Una città senza memoria è una città senza futuro. Il vecchio adagio vale per tutte le città ma per Cosenza in maniera particolare perché spesso e volentieri la storia si ripete, magari con forme leggermente diverse, e nessuno se ne accorge o – peggio – se ne ricorda. E la tragedia avvenuta sabato 9 settembre nel quartiere di Torre Alta con l’omicidio del giovanissimo Antonio Ruperti ad opera di un’auto civetta della polizia, a molti ha fatto venire alla mente un’altra tragedia e un altro omicidio, avvenuto il 18 luglio del 1983 vicino alla galleria della Crocetta ad opera, però, della malavita cosentina.
Sì, perché il ragazzo che fu ucciso era nato e cresciuto proprio nel quartiere di Torre Alta. Si chiamava Salvatore Bennardo ed era un giovane calciatore ventenne di belle speranze. Era stato scambiato per un altro ragazzo, che invece era vicino alla malavita e faceva parte di un clan. Lo stesso amaro destino di Antonio Ruperti, che si trovava su quella moto al posto di qualcun altro che era “attenzionato” dalla polizia. In fondo – e lo abbiamo scritto molte volte – stato e mafia sono due facce della stessa medaglia e non solo a Cosenza.
IL QUARTIERE DI PANEBIANCO
Cosenza un tempo finiva alla “salita di Pagliaro”, a qualche centinaio di metri da quella che sarebbe diventata Piazza Fera. Il resto era aperta campagna. Dove non c’era l’erba, c’erano strade. O al massimo qualche baracca di nomadi.
La strada statale 18 è quella che porta al mar Tirreno ma se la percorri tutta alla fine ti porta a Napoli e iniziava già dal territorio di Cosenza. Non appena i governanti capirono che la città poteva continuare anche oltre la “salita di Pagliaro”, nacque, un paio di chilometri più avanti, la traversa “Panebianco”.
Non provate a chiedere ai residenti di quella che ben presto si sarebbe chiamata via Panebianco perché si chiama così.
Vi risponderanno: “Si è sempre chiamata così…”.
Forse Panebianco era uno storico, magari si chiamava Emilio o forse Panebianco prendeva il nome dal prodotto del lavoro faticoso del mulino dei fratelli Bruno che sorgeva proprio lì. Chissà…
All’alba degli anni Cinquanta, il quartiere è già vivo e vegeto e c’è anche qualcuno che gioca a pallone, nel campetto ricavato dallo spiazzale del deposito di legname della Feltrinelli, impresa che impiegava tanti padri di famiglia. Pietro Costabile era il titolare di un’impresa di manufatti in cemento che aveva sede in via Panebianco 73 e anche lui dava lavoro a molti residenti nel quartiere.
Suo figlio Ettore fondò la “Società sportiva Pietro Costabile”, il primo tentativo di squadra di quartiere a via Panebianco. All’epoca, non c’era la stazione di rifornimento carburanti Esso e al suo posto sorgeva una mattoneria, più precisamente la “mattoneria di Pupo”. Anche questa dava lavoro a tanti residenti nel quartiere.
Qualche anno dopo nasce l’Unione sportiva Spartak Panebianco, che era animata da una sezione cittadina del Partito Comunista nella quale militavano, tra gli altri, Alfredo Montera, il titolare del panificio, Gaetano Belmonte e Filippo Domma. Entrambe le squadre, tuttavia, hanno avuto breve durata.
IL QUARTIERE DI TORRE ALTA
Arriviamo così agli anni Sessanta. Nel cuore del quartiere di via Panebianco c’è una traversa che porta in un rione di case popolari rimasto ancora oggi – escluso qualche inevitabile “palazzone” – com’era cinquant’anni fa. E’ il rione di Torre Alta, da non confondere con la vicina frazione di Torre Rossa.
