Cosenza. Miseria e nobiltà (di Franco Panno)

Miseria e nobiltà

di Franco Panno

Le domeniche mattina di tantissimi anni fa, una delle tappe obbligate erano le visite ad Alfredo, un Signore di mezza età, nobile caduto in disgrazia. Un uomo austero, l’indigenza nella quale versava ormai da tempo, non ne aveva scalfito la classe. Ero solito portare al Barone, questo il titolo di cui si fregiava, i giornali, cappuccino e brioche. Mi accoglieva, nella sua casa piccola ma dignitosa, trasudante nobiltà, attraverso oggetti che la adornavano, con un “Entra pure caro…”.

Data un’occhiata distratta ai giornali, divorava con signorile voracità la brioche e trangugiava aristrocraticamente il cappuccino bollente. Nel frattempo davo un’occhiata ad alcune foto foto su un antico mobile di pregio.
Ritraevano donne bellissime, una contessa polacca, una avventuriera americana, una fazendera messicana, tutte vittime del fascino del Barone. Mi guardava il nobiluomo mentre sbirciavo le foto e sorrideva. Chiedevo lumi su quelle belle Signore, lui da gentiluomo qual era glissava sui dettagli intimi. Mi ripeteva spesso: “Il fascino può tutto, capiteranno anche a te delle avventure, sei un ragazzo di classe, se solo fossi meno impacciato ma imparerai…”.

Prima di prendere commiato da quel simpatico gentiluomo, che nei tratti e nella sorte somigliava al Luigi Vannucchi e al personaggio che interpretò il grande attore ne Il cappello del prete, sceneggiato televisivo tratto dal romanzo di Emilio De Marchi, il Barone Carlo Coriolano di Santafusca, il nobile mi chiedeva un sigaretta. “Anzi, lasciamene tre…”.

Come il nobile del romanzo, Alfredo si era mangiato il patrimonio di famiglia. Per raddrizzare la situazione, sposò una donna bruttissima ma facoltosa.
Si mangiò pure quello. Ricordo che a volte verso l’ora di pranzo mia Madre mi dava una zuppiera, con alcune pietanze del pranzo domenicale da portare al Barone. Mi accoglieva con il solito “Vieni pure caro…”. Si fiondava sulla zuppiera ancora fumante e con la bocca piena bofonchiava “Ma perché tanto disturbo, oggi volevo tenermi leggero…” e dava un’occhiata ad un piatto con due broccoletti tristissimi.

Finito il pranzo mi richiedeva la solita sigaretta che poi diventavano tre e mi accompagnava alla porta con un “Ringrazia la Mamma, che Donna, che temperamento, bellissima…”. Una delle ultime volte che lo vidi fu in una dolcissima mattinata che precedeva l’estate. Mi invitò a prendere un caffé, dopo avere scansato quasi tutti i bar del quartiere, i suoi sospesi erano chilometrici. Approdammo in un esercizio di nuovissima apertura. Ordinò una Strega doppia. Mentre la sorseggiava mi parlò di un vecchio amore giovanile. Una ragazza di nome Gisa, che non pote’ sposare, la famiglia del Barone glielo impedì categoricamente. Non era del suo rango quella donna. Un velo di malinconia attraversò lo sguardo di quel nobile austero che nei momenti di difficoltà appalesava una signorilità senza eguali. Ricordo il suo francese, puntuale, che dava un tocco di classe a tutto: il famoso sketch dall’ortolano allorquando il Barone ringraziò con un Merci beaucaup e si senti rispondere: “Bocu’ a voi…”.
Finita la chiacchierata al bar, il Barone si frugò e disse con la consueta classe: “Figliuolo, devo aver dimenticato il portafogli a casa, fai tu, ci vediamo presto”. Dopo aver dato, con eleganza, un’ultima occhiata al décolletè della cassiera, salutò il Barone, e andò via per sempre alla maniera del personaggio di vecchio frac di Domenico Modugno.

“Adieu, Adieu, Adieu, addio al mondo
ai ricordi del passato
ad un sogno mai sognato
ad un attimo d’amore che mai più ritornera’…”
Vecchio frac, Domenico Modugno