L’ultimo atto del ricordo di Raffaele Nigro riguarda la conclusione dell’avventura a La Provincia Cosentina. Il punto nodale è l’attacco a Rende e quindi a Sandro Principe, pilotato e manovrato, che sarebbe stato fondamentale anche per capire la storia di oggi, a 16 anni di distanza. Perché la vita è una ruota che gira.
di Gabriele Carchidi
E’ antipatico, è arrogante ma è sicuramente un Uomo. Con la U maiuscola. La magistratura ha emesso la prima sentenza sulle accuse che sono cadute addosso a Sandro Principe e che tuttora sono state alla base del processo Sistema Rende. Tre giudici del Tribunale di Cosenza (Stefania Antico, Jole Vigna e Urania Granata) hanno deciso che Sandro Principe nella sua attività politica non ha abusato del suo potere e non lo ha messo al servizio della criminalità. Questa è la sentenza di primo grado ma si tratta di una sentenza pienamente condivisibile.
Certo, lo sviluppo urbanistico di Rende l’ha mandato avanti con un “sistema” molto simile a quello di altre illustri e chiacchierate città, ma non era finito nell’inchiesta della Dda di Catanzaro. Non era legato all’urbanistica il processo a Principe. E la mafiosità legata solo alle cooperative Sandro Principe, com’era giusto da parte sua, l’ha contestata con tutte le sue forze.
Sandro Principe aveva scelto Ten per la sua prima “vera” intervista dopo i duri mesi passati agli arresti domiciliari nel 2016. Non c’era voluto molto per chi lo intervistava (due giornalisti tra i quali il direttore Attilio Sabato) a focalizzare l’aspetto-chiave della questione. Perché il suo grande accusatore, Vittorio Cavalcanti, lo ha sacrificato alla Dda? E, soprattutto, da chi è stato manovrato?
Principe è stato attenzionato dalla DDA (e quindi anche intercettato) dal 2007, da quando una serie di media vicini al Cinghiale, al secolo Tonino Gentile, hanno cominciato a martellare con le storie “mafiose” di Rende. Storie che hanno colpito due politici molto vicini a lui come Umberto Bernaudo e Pietro Ruffolo.
Principe, inutile girarci intorno, all’inizio è stato “salvato” dallo stato maggiore del Pd: Marco Minniti in primis ma anche Nicola Adamo e consorte. E poi ha indicato come suo successore Vittorio Cavalcanti. Ed è proprio qui che casca l’asino.
“Mi avevano detto che Cavalcanti non era proprio il soggetto ideale per quello che volevo – ha sottolineato – ma mi fidavo di lui. Quando poi ho capito che la sua personalità “soffriva” per la mia presenza, non sono più andato neanche al Comune e questo è stato il mio più grande errore. Non solo perché così ho tradito la fiducia di tante persone che mi avevano sostenuto ma anche perché in quei mesi, giocoforza, è nata quella architettura politico-giudiziaria che ha dato il via libera all’operazione contro di me. Del resto, il commissario che ha preso in mano il Comune di Rende è uno stretto collaboratore del ministro dell’Interno Alfano e sapete tutti chi sta con Alfano in Calabria…”.
Principe non fa il nome del Cinghiale ma in quei pochi secondi nei quali sembra quasi che stia per farlo, il gelo nello studio televisivo dove sta parlando si avverte nitidamente. E i due giornalisti che lo intervistavano (tra i quali sempre Attilio Sabato), che avrebbero potuto cogliere la palla al balzo per far uscire fuori la “notizia”, come da copione consolidato, cambiano discorso. Non solo fermano Principe che sta dicendo la verità e sta dando loro il “titolo principale” ma si autocensurano.
E’ a questo punto che posso parlare in prima persona perché nel 2007, per la precisione i primi giorni del mese di agosto, quando lavoravo da qualche mese a La Provincia Cosentina diretta dal professore Raffaele Nigro e dopo aver scoperchiato il dossier Lupacchini sul Tribunale di Cosenza, lo scandalo della parentopoli a Sviluppo Italia Calabria approdata addirittura alla ribalta nazionale del Corsera e dopo aver pubblicato in solitudine tutti gli atti dell’inchiesta Why Not che avevano lasciato in mutande i maggiori politici calabresi, arriva la mazzata. Purtroppo il professore Nigro si era lasciato irretire da Mario Campanella, che all’epoca era notoriamente legato mani e piedi con i fratelli Gentile, e aveva pubblicato – nei giorni in cui ero in ferie – un’inchiesta “pilotata” contro Sandro Principe.
