Cosenza. Paperinetta de Beauvoir e l’arma di distrazione di massa

OGNI RIFERIMENTO A PERSONE E FATTI E’… PURAMENTE VOLUTO!

A Cosenzopoli la situazione era sfuggita di mano.
I cittadini non stavano più zitti. Non si accontentavano più delle inaugurazioni a nastro e dei post pieni di emoji del sindaco. Avevano cominciato a chiedere, a commentare, a sospettare. E tutto era peggiorato con la retrocessione della gloriosa squadra cittadina, il Cosenzopoli Paperer Club, precipitata in terza serie tra fischi, polemiche e striscioni pieni di beccate. Il presidente, il discusso e imprendibile Papergamella, era stato sommerso dalle accuse: sprechi, vrusci, bonifici alle isole Cayman. E chi era nella foto, sorridente al suo fianco? Franz Pennacchio. Il sindaco.

I cittadini avevano cominciato a mettere insieme i pezzi. Qualcuno parlava di accordi sottobanco, altri di appalti cuciti su misura per Papergamella, altri ancora di fondi dirottati dallo sport alle cooperative amiche. Le voci correvano. I meme pure.E al Comune l’aria era tesa. Nel Palazzo, tra pareti tappezzate di foto con strette di mano mai ricambiate, Pennacchio si agitava: “Non possiamo continuare così! La gente fa domande! Chiede documenti! Bilanci! Trasparenza! Vogliono sapere perché Parpergamella non ha pagato lo stadio, e perché ha la residenza legale in un magazzino!”. Seduto su una poltrona di pelle di leopardo, in ombra, Testa di Felino, accarezzava il suo bastone col pomo d’oro fasullo. Silenzioso, come sempre.

“Dobbiamo trovare qualcosa che distragga la gente… io… io pensavo a un grande concerto”, blaterò Pennacchio. “Uno con Papero Ramazzotti! Oppure una partita celebrativa: Banda Bassotti contro Polizia Municipale!” Testa di Felino alzò appena lo sguardo.“E poi chi paga?” Pennacchio si raddrizzò sulla poltrona, gonfiando il petto:“Cosenzopoli deve sognare! Serve qualcosa di grosso, di virale! Palle luminose, fontane danzanti, led ovunque!”, Testa di Felino sbuffò dal naso. “troppo rumore  sveglia il popolo. Troppa luce, Franz. Noi abbiamo bisogno di buio. Silenzio. Noia. Invisibilità.”

Pennacchio non capiva. Ma fece finta di sì. Testa di Felino continuò: “Non dobbiamo dare al popolo un’altra occasione per polemizzare, spendendo denaro per eventi stratosferici, ci arrivi a questo? Serve qualcosa che sembri nobile, che sembri intelligente, che sembri utile… Ma che non interessi a nessuno. Qualcosa che sembri democrazia, ma sia vuoto.
Qualcosa che nessuno criticherà, perché fa troppo intellettuale per essere capito.
E a costo quasi zero”. Pennacchio spalancò gli occhi: “I fuochi d’artificio col QR Code!” Testa di Felino gli lanciò uno sguardo che avrebbe pietrificato una cornacchia.
Poi si alzò. Camminò lentamente fino alla finestra, e senza voltarsi disse: “Cultura.” E calò il silenzio. Pennacchio ci mise un po’ a capire. Poi rise. “Ah! Geniale! La Cultura! Ma certo! Facciamo venire Papero Volo!” Testa di Felino si voltò di scatto. “Libri, Franz. Libri. Che nessuno consulterà. Che nessuno potrà criticare. Che faranno sembrare il tuo mandato… visionario.” Pennacchio si grattò il mento: “Ma chi se ne occupa?” Testa di Felino sorrise. Il primo e unico sorriso del giorno. “Paperinetta de Beauvoir.

Il giorno dopo, Paperinetta ricevette la chiamata che aspettava da anni. “Paperinetta, la città ha bisogno di te. È il tuo momento”. Non se lo fece ripetere. Rimise ordine tra i volantini sparsi per casa, lucidò la spilletta con scritto “La poesia è civile resistenza”, convocò una riunione d’urgenza del Circolo delle Paperotte e annunciò a voce rotta dall’emozione: “Amiche, siamo chiamate a servire. Questa città ha fame di cultura. E noi porteremo versi”. Nel giro di tre giorni, Paperinetta era ovunque. Con la sua maglietta di Paprey Hepburn, la sua borsa in tela con su scritto “Leggere è Resistere (Anche Se Nessuno Vuole)”, e il sorriso di chi sente di avere una missione.

