Cosenza. Lo Stato e i boss. Dal “fatto di sangue” all’impunità: gli scambi e i sacrificabili (di Saverio Di Giorno)

di Saverio Di Giorno

“Oggi si fa chiamare boss gente che in carcere mi riordinava la cella”. Chiunque abbia letto un po’ di verbali o dichiarazioni di esponenti della seconda generazione di ‘ndrangheta cosentina – gli anni ’80 e ’90 – legge questo concetto di continuo. Spavalderia, voglia di creare una narrazione tronfia e altezzosa. Forse. Non solo. La gerarchia del carcere racconta qualcosa in più. C’è una differenza che ha fatto sì che le consorterie attuali possano essere state scalate da chiacchieroni e collaborazionisti. E questa differenza offre una chiave anche per interpretare i nuovi equilibri del cemento, i patti con la politica e forse anche la vicenda Manna.

Andiamo con ordine. Esattamente come nei verbali, i testimoni e i collaboratori di giustizia intervistati nel libro Sodomìa , – nel commentare le vicende attuali – definiscono con sufficienza i membri attuali dicendo che salvo poche eccezioni difficilmente avrebbero avuto credibilità e possibilità di scalare gerarchie. C’è da intendersi: occorre ripulire queste dichiarazioni dalla narrazione e dalle vanterie. Fondamentali, per questo, sono i magistrati (anch’essi ascoltati in Sodomìa) che propongono una possibile interpretazione. E la chiave interpretativa per capire il cambiamento ruota attorno ad un elemento: il sangue.

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La gerarchia del carcere

Il riferimento ai ruoli in carcere non è casuale. Oggi si fa chiamare boss gente che mi riordinava la cella. E cioè bassa manovalanza. Le carceri sono da sempre, in territori estremamente controllati una fotografia delle gerarchie criminali. In carcere si creano nuovi affiliati, soprattutto nelle carceri sovraffollati dove entrano ragazzi squattrinati. Una menzione offerta, uno stipendio e la protezione: tanto basta per avere nuova manovalanza. Tanto basta. In carcere si stabiliscono accordi e pacificazioni: così fu tra Perna e Pino aldilà della sceneggiata del Due Palme. La posizione della cella e l’ala oltre che la menzione dicono di te e della tua influenza.

Dal “fatto di sangue” alla questione dell’impunità

L’influenza proviene dall’esterno. Dalla strada. Esiste un’antica regola nelle gerarchie criminali e nei riti di affiliazione. Per scalare un gradino occorre aver commesso il cosiddetto “fatto di sangue” espressione ricorrente anche questa nelle carte. Cioè, l’omicidio. Basta leggere le biografie per accorgersi di quanto sia – o almeno sia stata – rigida questa regola e vada oltre i riti spacciati per verità e poi molto spesso traditi. In questo caso è diverso. I ruoli di responsabilità vengono affidati solo dopo il “fatto di sangue”. Per varie ragioni. Innanzitutto, è una dimostrazione di fedeltà e di fiducia. In secondo luogo, crea una certa rispettabilità e pone una differenza tra le professioni che ruotano attorno agli affiliati e gli affiliati. Soprattutto con le professionalità al soldo: banchieri, avvocati, commercialisti, politici pagati e imprenditori prestanome. Questi non hanno commesso il “fatto di sangue”. La fedeltà ha un prezzo: quello per cui hanno trattato. E se qualcuno offre di più sono sul mercato.

Tutto questo – a sentire gli inquirenti – nelle generazioni moderne è molto meno presente. In particolare, dal Garden in poi. Basti pensare che ad oggi Perna è uno dei pochissimi boss (insieme a Muto) ad aver rispettato l’antica regola del mutismo e della negazione. Questo perché, se era il sangue il battesimo allora il carcere era preventivato, forse dà anche un perverso prestigio. Anzi il silenzio dietro le sbarre era un monito: noi per il potere abbiamo usato il sangue e il potere è mentale, sopravvive alle sbarre, agli altri interessano solo i soldi facili per cui non si sporcano con il sangue e hanno paura del carcere. La logica resta ottusa e dozzinale, ma occorre farci i conti perché se il carcere o il pericolo sono messi in conto, si è molto poco ricattabili.

La pioggia di finte collaborazioni e pentimenti che hanno permesso di inquinare tutto ha spostato la partita su un altro piano e ha aperto a nuove strategie. Quella dei contratti, dei cavilli legali. È possibile trovare in posizione di responsabilità (anche se non di vertice) uomini che hanno scalato posizioni senza la “gavetta” completa. Tutto questo crea una perdita di credibilità enorme nei sottoposti specialmente in quelli più giovani ancora illusi o infoiati di tutta la falsa retorica criminale. Non è più il sangue o il carcere, ma l’impunità. Il fatto di uscirne sempre in qualche modo per vie delle protezioni. Però questo mette sullo stesso piano, sullo stesso mercato, tutti.

La nuova strategia: gli scambi e i sacrificabili.

Sia chiaro. Gli spioni, i chiacchieroni, i collaborazionisti sono figure da sempre presenti. Da entrambi i lati. Spacciatori, faccendieri per i clan che entrano ed escono da carcere e questure. Oppure imprenditori, poliziotti, funzionari per gli inquirenti. Gente che fa uscire informazioni dà soffiate sui nascondigli o messaggi. Spesso usati volutamente per qualche retata, come strategie per livellare il mercato o togliere competitori. Ma siamo appunto ai livelli bassi della gerarchia, da entrambi i lati.

Se la cosa passa ad altri funzionari, politici, o capi clan allora parliamo di patti. Se il clan parla apertamente nella casa piena di cimici consapevolmente, se l’incontro segreto viene documentato o fotografato volutamente. Se si decide chi vendersi e chi no (che sia il politico sul libro paga o l’esponente scomodo) allora la gerarchia è congiunta. A me serve la carriera o la competizione libera a te un salvacondotto. E in questo scambio vengono sacrificati i più esposti o sputtanati: il politico a fine carriere a cui addossare tutto, il capo clan già recluso in pochi quartieri e senza troppa influenza.

Se questa interpretazione è vera o verosimile, pensate agli ultimi mesi: l’azzeramento di Manna, il nuovo cemento della città unica e le intercettazioni delle ultime operazioni e i dossier mai venuti alla luce. Vogliamo davvero credere che Manna era l’unico terminale e sfogo di tutto? Le carte rimanenti che fine hanno fatto? Forse questo trova un senso.