In pieno regime fascista sono state edificate le prime case popolari nelle quali abitavano i ferrovieri, i dipendenti delle Poste e quelli del Comune. Erano decisamente “basse” (nonostante il nome del quartiere) e difficilmente abitabili e vivibili. Nei primi anni Cinquanta, superata l’emergenza della dittatura, quelle stesse case sono state ristrutturate e rese più “alte” e altre ne sono state costruite. Quasi superfluo sottolineare che le famiglie attestate a Torre Alta non navigavano nell’oro e che, quasi inevitabilmente, qualche ragazzo sbagliava strada seguendo cattivi esempi purtroppo… a portata di mano.
Nella zona il Comune aveva sistemato un centro sociale. Niente di eccezionale, ma rappresentava un punto di riferimento per chi aveva situazioni di disagio particolare. Ma non era certo il centro sociale che funzionava da spazio di aggregazione per la gente del quartiere. E qui entra in scena il vero pioniere del fenomeno calcistico do Torre Alta, Attilio Flavio.
“Mio padre Attilio – racconta Stefano Flavio – lavorava all’Ept, l’Ente provinciale per il turismo. Un lavoro dignitoso, che gli permetteva di mettere da parte qualche risparmio. Noi ragazzini, all’inizio degli anni Sessanta, stavamo sempre in mezzo alla strada a tirare calci ad un pallone o a qualcosa che gli somigliasse: non c’era altra distrazione “lecita” al di fuori del calcio. Mio padre si fermava a guardarci e in cuor suo voleva fare qualcosa per organizzarci e così nel 1963 quando il fenomeno delle squadre di quartiere iniziava a prendere piede in quelli più benestanti ma anche in quelli più popolari come a Casali e allo Spirito Santo, si decise a perfezionare l’iscrizione della nostra squadretta di ragazzini alla Federazione Gioco Calcio cosentina e nacque così la “Società sportiva Torre Alta”.
Giocavamo i campionati Juniores, Allievi e Terza Categoria. E finanche il centro sociale ci venne incontro mettendoci a disposizione i suoi locali per svolgere le riunioni e conservare il materiale che ci serviva per le partite”. Quella piccola società inizierà a dare le prime grandi soddisfazioni in termini agonistici ai ragazzi del quartiere di Panebianco, che sono ovviamente più numerosi.
Parliamo dei gemelli del gol Stefano Flavio (figlio di Attilio) e Michele Petrone, di Nino Candido, del velocissimo attaccante Pino Vivone, del capitano Santino Pellico e anche di Cosimo De Tommaso, allora spericolato portiere e oggi sindaco di San Lucido, giusto per citare i più “famosi”. Ma soprattutto di Luigi “Gigino” Cristo (foto sopra), storico capitano e primo grande Campione del quartiere di Torre Alta, che diventerà un calciatore di spicco nella Morrone degli anni Sessanta e Settanta nel ruolo di terzino sinistro. Cristo ha fatto parte del gruppo storico della Morrone. Entrato nella famiglia granata grazie soprattutto ai “suggerimenti” del compianto bomber Franco Calvosa (che poi diventerà suo cognato), il forte difensore è stato uno dei principali protagonisti della storica promozione in Serie D del 1974 e della finale di Coppa Italia Dilettanti dell’anno prima.
Nel 1969, a tre anni di distanza dallo scioglimento della prima squadra di quartiere fondata da Attilio Flavio, tocca a Franco Dodaro la prosecuzione della storia di Torre Alta. Dodaro è un esperto amministratore e fa il consulente del lavoro: anche lui non naviga nell’oro ma sente di dover fare qualcosa per il suo quartiere. “Sono nato e cresciuto a Torre Alta e ancora oggi – racconta Dodaro – il mio ufficio è lì, a due passi dalla villetta. Dopo la conclusione dell’esperienza di Flavio, nel quartiere era rimasto un vuoto. Bisognava creare di nuovo lo stesso fenomeno di aggregazione e ho capito che sarebbe toccato a me fondare la Nuova Torre Alta”. Quella società sfornerà grandi talenti tra i quali Vincenzo Liguori, Tonino Cristiano, Mimmo Sirianni, Mimmo Cacozza, Franco Carbone, Franco Giordano, Giovanni Tormento e Franco Fontana.
