di Saverio Di Giorno
Bisogna non avere senso della realtà per pensare che quello che è avvenuto al direttore Carchidi rientri in un normale controllo, come qualcuno ha provato a scrivere. Senza nessuna credibilità, peraltro. Un controllo che è un’identificazione di tipo squadrista. Immagini che ricordano la repressione della polizia sui neri in America o la dittatura ungherese su Ilaria Salis. Sia per le motivazioni, che per il metodo.
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Perché loro vorrebbero che si riducesse ad una questione di Iacchite’, privata. Invece è pubblica. E di questo parliamo. Motivazioni e metodo. E poi un consiglio, ma solo alla fine, per la prossima volta: sulle motivazioni da contestare, su quello che continueremo a fare. Sono anni che si va scrivendo che nelle periferie la storia arriva prima e più evidente. Diventa solo più palese quello che avviene poi ovunque. I metodi vengono sperimentati per poi essere esportati. Perché se tanto avviene in Calabria, se tanto avviene su Iacchite’ va bene. Perché “Iacchite’ provoca” … magari si trova anche qualche applauso. Ma è solo questione di tempo: prima di trovare qualche altro pretesto per altre categorie. È sempre stato così: i sistemi per spostare i magistrati in Calabria e censurare le inchieste, sono ora leggi acquisite. I metodi per fermare la stampa, sono ora pratica diffusa ovunque. Quello che avviene in Ungheria viene applicato in Italia, quello che avviene in Calabria e a Cosenza non è mai un’eccezione, una falla in una democrazia: è un avvertimento, un monito e una profezia di quello che sarà norma.
Già Michele Santagata ha spiegato benissimo le vere motivazioni, il bisogno di avere il feticcio, di “farsi bello” agli occhi dei superiori. Le motivazioni vanno cercate in quello che su Iacchite’ è uscito sulla droga, sulle guerre interne e gli spioni eccetera. Allora parliamo di altro: parliamo di come sia possibile che questo accada e dell’obiettivo, che solo ora e solo momentaneamente è Carchidi e Iacchite’. E l’obiettivo è il solito dello squadrismo da ottant’anni: colpirne uno per educarne cento. È stato possibile dopo anni di un continuo picconare alle garanzie di democrazia (la stampa), dopo di delegittimazione e di completa copertura. Ci arriviamo.
Non è una questione privata, non riguarda solo Carchidi. Ma “Iacchite’ provoca”, “Iacchite’ esagera…” sembra di sentire il coro. E no! Troppo facile. Ma certo che provoca ed esagera, perché è quello che si deve poter fare in democrazia. Ma nessuno ricorda il Tano Seduto di Peppino Impastato a Radio Aut? Nessuno ricorda più le pagine satiriche de “Il Male”? Ed è per questo che si arriva prima su Carchidi. Ma solo prima, in ordine di tempo, appunto.
Iacchite’ presidia. Iacchite’ allarga il campo della critica, del dileggio del potere. Dove altri bloccano le stampe se il parlamentare di turno lo chiede, dove gli altri accettano le veline delle procure o la pubblicità dei grandi gruppi, fino ai banali post senza nome dove si dice e non si dice. Dove altri conservano foto e fascicoli per tirarli fuori solo come garanzia, solo come dossieraggio. Ecco, Iacchite’ ricorda che non ci sono innominabili, che non ci sono tabù. Prima che anche su questo la censura o, peggio, autocensura chiuda questi pochi spazi. È lo spazio dove “le guardie” – proprio quelle perbene – magari si rivolgono quando qualche fascicolo non riesce ad andare avanti perché sgradito. Quelle spostate e demansionate. E vale per questo come per altri uffici. È lo spazio dove i medici o i dipendenti possono far sapere cosa accade all’interno delle cliniche. È lo spazio dei dipendenti delle aziende dei rifiuti o di qualsiasi altro posto di prevaricazione. Ecco l’obiettivo: colpirne uno educarne cento. È un avviso a loro e a chi è rimasto a parlare. Che non saranno cento, ormai in una città e in una regione senza coscienza civile, ma anche dieci son troppi. Ma gli altri non potete identificarli, perché sono fonti. E possono essere ovunque. Non potete identificarci tutti, tutti quelli che in un modo o nell’altro hanno contribuito ad occupare con uno scritto, una notizia questo spazio virtuale. Non potete identificarci tutti.
Andiamo al metodo. Come si può arrivare ad un placcaggio in pubblico che ricorda la repressione della polizia sui neri o i metodi ungheresi su Ilaria Salis? È solo il punto di arrivo dopo anni. Non si contano le querele temerarie e i tentativi di delegittimazione, ma diciamo pure che quelle sono parole e armi di tribunale, in qualche modo legittime. Ma poi c’è stata la censura (per stampa clandestina!), i pestaggi e via di questo passo. Ogni volta un passo in più. Garantito dall’impunità, dalle coperture. È solo un metodo: querelare, censurare, controllare, intimidire, delegittimare. Metodo scientifico. Come per gli altri, demansionare, ridurre lo stipendio spostare. Esperimenti che prima sono stati applicati qui, poi altrove e poi diventate leggi (sulle intercettazioni, sulla stampa, sulle manifestazioni). E che hanno permesso a procuratori di finire carriere indisturbati, a parlamentare di essere eletti e manager di fatturare milioni. Grazie alle notizie soppresse, ai dipendenti spostati, al ricatto economico.
Solo una cosa. La prossima volta usate delle motivazioni più sensate. E ve le scrivo qua. Rivelazione di segreto (istruttorio, d’ufficio quello che vi pare), pubblicazione di intercettazioni, di verbali, di nomi. Dileggio del potere. Tutte cose che i vostri rappresentati hanno fatto diventare illegali e che per obiezione di coscienza (quella civile!) continueremo a fare.