Oggi la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dalla Procura Generale avverso la sentenza dalla Corte di Appello di Catanzaro del 20.06.2024, con cui veniva confermata la sentenza del Tribunale di Lamezia Terme che aveva dichiarato l’improcedibilità per associazione mafiosa nei miei confronti fino al 28.12.2016. L’associazione mafiosa è l’unico reato che mi viene contestato, e che ha determinato in via cautelare il 3 maggio 2021 la mia detenzione nel carcere di Poggioreale a Napoli per 17 mesi, agli arresti domiciliari per i successivi 19 mesi, ed oltre 5 mesi di obbligo di dimora a Cosenza e Rende con obbligo di rientro a casa alle 20,00, sino al 15 novenbre scorso, quando il Tribunale di Lamezia – dove è in corso il processo – ha revocato la misura. Per lo stesso reato di associazione mafiosa era stato istruito un altro procedimento penale, concluso con un decreto di archiviazione del 28 novembre 2016, richiesto dal pubblico ministero ed emesso dal giudice per le indagini preliminari, decreto che non era mai stato riaperto né revocato, e del quale io non avevo avuto mai alcuna conoscenza.
La presenza di un decreto di archiviazione consente alla Procura della Repubblica di indagare nuovamente per quegli stessi fatti e nei confronti degli stessi soggetti, ma solo in presenza di un’autorizzazione motivata da fatti nuovi, resa dal giudice per le indagini preliminari, su espressa richiesta del pubblico ministero. Nel mio caso, questa autorizzazione motivata alla riapertura delle indagini archiviate il 28 novembre 2016 non è mai stata chiesta dal pubblico ministero, e ciò ha determinato l’impossibilità, tecnica, di contestarmi il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso per il periodo “coperto”, appunto, da quella archiviazione. Nella scorsa udienza dell’8 novembre, nel corso del controesame ad uno degli investigatori, i fatti oggetto di contestazione (indicati nel capo di imputazione come avvenuti da aprile del 2000 con condotta perdurante), sono stati circoscritti ad un periodo precedente al 28.11.2016. La sentenza della Corte di Cassazione sostanzialmente afferma che io non potevo più essere indagato, e meno che mai essere oggetto di alcuna misura cautelare. Dopo 3 anni ed 8 mesi dal mio arresto, si ristabilisce lo Stato di diritto. Il processo di primo grado è in fase avanzata, e la magistratura giudicante, che oramai conosce nel dettaglio tutte le circostanze contestatemi, ed è in grado di valutare anche il merito delle accuse, sarpà operare in conformità allo Stato di diritto. Intanto mi riprendo la dignità e la credibilità che mi erano state tolte in modo così violento e devastante.
Vittorio Palermo