Vincenzo Liguori (foto sopra), classe 1958, è stato il campione più importante rivelatosi nella Torre Alta. “Io ho fatto giocare soltanto ragazzi del mio quartiere – ricorda ancora Dodaro – e la famiglia Liguori abitava a due passi da casa mia. Erano sei fratelli, padre operaio e madre casalinga e non se la passavano troppo bene. Vincenzo veniva a mangiare da me, ci pensavo io a farlo crescere e irrobustire. A 14 anni era già fortissimo. Per me è sempre stato un mediano, anche se poi ha fatto anche la mezzala e il tornante. La sua caratteristica dominante era la corsa, non si fermava mai: coprire e ripartire. Avevo “falsificato” il suo cartellino per farlo giocare con i più grandi… Lo voleva il Catanzaro di Gianni Di Marzio ma poi presero Raise e così l’ho dato al Cosenza gratis… Ha fatto due anni di “Berretti”, poi ha esordito in Serie C nel 1976/77 e l’anno successivo era già titolare inamovibile. La consacrazione definitiva sarebbe arrivata tra il il 1978 e il 1980, con due splendidi campionati di C2, l’ultimo dei quali coronato con la promozione in C1 con Sonetti in panchina. Ha giocato quasi 100 partite con il Cosenza e poi è stato ceduto a suon di milioni al Campania, che ha sfiorato più volte la promozione in Serie B”.
SALVATORE BENNARDO
Siamo a metà degli anni Settanta. La Nuova Torre Alta continua a dare sfogo alla grande fame di calcio dei ragazzi del quartiere. “La mia è stata realmente una squadra di quartiere – dice Franco Dodaro -. Non ho mai fatto “campagna acquisti” come molti altri talent scout, non mi interessava vincere a tutti i costi o “piazzare” questo o quel giocatore. Non ho mai inseguito il mito dei guadagni”. Tra i nuovi talenti che si affacciano alla ribalta c’è il fratello di Vincenzo Liguori, Aldo, mediano, classe 1961 che sarà uno dei punti di forza della Rappresentativa Giovanissimi di Cosenza che diventerà Campione d’Italia nel 1975. Al pari di Franco Mirabelli, anche lui classe ’61, mezzapunta e fantasista, che nel 1978 passerà al Perugia.
Salvatore Bennardo è un anno più piccolo, classe 1962. Dodaro lo fa giocare da ala tornante con la maglia numero sette come il giovane Nino della canzone di De Gregori. “Tecnicamente era superiore sia a Liguori che a Mirabelli. Saltava l’uomo con facilità, con il pallone sembrava che ci parlasse, poteva giocare anche da mezzala, ma aveva qualche limite caratteriale”.
In quella squadra giocano altri ottimi giovani talenti. A partire dal libero Roberto De Napoli, per continuare con il terzino il compianto Pino Vecchio, difensore tecnico ed elegante, passato poi alla Panebianco e al Rende insieme alla mezzala Francesco Belmonte, al terzino Franco Plastina e al portiere Mario Cosenza.

Liguori, Bennardo, Mirabelli e De Napoli invece passano alla Florentia perché Franco Dodaro non ce la fa più a sostenere da solo tutto il peso dell’organizzazione e “gira” al presidente Gianni Curcio i suoi migliori calciatori diventando anche lui dirigente della società.
Nella stagione 1976/77 la Florentia, rafforzata dai ragazzi di Torre Alta, vince a sorpresa il titolo provinciale Giovanissimi. Le tre “stelle” della Nuova Torre Alta si aggiungono ai “campioncini” Sergio Brogno (attaccante, ala sinistra di grandi qualità tecniche e atletiche), Gianfranco Sicilia. Franco Filippelli e Arturo Belmonte, che invece si sono messi in evidenza con la Florentia.
