Sono passati 6 mesi dall’emissione degli avvisi di garanzia per il trio dell’intrallazzo a Palazzo dei Bruzi: Cucunato-Potestio-Pecoraro.
Il trio – “avvisato” insieme a tre imprenditori, Francesco Amendola e Antonio Amato, e il responsabile della ditta Medlabor Antonio Scarpelli – è indagato per corruzione e abuso d’ufficio, nell’ambito di un’inchiesta della Guardia di Finanza sugli appalti per la manutenzione cittadina.
In particolare, investigatori ed inquirenti hanno deciso di approfondire la costosa gestione delle luminarie in città, per tre anni sempre affidata alla ditta Medlabor, e costata al Comune di Cosenza la modica cifra di 700mila euro. Ma non solo.
Sotto la lente di ingrandimento sono finite anche tantissime altre delibere e determine emesse negli anni dai dirigenti comunali e dalla giunta. Secondo la Manzini, che coordina le indagini, alcune ditte avrebbero per anni monopolizzato il settore grazie a un trucchetto semplice e banale. I lavori sarebbero stati frazionati in diversi “micro-appalti”, tutti al di sotto della soglia dei 40mila euro, dunque affidabili in via diretta e senza necessità di gara.
E così in questo modo il trio dell’intrallazzo, sotto dettatura di Occhiuto, ha potuto affidare lavori a ditte amiche e in odor di mafia, in cambio di bustarelle e favori.
Una inchiesta, questa, che ha subito diversi “scossoni”: nel portare avanti il suo lavoro, la Manzini, non solo ha subito pesanti pressioni da parte dell’ala corrotta della procura, ma è stata anche boicottata dall’ufficio GIP.
In tanti al tribunale – compreso il procuratore capo Spagnuolo che, come tutta la Calabria sa, ha barattato la Giustizia per un posto di lavoro da dirigente al Comune di Cosenza del nipote con Occhiuto – hanno tentato di fermare la Manzini, perché quello che li preoccupa è che da questa inchiesta potrebbero venire fuori tutte le complicità della procura. Senza le quali, Occhiuto non avrebbe potuto fare quello che ha fatto: truffare i cosentini per 8 milioni di euro.
Ora siamo alla vigilia della chiusura delle indagini preliminari e della “scadenza” degli avvisi di garanzia. Se teniamo conto che l’inchiesta nasce ancora prima dell’emissione degli avvisi di garanzia (19 maggio 2016) – almeno a gennaio, quando ci fu il famoso servizio di Rai 1 sulle luminarie che annuncia l’apertura dell’inchiesta, cioè quasi un anno fa – è giusto pensare che non necessiti più di nessuna proroga per le indagini.
Perciò è normale aspettarsi che da qui a qualche giorno, a chiusura indagini ufficiale (giorno 19 novembre 2016), se non scattano le manette prima, dovrà esserci per forza una prima udienza preliminare.
Oppure la procura dovrà dire che non ha ravvisato nessun reato in tutte le carte che ha esaminato ed archiviare la pratica.
Di sicuro non ci aspettiamo una richiesta di proroga di altri sei mesi delle indagini. Perché le indagini, come sanno tutti, sono state più che effettuate, e poi non ci vuole n’arch’ i scienza per capire dove stanno le violazioni della Legge. Lo abbiamo detto miliardi di volte e mostrato altrettante volte, è dagli stessi atti da loro prodotti che emergono palesemente i reati. Se poi qualcuno fa finta di non vederli perché deve proteggere gli amici degli amici, questo lo lasciamo valutare a tutti voi. Anche il consulente in diritto amministrativo che sta affiancando la Manzini in questa inchiesta, per meglio capire le carte, ha orami un quadro completo della situazione. Non c’è nessuna ragione per continuare a rimandare se non per insabbiare o ammucciare. O prendere tempo in attesa di qualche prescrizione.
Siamo arrivati, cara Manzini, alla fine della storia. Ora tocca a Lei dire che futuro avrà la lotta alla corruzione a Cosenza. Da ciò che lei farà in questi giorni capiremo se si aprirà un nuovo corso improntato alla legalità e al rispetto della Legge che vale per tutti anche nella nostra procura, o se l’amministrazione del denaro pubblico resterà in mano a corrotti, ladri e mafiosi esattamente com’è oggi.
Certo è che la sua è una responsabilità enorme ed io non vorrei essere al posto dei suoi boccoli.
GdD