Per me la Fiera di San Giuseppe era quella che, per secoli, palpitava tra le strade nella confluenza del Crati con il Busento, nel cuore di un centro storico che riviveva dei suoni, dei profumi e dei colori di una tradizione secolare.
Nella fiera si vendeva di tutto, pentole di rame, vasellame, biancheria, ecc….
Tra i banchi dei mercanti i più caratteristici erano quelli dei “casocavallucci” fatti con la pasta dei caciocavalli, appesi alle travi con delle cordicelle; erano di forme diverse, delle vere opere d’arte.
Così come i banchi dei venditori di “mustazzuali” anche questi dalle mille forme: cavalli, pesci, anfore, serpenti ecc., con il miele di fichi e di api, con le mandorle e non, decorati con piccoli pezzi di carta d’alluminio colorata di verde e di rosso.
C’erano le zeppole del Renzelli ed il gelato di Zorro a Corso Telesio.
C’era Alessio il musichiere, con le musiche tradizionali calabresi.
C’erano oggetti realizzati in argilla dai “pignatari”, i vimini che intrecciati che davano vita ai tradizionali “cannistri” ed ai famosi “panari”.
C’erano le soppressate, i capicolli, le salsicce e gli immancabili lupini.
Alla “Gil” c’erano le piante ed gli alberi da frutto. C’erano i “caramellari” con leccornie di ogni genere, le mie preferite le mandorle caramellate.
C’erano i venditori di porcellana che con i microfoni in mano gridavano come pazzi e addirittura rompevano anche i piatti.
C’erano i “paninari” con i panini piastri caldi con “vruacculi i rapa e sazizza”.
A scuola non andavano solo quelli del Telesio, ma tutti gli altri facevano filone.
C’era una fiera che non tornerà mai più.