Cosenza, omicidio a via Monte Grappa: che rapporto c’era tra Tiziana e Rocco?

Le certezze in questo assurdo quanto orribile delitto di via Monte Grappa a Cosenza sono davvero poche. Di certo c’è la morte del povero Rocco Gioffrè attinto da 37 coltellate il giorno di san Valentino. Di certo c’è anche che il suo corpo è stato trovato 5 giorni dopo (domenica 19 febbraio), avvolto in un piumone e “sigillato” con un telo di plastica, sul letto della “stanza” degli ospiti, all’interno dell’appartamento in uso a Tiziana Mirabelli. Di sicuro c’è pure che la maggior parte delle coltellate inflitte al povero Rocco, quelle che sono entrate in profondità, sono state “localizzate” alla schiena, alla nuca, al collo, e nella parte bassa del torace sinistro. Di assodato c’è inoltre la confessione della rea che si discolpa raccontando di aver accoltellato il povero Gioffrè al culmine di un violento litigio scoppiato a seguito di reiterate molestie sessuali poste in essere, nei suoi confronti, dalla vittima. Una versione che però cozza con le poche certezze appena elencate.

Se le certezze in questo pasoliniano delitto sono poche, tanti sono invece gli “oggetti” che mancano all’appello dalla scena del crimine: le chiavi di casa e della cassaforte, il portafoglio e il telefonino del povero Gioffrè. Manca la refurtiva trafugata dalla cassaforte, ma soprattutto manca l’arma del delitto: il coltello, che Tiziana Mirabelli dice appartenere al Gioffrè presentatosi il giorno di san Valentino a casa sua con brutte intenzioni, e di averglielo sottratto durante la violenta colluttazione. Dov’è finito questo coltello? Se la Mirabelli ha confessato l’orribile omicidio, come mai non ha fatto ritrovare l’arma del delitto? Oltre ovviamente a tutto il resto. C’è da dire inoltre che il povero Gioffrè aveva dotato il suo appartamento di un sistema di video sorveglianza utilizzabile anche da remoto attraverso una app dal telefonino, ma non si trova la “memoria” proprio di quei giorni, e come già detto il telefonino. L’unico telefonino in mano agli investigatori è quello dell’assassina, dove ci sarebbero i messaggi di minacce inviati dal Gioffrè alla Mirabelli che dimostrerebbero, secondo la difesa, la morbosità sessuale della vittima nei confronti della rea, e confermerebbe l’avvenuta aggressione sessuale, e quindi la legittima difesa, sfociata poi nel cruento omicidio.

Dalle testimonianze e dai dati raccolti dagli investigatori allo stato emerge che: la Mirabelli dopo l’omicidio ha provato, con messaggi inviati dal telefonino della vittima, a tranquillizzare i familiari di Rocco allarmati per la scomparsa del congiunto. Non solo messaggini, la Mirabelli, nei giorni dopo l’omicidio, incontra più volte le figlie del povero Gioffrè alle quali racconta di aver visto il padre andare via a bordo di un’auto scura il giorno di san Valentino, guidata da un uomo con la barba. Le rassicura, e le invita a non rivolgersi ai carabinieri, perché il padre non è scomparso, ma ha solo bisogno di stare un po’ da solo. E prima o poi ritornerà. E nel mentre arriva sabato 18 febbraio, e la Mirabelli decide di assistere alla partita del Cosenza. Ed è proprio alla fine della partita che la Mirabelli apprende che i familiari di Gioffrè hanno sporto denuncia di scomparsa presso la caserma dei carabinieri, e qui capisce che il suo tempo è finito, e dopo una notte di presumibile travaglio di coscienza, la mattina di domenica decide di costituirsi.

Ma cosa ha spinto Tiziana a commettere un così efferato delitto? O meglio: qual è il movente del delitto? La difesa dice che il movente sta nell’aggressione subita dalla Mirabelli ad opera del Gioffrè armato di coltello, che voleva abusare di lei sessualmente. I familiari della vittima dicono che la Mirabelli avrebbe commesso l’omicidio al solo scopo di impossessarsi del denaro custodito nella cassaforte a casa del padre. Da indiscrezioni si apprende che la cifra contenuta all’interno della cassaforte ammonta a 4000 euro. Ma che tipo di rapporto c’era tra Tiziana e Rocco? Tra i due, dicono gli stessi familiari della vittima, c’era un rapporto di conoscenza ultra trentennale. Le due famiglie, quella dell’assassina e quella della vittima, sono da sempre vicini di casa, prima in un antico palazzo nel cuore della città antica, e poi a via Monte Grappa dov’è avvenuto l’omicidio. Ed è proprio in virtù di questo che Tiziana frequentava spesso e volentieri l’appartamento di Rocco. “Era una di casa, e per nostro padre era come una figlia, e per noi come una sorella”, dicono i familiari della vittima. Anche se c’è chi sostiene che non era così. E non c’è dubbio che per capire il contesto dentro il quale è maturato questo efferato delitto, bisogna fare chiarezza proprio su questo punto.