Liguori, Mirabelli e Bennardo formano un pacchetto di centrocampo formidabile, che si integra alla perfezione con il tandem d’attacco Belmonte-Brogno. A Bennardo non vengono affidati compiti particolari: viene lasciato libero di seguire il suo estro. Nella finale contro il Commenda, i ragazzi in maglia viola vincono 1-0: segna Mirabelli su assist di Bennardo. Sergio Brogno e Franco Mirabelli, a fine stagione, vengono acquistati dalla Fiorentina e dal Perugia.
Salvatore Bennardo gioca anche la stagione 1977/78 con la Florentia del presidente Curcio e si consacra definitivamente tra i migliori talenti della Calabria. Centrocampista di piede destro e all’occorrenza anche ala tornante, assicura tanta qualità ma anche la necessaria quantità in termini di corsa. Tocca il pallone come pochi e la sua fantasia incanta chiunque si fermi un attimo a guardarlo giocare. La Florentia verrà battuta in finale dalla Popiliana ma per Salvatore arriva il momento di spiccare il volo. Lo acquisterà la Ternana, che ormai pesca sempre più spesso dalla nostra realtà. Dagli scaleoti Nino Cardillo e Silvio Longobucco ai cosentini Salvatore Garritano e Sandro Crispino agli altri due scaleoti Carmelo Bagnato e Carmelo Latorre. Nino Cardillo, in particolare, da qualche anno, dopo aver smesso di giocare, era diventato il direttore sportivo della squadra rossoverde.
Bennardo viene selezionato insieme ai compagni Gianfranco Sicilia e Franco Filippelli e nell’estate del 1978 – a sedici anni ancora non compiuti – vola a Terni. Possono ancora giocare un anno tra gli Allievi e poi la prospettiva è quella di passare alla Primavera e quindi nel giro della prima squadra.“Io e Salvatore – racconta Franco Filippelli – alloggiavamo in una sorta di foresteria, come le chiamano oggi, accuditi da una bravissima signora. Certo, le “ritirate” erano quello che erano: dovevamo tornare a casa alle 20,30 e c’era sempre qualcuno che controllava. Ma spesso riuscivamo a eludere i controlli e ci divertivamo insieme. A Terni siamo rimasti due anni, fino all’estate del 1980: dopo il campionato Allievi, anche noi abbiamo giocato quello Primavera. Subito dopo però la Ternana è retrocessa in Serie C, ha attraversato una grave crisi finanziaria ed è stata costretta a smantellare il settore giovanile, quindi siamo dovuti tornare a Cosenza, non c’era alternativa”.
Salvatore Bennardo era un centrocampista elegante e tecnico, aveva un tocco di palla sopraffino, siamo in tanti noi, ormai sessantenni, che ricordiamo perfettamente di averlo visto in azione. Calciava con grande abilità, soprattutto da lontano ed era anche molto rapido. Certo, forse era un po’ troppo “innamorato” del pallone, nel senso che gli piaceva eccessivamente dribblare gli avversari ma riusciva a farlo come pochi e sia i compagni sia il presidente Curcio glielo perdonavano. A Terni, poi, ricordano i suoi compagni Sicilia e Filippelli, il suo modo di giocare era diventato più fluido e anche quel vizio del dribbling insistente era diventato più accettabile. I tecnici della Ternana lo tenevano in grande considerazione e affermavano, con grande cognizione di causa, che era un talento naturale da disciplinare appena un po’. E’ stato decisamente sfortunato: se la Ternana non fosse andata in crisi, Salvatore sarebbe rimasto certamente ancora a Terni e non sarebbe andato incontro al suo tragico destino.
Dopo la forzata conclusione della sua esperienza a Terni, nell’estate del 1980, Salvatore Bennardo era tornato a Cosenza, a 18 anni, e aveva continuato a giocare: la prima squadra che lo aveva tesserato era stata il Corigliano, con la quale aveva disputato un ottimo torneo di Promozione e poi, nella stagione 1981-82, era passato alla Morrone, la seconda squadra di Cosenza, ancora in Promozione e aveva già giocato due campionati con la maglia granata della società guidata all’epoca da Vincenzo Perri, ex presidente della Popiliana.