Lanciò subito l’Operazione Lettura di Massa. Nove cabine telefoniche furono convertite in stazioni poetiche, quattro cassette postali trasformate in scrigni di parole, ventisette bar colonizzati da mini librerie, dodici manifesti con la sua faccia apparvero per le strade con la scritta: “Un popolo che legge è un popolo che non protesta.”
Uno slogan approvato da Testa di Felino, con grande soddisfazione. La stampa locale, perplessa, titolava: “Lettura o fuga dalla realtà?”

Quella di Paperinetta non era una semplice campagna culturale. Era, per lei, una missione: riempire Paperopoli di libri. Paperinetta e il suo Circolo delle Paperotte – Zia Cartolina, Proustina e Flavia Ghiandetta – si organizzarono come un piccolo esercito della salvezza, armate di tomi, poesie, segnalibri e citazioni stampate in Comic Sans. Ogni giorno invadevano un luogo: – All’ingresso del supermercato:“Un’offerta per il sapere? Prendi una lattuga e L’anima e l’orto di Papzolla!” Alla posta: “Perché aspettare in silenzio quando puoi ascoltare un estratto da Papero di Montale?” Sui tram: “Viaggeremo anche verso il nulla, ma almeno riflettiamo! La nausea del quack!” Nei bar della movida: “Versi alcolici! Letture slam alle due del mattino!” Nei cantieri: “Mattone su mattone, sillaba su sillaba, la città cresce.Papiteto, 1923.

La gente cominciò a non poterne più. Quando la vedevano, cambiavano marciapiede.
Abbassavano lo sguardo. Fingevano telefonate. La voce girava:“Occhio… ci sono le Paperotte all’angolo della farmacia!” In breve tempo, Paperinetta diventò l’incubo gentile di Paperopoli. Non faceva male a nessuno. Eppure tutti scappavano da lei. Non per ciò che diceva. Ma perché te lo diceva ovunque. In fila, al semaforo, al bancone del bar, nel bagno del centro commerciale. Con quella voce soave da supplente di lettere, sempre un po’ indignata, sempre un po’ ispirata. Al punto che i cittadini cominciarono a ritirarsi presto la sera, a saltare le code pur di non incrociare una poesia, a disattivare le notifiche culturali. Si parlava solo di come evitarla. La gente non aveva più tempo né energie per pensare ad altro: se anche ti azzardavi a commentare un cantiere fermo o un bilancio opaco, ecco spuntare Paperinetta con un aforisma e tre copie gratuite di “Papocrate e la città ideale”. Era ovunque. Anche dove non l’avevi invitata. Anche dentro casa, se lasciavi la porta socchiusa.

Così mentre la città fuggiva da sonetti e aforismi, Testa di Felino faceva affari in tutta tranquillità, mentre Franz Pennacchio passava le sue giornate a lisciarsi il piumaggio del suo pennacchio. Nessuno chiedeva più di Parpergamella, nessuno chiedeva più degli affari loschi al comune. Nessuno denunciava. Nessuno si impicciava. Erano tutti troppo occupati a schivare Paperinetta.

Il piano aveva funzionato. La cultura non aveva sollevato le coscienze. Aveva semplicemente sfinito tutti. Nessuno chiedeva più nulla. Non per rassegnazione. Ma per paura di incrociare Paperinetta e sentirsi declamare Papocrate e la città ideale al posto del buongiorno. E lei? Paperinetta continuava a girare per Paperopoli col suo sorriso stampato, convinta che la rivoluzione fosse in atto. “Siamo cambiati, lo sento!” disse con orgoglio al Circolo delle Paperotte, mentre appendeva un’altra citazione di Papero di Montale al parchimetro. “Prima si parlava solo cacio e appalti… ora si parla solo di libri! Vedi? La cultura è contagiosa!” Zia Cartolina annuiva. Flavia Ghiandetta piangeva per l’emozione. Proustina stava scrivendo un haiku sul bidone della raccolta differenziata.

Intanto, dietro il loro gazebo poetico, Testa di Felino firmava un’altra concessione edilizia a una ditta con sede in un box doccia dismesso. Ma Paperinetta non vedeva.
E se vedeva, annotava: “Anche un cantiere è poesia, se ci credi abbastanza”. Poi tornava a distribuire segnalibri. Felice. Svampita. Utile. Molto utile… a Testa di Felino. Era talmente felice che annunciò l’evento dl secolo: “La Notte Bianca del Verso Non Richiesto”, convinta di essere la coscienza della città. Quando, in realtà, era solo la sua copertura. Ma lei questo non lo sapeva… forse!