Avendo capito l’aria che tirava e trovandomi a lavorare in un media che si stava prestando alle manovre del Cinghiale contro Principe, decisi di dire con chiarezza a Principe qual era il progetto di Tonino il furbo. E lui, fiutando il marcio, mi venne incontro dicendomi di abbandonare quel giornale (che era La Provincia Cosentina appunto), di non mettermi con quella gente e di andare a svernare per un anno, come consulente, proprio da lui al Comune di Rende (c’era Bernaudo, che era lo stesso).
E’ stata l’unica volta che un politico mi ha “concesso” un incarico istituzionale e non me ne sono mai pentito. Perché non sarei mai riuscito a lavorare sapendo di essere funzionale a Tonino il Cinghiale. E tra i due, Tonino e Sandro, non c’è paragone. Uno è quello che è. Principe, pur con tutti i suoi difetti, rispetto al Cinghiale è oro prezioso.
Sandro Principe, poi, non è un ipocrita e così a quei due giornalisti che lo stavano intervistando (e uno dei due – lo ribadiamo – era Attilio Sabato mentre l’altro, Arcangelo Badolati, per ironia della sorte è uno degli allievi del professore Nigro), gliele ha cantate di brutto. Perché comunque agitavano sempre la figura di ‘sto Cavalcanti, che è chiaramente il “pentito” della situazione e, ad un certo punto, quasi quasi se la sono chiamata loro stessi la mazzata in testa. E così Principe, proprio in quell’intervista, ricordava loro qualche “fatto privato” che si riferiva agli anni passati e li vedeva protagonisti.
Pur di non far uscire fuori le responsabilità politiche dei guai giudiziari di Principe, hanno preferito prendersi le randellate di Sandro ed evitare quelle (ben più pesanti) del Cinghiale, che quando è ferito (Umbertino docet) è imprevedibile. Ma la bufera, meno di tre anni dopo, è passata. Principe è stato di nuovo in corsa per tornare sindaco di Rende, il Cinghiale ha sostenuto un politico-banderuola che ha cambiato “otto partiti in otto anni” passando al secondo turno con Principe ma senza successo perché il sindaco uscente (Marcello Mazzetta, al secolo Manna) ha vinto dopo aver messo al pubblico ludibrio il suo avversario grazie alla collaborazione del solito Sabato con una “falsa diretta” televisiva.
Manna, tuttavia, alla fine, è arrivato anche lui sulla graticola. Anche perché ha mollato il Cinghiale e si è buttato nelle mani di Palla Palla e Capu i Liuni imbarcando sulla sua nave una pletora di impresentabili finendo anche lui, tuttavia, nel mirino della DDA e con i tempi che corrono non c’è certo da stare tranquilli solo perché Adamo, il simbolo della corruzione, ha presentato un esposto (!) al Csm contro Gratteri. O perché un Tribunale del Riesame lo ha momentaneamente scarcerato dopo il clamoroso arresto del 1° settembre. In primis, perché le accuse restano tutte; poi perché la Dda ha già presentato ricorso alla Cassazione contro la revoca degli arresti. E persino perché, due mesi dopo, addirittura il suo vecchio compagno di merende Gattopardo, procuratore capo del porto delle nebbie, l’ha messo sotto inchiesta ed è tuttora (!) al divieto di dimora a Rende. Ma soprattutto perché la vita, si sa, è una ruota che gira e prima o poi presenta il conto. A tutti. Nessuno escluso…
Tornando a La Provincia Cosentina, io andai via il 21 agosto del 2007, dopo poco più di tre mesi dal mio ingresso. Il giornale, che aveva perso credibilità prestandosi all’attacco del Cinghiale contro Principe firmato dal suo… servo, non durò a lungo e chiuse i battenti neanche un anno dopo, il 28 luglio del 2008, ma il direttore aveva lasciato già alcuni mesi prima. Non ho più avuto modo di incontrare il professore Nigro, ma ho preso atto di essere stato l’unico a ricordarlo in maniera adeguata al suo carisma e al suo spessore. Come sempre, a futura memoria.