Cosenza, omicidio Taranto. “Non si spegne il sole neanche se gli spari”: tutte le domande ancora senza risposta

Il 29 marzo 2015 veniva ucciso a Cosenza, nel quartiere popolare di via Popilia, con un colpo di pistola, il giovane Antonio Taranto. Un delitto che aveva suscitato profondo sdegno e commozione nella Città dei Bruzi. Antonio Taranto era un ragazzo benvoluto da tutti e le circostanze che avevano portato alla sua morte, fin dal primo momento, non erano state chiare. In ogni caso, per il delitto Taranto, con udienza preliminare celebrata il 28 luglio 2016, veniva accusato Domenico Mignolo, soggetto emergente dei clan malavitosi cosentini. 

Partendo da quella tragica notte e facendo una ricostruzione, gli inquirenti appurarono che ci fu una lite in una nota discoteca – “iClub” – tra bande rivali: una con a capo Domenico Mignolo, l’altra capeggiata da Leonardo Bevilacqua, elemento in forza al clan cosiddetto degli zingari.

La lite era continuata anche dopo che i contendenti avevano lasciato la discoteca ed era finita a via Popilia ovvero il quartiere dove risiedono i due capi clan in lite. Da alcune testimonianze, si evince che il Bevilacqua, appena sentito un primo colpo di pistola verosimilmente da parte di Mignolo, si barrica in casa lasciando fuori Ivan Barone (oggi collaboratore di giustizia) e il povero Antonio Taranto, che viene raggiunto dal secondo colpo di pistola esploso da Mignolo. Colpo che risulterà fatale per il giovane, provocandone la sua morte.

Il primo collaboratore di giustizia a parlare dell’omicidio di Antonio Taranto è stato Marco Massaro. Costui ha dichiarato che Domenico Mignolo gli confidò di aver sparato dal balcone della sua abitazione, che sta di fronte a quella del Bevilacqua, e di aver colpito Taranto che si accasciò nell’androne del portone di casa di Leonardo Bevilacqua. E gli confidò anche che, dopo aver esploso questo colpo, gli si inceppò la pistola altrimenti avrebbe continuato. Ci sarebbero diverse altre intercettazioni telefoniche, che probabilmente non ne hanno tenuto abbastanza conto, ma sorvoliamo…

Il perito Mancino, che allora fu nominato dalla Procura di Cosenza, nell’udienza preliminare affermava che c’era la piena consapevolezza del delitto. La Corte d’Assise di Catanzaro, in data 15 marzo 2018, assolve Leonardo Bevilacqua e condanna Domenico Mignolo a 16 anni di reclusione. In data 9 aprile 2019, tuttavia, la Corte di Cassazione annullava con rinvio la sentenza e si celebrava così il processo d’appello bis, inizialmente affidato al giudice Petrini, che però dopo poco tempo incappava nelle note vicende giudiziarie di corruzione.

Antonio Taranto

A seguito dell’arresto di Petrini, il processo viene affidato ai giudici Cosentino e Commodaro, i quali affidavano una nuova perizia al dottor Barbaro, recentemente scomparso. Quest’ultimo dichiarava che il colpo di pistola risultato fatale a Taranto era partito dal piano stradale. I collaboratori di giustizia, tali Abbruzzese Claudio, alias “Micetto”, e, sua moglie Anna Palmieri, che dapprima avevano sostenuto fosse stato Domenico Mignolo ad uccidere Antonio Taranto, in aula all’ultima udienza presieduta dal giudice Cosentino, ritrattavano la versione e accusavano dell’omicidio Mario Mignolo, fratello di Domenico.

Le vicende relative al processo e alla sfilata di soggetti che si producevano in tristi e false testimonianze hanno avuto ampio risalto, anche mediatico. In particolare, si era parlato di una “riunione” tra clan per arrivare auna riappacificazione dopo l’omicidio e di conseguenza il giudice avrà probabilmente tenuto poco conto di tanto scandalo. E così il 7 febbraio 2022, la Corte d’Appello di Catanzaro arrivava all’assoluzione di Domenico Mignolo e Leonardo Bevilacqua e inviava gli atti alla Procura competente per indagare sulla posizione di Mario Mignolo, indicato quale responsabile non solo dai collaboratori di giustizia già citati, ma anche dall’avvocato Sarro durante la sua arringa difensiva. A questo punto, l’indagine è stata presa in considerazione dalla Dda di Catanzaro ma, ad oggi, a tre anni e mezzo da quella sentenza, non ha dato nessuna risposta.

Antonio Taranto è ricordato con immutato affetto dalla stragrande maggioranza della comunità cosentina, che ancora chiede giustizia per lui insieme alla sua famiglia, evidentemente delusa per tutto il tempo che è trascorso e sta ancora trascorrendo. E’ appena il caso di ricordare che quando la giustizia funziona e non ha soggetti da “coprire” si risolvono casi delicati anche nel giro di un solo anno. E in questo caso invece abbiamo già superato il decimo anno senza nessun risultato, a parte i processi farsa di cui abbiamo parlato.

La famiglia di Antonio ancora aspetta delle risposte e ne ha tutto il diritto. Le domande che ci facciamo sono diverse, soprattutto quando si parla dei collaboratori di giustizia, che evidentemente sono “credibili” a convenienza o ad intermittenza. Nell’ultimo processo è stata fatta un’accusa chiara: perché allora non si sono presi provvedimenti? Perché tutto tace? Il giudice Cosentino, che verbalmente ha creduto alla ritrattazione di “Micetto”, perché non ha formalizzato l’accusa e rinviato a giudizio chi di dovere? Quanto tempo ancora bisogna aspettare finché Antonio abbia giustizia? E soprattutto: qualcuno sta facendo di tutto per allontanare la verità in attesa che Domenico Mignolo, detenuto per altri reati, torni libero?

La famiglia Taranto ha da sempre riposto la propria fiducia nella giustizia, rimanendo in silenzio ed al proprio posto, ma non rester°  silenziosa ancora per molto tempo: pretendiamo tutti delle risposte. Non lasciamo le cose incompiute, non lasciamo soprattutto che uccidano nuovamente Antonio con il silenzio. Chi è omertoso, è complice! Ma adesso non ci fermeremo più e facciamo nostra la frase che i familiari e gli amici di Antonio continuano a ripetere in maniera sacrosanta: “Non si spegne il sole neanche se gli spari”.