Le parole che non ti ho detto. Quando l’astensione parla più del voto
Il popolo si è espresso. E se non si è espresso, in larga maggioranza non l’ha fatto per strafottenza nei confronti del tema “fusione”, quanto piuttosto per il “latte alle ginocchia” fattogli scendere da un argomento evidentemente avvertito dalla popolazione come un’arma utile a pochi rispetto alle vere priorità di territori che hanno o, per meglio dire avrebbero, bisogno di ben altro.
Cosenza sta morendo. Cruda ma nuda verità. Fonderla amministrativamente con gli altri due Comuni conurbati non si riesce a capire, date le condizioni attuali, neanche volendo immaginare gli scenari più fantasiosi, come questa soluzione potrebbe contribuire a dargli l’ossigeno che gli serve. L’analisi non può certo prescindere da un contesto generale nazionale e financo europeo che vede città in crisi, con numeri impressionanti di attività commerciali che sempre più numerose abbassano le loro saracinesche, a causa certo anche della pandemia da intendere però come starter di una serie di fenomeni che già avevano intaccato il tessuto produttivo e commerciale (crisi economiche, boom del commercio on line, monopolio dei centri cittadini da parte di stra-ricchissime catene commerciali di bassa qualità a basso costo) ma Cosenza ci ha messo del suo per affondare definitivamente.
La città delle mille pizzerie per un numero sempre minore di abitanti ai quali ormai rimane solo un’offerta sproporzionata di carboidrati, ha voluto provare ad essere la più green d’Italia senza possedere cultura e spazi necessari per contemperare sostenibilità, fruibilità e mobilità collettiva o condivisa. Si è puntato solo all’anima verde, o all’anima de li mortacci (come direbbero a Roma), volendo abbassare di colpo il tenore sin qui tenuto, amputando il traffico veicolare, chiudendo le traverse di collegamento, eliminando i parcheggi e costringendo di fatto molte attività a chiudere i battenti.
Piuttosto che pensare alla fusione a freddo ora le priorità per Cosenza e l’intera Area urbana sarebbero decisamente altre. I sostenitori del SI dovrebbero sedersi attorno ad un tavolo e, recitando un più che opportuno “mea culpa”, dovrebbero immediatamente avviare i lavori di smantellamento delle pressochè inutilizzate piste ciclabili di Viale Parco, compresi gli assurdi campi da gioco e le per nulla terapeutiche piante del benessere (?), riportando tutto al progetto originario con parcheggi annessi. Era stata una straordinaria intuizione urbanistica, reciderla ha rappresentato per la città una ferita mortale. Si parcheggiava sul Viale o nelle traverse in corrispondenza dei negozi di via XIV Maggio o di Corso Mazzini e si poteva anche comprare qualcosa di più pesante da portare perché l’automobile era vicina. Ma come si fa a pensare che una popolazione sempre più anziana possa percorrere chilometri con buste e pacchi degli acquisti in mano per raggiungere i parcheggi interrati?
Ripristinare l’originaria struttura viaria di piazza Loreto dovrebbe essere un’altra priorità per ridare al flusso veicolare fluidità senza costringere gli automobilisti a giri immensi creando maggiore inquinamento. Altro che abbattimento delle emissioni. Rendere il centro storico transitabile da auto private e navette arricchendolo di parcheggi gratuiti in ogni angolo possibile dovrebbe rappresentare un altro diktat che le classi politiche, comunale e regionale, dovrebbero imporsi. Tutto questo in un generale quadro di maggiore appetibilità della città e dei suoi due Centri per frenarne lo spopolamento cercando di attrarre nuovi abitanti e nuove attività, agevolandone burocraticamente e finanziariamente il loro insediamento.
Parlare di fusione in una città che come Cosenza è diventata una città fantasma, che vive grazie alle presenze provenienti dall’hinterland per esigenze lavorative o di struscio che il pomeriggio o la sera tornano a casa spopolandola, è solo inutile. Potrebbe la fusione apportare nuove energie? No, non servirebbe a nulla.
Piuttosto servirebbe rendere di nuovo funzionante la tratta ferroviaria esistente riattivando le stazioni dismesse per portare i cittadini di Torano, Montalto, Rose in 10 minuti in centro evitando loro di prendere la macchina e di intasare una città in agonia. E servirebbe, visto che passa sotto le pensiline dell’Università, a portare gli studenti in città, magari spostandovi qualche facoltà e rianimando così il Centro Storico.
L’avevano già progettata la Metropolitana di Superfice nonostante la linea ferroviaria dismessa e quindi pronta a 50 metri. Un’opera stupida e dispendiosa che ora fa il paio con la Fusione a freddo. Sarebbe costata minimo 10 milioni di euro. Avrebbero scassato anche la parte rendese di Viale Parco e i costi non sarebbero mai stati ammortizzati perché non avrebbe coinvolto le popolazioni dei centri della Valle del Crati attraverso cui invece l’esistente ferrovia passa già. Un’altra ideona che stimola lo stesso interrogativo: ma tutte queste genialate …cui prodest?
Ora si sta ragionando sul come indorare la pillola per superare il netto No alla Fusione di ieri. Si sta pensando, continuando a perdere tempo e risorse, a nuove iniziative di comunicazione. Anziché iniziare a rimboccarsi le maniche nei tre territori per cercare di risollevare le sorti di Comuni che un tempo rappresentarono la Calabria del Nord, quella evoluta, con Rende che sembrava in provincia di Zurigo e non la triste cittadina-dormitorio che è diventata alla stessa stregua di Castrolibero anche se pur sempre più vitali del capoluogo dove la massima espressione della vitalità è rimasta una tristissima Festa del Cioccolato dove un pezzetto di fondente costa il triplo di quanto lo si pagherebbe in un negozio.
Sfugge, o lo si vuole fare sfuggire per interessi particolari, che il concetto chiave sul quale occorre imperniare tutta l’azione politico-amministrativa è solo uno: frenare lo spopolamento, soprattutto di Cosenza. Occorre rendere fruibile, agile, facile, flessibile la città. Occorre agevolare il traffico privato e incrementare al contempo con ottimizzazioni ed investimenti oculati la mobilità collettiva rendendola in termini economici e di tempistica più conveniente di quella individuale. Bisogna scegliere di non imporre comportamenti ma di offrire alternative più vantaggiose. E occorre proporre incentivi ed esenzioni a chi decide di rischiare in attività commerciali nuove che apportino valore al territorio rispetto a quelle esistenti. Per intenderci meno pizzerie bar, parrucchieri e barbieri e più negozi di abbigliamento, di mercerie, di oggetti per la casa, di botteghe, di laboratori, di artigianato nelle sue molteplici espressioni magari collegate a scuole di formazione professionale. Di proposte belle e nuove che riempiano le vetrine e tornino ad illuminare la città.
Con tante cose da pensare e fare in maniera seria e costruttiva, ovvio che la stragrande maggioranza di cosentini abbia preferito non pronunciarsi sulla fusione di Cosenza, Rende e Castrolibero (orribile CORECA) annoverandola come l’ennesimo gioco di prestigio non riuscito da parte di maghi sempre più improvvisati. Sono le parole che i cosentini non hanno detto. E meno male.