Ormai dagli anni Sessanta è una tradizione che in estate, dopo la fine dei campionati dilettantistici, si svolgano tornei estivi nelle località balneari del Tirreno Cosentino e sono tanti i calciatori anche importanti che vi prendono parte. Quell’anno Salvatore Bennardo va a giocare con gli amici di sempre a Fuscaldo. In quel periodo a Cosenza è ancora in atto la prima sanguinosa guerra di mafia tra i clan Pino-Sena e Perna-Pranno. La sera del 18 luglio, alla fine della partita, Salvatore è a bordo della A112 di uno dei ragazzi di Torre Alta qualche anno più grande di lui e sta percorrendo la statale ma vicino alla galleria Crocetta da una Fiat 128 rossa partono una serie di colpi di pistola. Uno dei proiettili colpisce Salvatore alla testa. In seguito, il pentito Roberto Pagano spiegherà che i veri bersagli dell’agguato erano alcuni picciotti del clan Perna. Salvatore Bennardo non c’entrava niente con i clan e con la guerra di mafia, giocava solo a pallone: era stato scambiato per uno degli esponenti del clan Perna, al quale somigliava e ucciso per errore. Pagano rivelò anche alcuni nomi dei sicari del clan Perna ma non ci furono le prove sufficienti per condannarli.
“Se n’è andato troppo presto e il vuoto che ha lasciato ci impedisce ancora oggi, a 40 anni di distanza, di poterne parlare con distacco” diceva Franco Filippelli.
“E’ stata una tragedia che ancora oggi fa venire i brividi – affermava visibilmente commosso Franco Dodaro -. E’ impossibile parlarne con distacco. Io poi Salvatore l’ho visto crescere, è diventato calciatore con la mia Torre Alta, non potrò mai dimenticarlo”.
Qualche tempo fa anche qualcun altro si è ricordato di Salvatore Bennardo.
“Nell’estate del 1983 fu ucciso a Cosenza, per scambio di persona, un giovane ragazzo di 20 anni, Salvatore Bennardo, che merita di essere ricordato degnamente”. Lo affermava Simona Loizzo, oggi deputata della Lega.
“Salvatore era un giovane e promettente calciatore – che fu ucciso, nell’ambito della guerra di ‘ndrangheta cosentina, perché somigliante a un picciotti locale. Non c’è una strada, una via, qualcosa che lo ricordi – aggiungeva Loizzo – e che gli renda giustizia. La famiglia ha sofferto in silenzio per tutti questi anni ma è venuto il tempo di concedere a Salvatore Bennardo gli onori che merita nel ricordo di tutti quelli che lo hanno conosciuto e amato nella sua giovane esistenza”.
Tra i ragazzi che nel 1975 giocavano con la Nuova Torre Alta insieme a Salvatore Bennardo c’era anche Franco Bruno, classe 1962 anche lui, jolly di difesa e centrocampo. Bruno negli anni è diventato prima un affermato ingegnere e dopo anche un uomo politico importante, ricoprendo anche le cariche di senatore e deputato in area centrista. Franco Bruno non ha mai dimenticato il suo compagno di squadra e non c’è dubbio che abbia contribuito anche lui a sollecitare a Simona Loizzo di intervenire pubblicamente per ricordare Bennardo. Bruno ha sempre sentito moltissimo l’appartenenza al suo quartiere e anche suo padre, da giovane, aveva giocato a pallone, in porta, con la Spartak di Panebianco.
Oggi che il destino ha voluto che una tragedia molto simile a quella di Salvatore Bennardo sia avvenuta proprio nel suo quartiere di Torre Alta, non possiamo che suggerirgli di fare qualcosa per ricordare degnamente non solo Salvatore ma anche Antonio Ruperti. E quella strada, quella via non può che ricadere nel territorio del quartiere di Torre Alta e non potrà che accomunare entrambi i giovani cosentini uniti per sempre da questo comune tragico destino. Via Salvatore Bennardo e Antonio Ruperti, ragazzi uccisi per errore dalla mafia e dallo stato.