vecchio compagno di merende Marcello Manna ma soltanto per consentirgli di… dire che si tratta di un’inchiesta farlocca. Insomma, non solo Spagnuolo non è cambiato ma, con la vecchiaia, è diventato ancora più spregiudicato di quanto non sia mai stato. Perché la storia ci dice che Spagnuolo tutto è tranne che un magistrato limpido.
A partire dal pentimento di Franco Pino e di come fu pilotato dalla procura di Cosenza attraverso Mario Spagnuolo (il vero regista occulto) e il procuratore dell’epoca, Serafini.
Una delle pagine più nere della città di Cosenza.
“Successivamente all’emanazione del decreto che dispone il giudizio, nel maggio 1995 Franco Pino decideva di intraprendere la via della collaborazione a fini di giustizia”.
Inizia così la ricostruzione di Otello Lupacchini relativamente al pentimento di Franco Pino.
“Il primo passo lo faceva verso i carabinieri del Nucleo operativo del comando provinciale di Cosenza, nella persona del capitano Angelo Giurgola, il quale si rivolgeva anziché verso questa Dda come logica vorrebbe, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza. Il procuratore Serafini nonché il sostituto anziano Spagnuolo avanzavano allora, ancor prima di rivelare il nome del neo collaboratore, insistente richiesta al procuratore distrettuale Antimafia di Catanzaro per l’applicazione ai fini della gestione del dottor Spagnuolo presso questa Dda. Il procuratore Lombardi rigettava tale richiesta…”.
Lombardi, in una prima fase, sembra voler fare per intero il suo dovere e in una relazione che è diventata storica, esprime tutte le sue riserve sul modus operandi della Procura di Cosenza.
“… Attribuire tutto quanto è avvenuto prima del processo e quanto è emerso successivamente durante la lunga istruttoria dibattimentale ad accordi perversi tra delinquenti è operazione del tutto riduttiva. Qualunque sia la conclusione della vicenda processuale, appare chiaro che dietro le decisioni adottate dal crimine organizzato e che hanno trovato una cassa di risonanza soltanto quando sono stati toccati gli interessi corporativi degli avvocati e sono stati portati alla luce gli interessi incrociati della delinquenza e della politica attraverso la pratica perversa del voto di scambio, VI SONO STATI REGISTI OCCULTI… Che fin dall’inizio hanno strumentalizzato anche la delinquenza mafiosa. E l’obiettivo strategico di questo disegno era quello di bloccare a tutti i costi il processo, facendo ricorso sia all’intimidazione e all’aggressione fisica sia alla delegittimazione dei magistrati…”.
Il vero punto nodale da analizzare, com’è fin troppo evidente, era (e purtroppo è) l’individuazione di chi ha manovrato i collaboratori di giustizia perché formulassero accuse indiscriminate, anche nei confronti di magistrati e di chi si è reso strumento più o meno consapevole di tali manovre.
La strategia di delegittimazione della Dda di Catanzaro, le cui indagini erano già mal tollerate quando era in gioco soltanto la progressiva disgregazione delle cosche mafiose, conseguente alle dichiarazioni dei collaboratori, aveva un canovaccio ben preciso.
I pentiti consentivano di rinvenire armi, esplosivi, congegni per azionare ordigni, cadaveri sepolti e dimenticati. Di conseguenza, venivano considerati preziosi e insostituibili.
Da un lato aumentava il numero dei soggetti che dichiaravano la loro dissociazione dalle cosche, dall’altro si delineava il pericolo dell’inquinamento probatorio attraverso l’inserimento di dichiarazioni che obbedivano a un preciso disegno criminoso in linea con il piano strategico delle cosche criminali.
Lombardi aveva le idee chiare su chi fossero questi registi occulti, specie quando gli avvocati più in vista di Cosenza attaccano frontalmente il pm Stefano Tocci denunciandolo alla Procura Antimafia.
Dichiarava di non voler demonizzare l’intera classe forense ma indicava negli avvocati Tommaso Sorrentino, Antonio Cersosimo, Luigi Cribari, Marcello Manna e Paolo Pittelli personaggi protagonisti di fatti censurabili penalmente mentre coloro che sono stati strumenti più o meno consapevoli delle manovre in atto rispondevano ai nomi del procuratore Serafini e del sostituto anziano Spagnuolo.
Decisamente tanti gli episodi di pentiti manovrati a uso e consumo di Serafini, Spagnuolo e degli avvocati cosentini. Con l’aggiunta di imbarazzanti fughe di notizie…
Giusto per la cronaca, oggi Franco Pino non è più neanche un pentito e gli è stato tolto il programma di protezione. Proprio qualche mese fa è venuto a Cosenza a raccontarci chiacchiere sulla morte di Lento e Gigliotti, della quale era accusato come mandante e che ha addossato a Tonino Sena, che ormai non può più difendersi perché è passato a miglior vita. Ebbene, Spagnuolo è riuscito a trovare il modo per scagionarlo e scaricare tutto sul suo ex picciotto Patitucci, che ha certamente grosse responsabilità ma da dividere equamente col “sostituto anziano” di Spagnuolo.
Quale credibilità può avere ancora Spagnuolo? E che giustizia è questa? Ma prima o poi tutti i nodi vengono al pettine. E il passato presenta sempre il conto. Anche ai Gattopardi.









