Cosenza e l’omicidio Bergamini: la manifestazione del 27 dicembre 2009

Sono giorni importantissimi e fondamentali per arrivare alla Giustizia sull’omicidio di Denis Bergamini. Una ricerca che va avanti ormai da quasi 32 anni e che è destinata a riscrivere la storia di Cosenza, che non può certo essere la città che ci hanno descritto magistrati corrotti, pentiti al loro guinzaglio e giornalisti asserviti che oggi vorrebbero diventare anche i nostri “padri nobili” mentre non sono altro che corrotti anche loro. Oggi, dopo innumerevoli tentativi di insabbiamento, siamo finalmente arrivati ad un processo che abbiamo atteso per più di un decennio ed è stato bellissimo ieri sera al “Marulla” ascoltare il popolo rossoblù inneggiare a Denis come se fosse sempre stato in campo e chiedere GIUSTIZIA. 

E allora cerchiamo di far capire ai cosentini com’è stato possibile questo percorso di liberazione. A partire da una data ben precisa: il 27 dicembre del 2009. E rievochiamo quel giorno in attesa che Donata Bergamini possa tornare a Cosenza per riabbracciare tutti i cosentini onesti. 

Il 27 dicembre 2009 è stato il giorno del riscatto per Cosenza. Un riscatto rinviato troppo a lungo, tenuto fermo per vent’anni in un angolo particolare della nostra coscienza, tenuto lontano per vent’anni da ogni possibile volontà di realizzazione. Molte componenti hanno contribuito a rendere finalmente visibile e tangibile la ribellione di Cosenza all’omicidio volontario di Denis Bergamini.

La consapevolezza, sempre più amara, che non si poteva più sentir parlare di suicidio. Il convincimento, sempre più chiaro, che quell’omicidio non poteva essere dettato da logiche malavitose. La sensazione, irrefrenabile, che stavolta sì, si poteva urlare forte la verità perché non ci sono più poteri forti che tengano davanti a un delitto tanto grave quanto assurdo.

Cosenza è scesa in piazza come ha potuto, sotto la pioggia e nel bel mezzo delle festività. C’erano i testimoni giusti per far capire alla famiglia Bergamini che questa città oggi può reggere l’urto con una verità scomoda e ingombrante.

Domizio e Donata Bergamini hanno sfilato per le vie della città a testa alta, con lo sguardo fiero di chi non è più solo a chiedere giustizia. Lo cantavano gli ultras, quelli di sempre, l’aggregazione giovanile e sociale più valida di Cosenza da oltre trent’anni, nel bene e nel male. Quei ragazzi e quegli uomini che hanno la mente aperta per recepire un ragionamento logico che dovevamo fare tutti molto tempo prima. Quei ragazzi che vent’anni fa hanno appreso con sgomento la notizia della morte di un loro idolo, di un loro amico, di un loro calciatore, oggi non ci sono più. Oggi sono uomini che hanno altri problemi, altre responsabilità.

E’ chi comanda la città che purtroppo è rimasto sempre uguale. Il potere, le persone che avrebbero dovuto accompagnare e guidare la protesta civile non c’erano, in tutt’altre faccende affaccendati… Pronti a imbracciare l’idrante o l’estintore del fatalismo, della rassegnazione.

Cosenza conosce queste persone, ha imparato a fare buon viso a cattivo gioco, a turarsi il naso con dignità. Ma non crediate che, a bocce finalmente ferme, non chiederà loro il conto, che sarà caro e salato. Vent’anni sono una vita.

Bergamini rappresentava un tassello della nostra gioventù, un’icona di una passione che non si è mai affievolita, ma anche una macchia indelebile nelle nostre coscienze. Oggi sappiamo in che contesto è maturata la sua morte, sappiamo che l’hanno decisa una serie di circostanze riconducibili al rapporto tra due ragazzi, uno di 27 e l’altra di 21, tormentato e reso torbido da una mente deviata, che non poteva sopportare l’affronto di un ragazzo desideroso di altre esperienze, di voltare pagina.

Denis era convinto di poter gestire una situazione che lo preoccupava sì, ma non fino al punto di pensare che gli potesse costare la vita. Non si è tirato indietro, non ha avuto paura e ha guardato in faccia i suoi assassini, che poi l’hanno colpito a tradimento, alle spalle, in modo vigliacco e infame. Denis, alla fine, non ha avuto paura di morire, è andato incontro a quello che doveva essere il suo appuntamento con la morte a testa alta, come ha sempre fatto da quando indossava la maglia del Cosenza, quella maglia che rappresentava la sua nuova città.

A Denis Cosenza piaceva, gli era entrata nel sangue. Gli piaceva l’affetto dei tifosi, il calore della gente, il modo di fare dei ragazzi della sua età, con i quali condivideva interessi e passioni. Inevitabilmente sarebbe andato via, avrebbe trovato una squadra più forte, una ragazza del Nord, ma non avrebbe mai dimenticato la nostra città.

No, Denis non  ha avuto paura di andare a quell’appuntamento perché non aveva pensato che quella persona fosse capace di concepire un progetto di morte.

Probabilmente avrà capito da lassù perché i suoi assassini sono rimasti a piede libero per vent’anni. Oggi l’hanno capito anche i suoi familiari. Pure loro oggi sono altre persone, con sentimenti diversi verso quella città che ha dato la morte a Denis. Oggi noi e loro siamo uniti, ci teniamo per mano e camminiamo insieme verso la Giustizia. Fino a inchiodare alle loro responsabilità i suoi vigliacchi assassini, i mandanti e quelli che hanno insabbiato e depistato.