C’è un solo posto dove le leggi dello Stato vengono ignorate, trascurate e interpretate per amici e nemici: la Calabria ma in modo particolare Cosenza.
Non si spiega altrimenti come abbia fatto a prosperare per decenni Fra’ Remigio Magnelli, oggi spedito al divieto di dimora dal porto delle nebbie di Cosenza, ribattezzato così da noi in onore del personaggio squallido e beone descritto da Umberto Eco nel “Nome della Rosa”.
Fra’ Remigio da Varagine, ex dolciniano eretico, stava in convento a rimpinzarsi “la pancia e la verga”. Era un ignorante di potere.
Fra’ Remigio Magnelli non era un dolciniano eretico ma proveniva dalla Balena bianca ossia la Democrazia cristiana e dalla Cisl (si dice che un tempo sia stato addirittura misasiano…), ma ben presto si è convertito al Cinghialesimo, nel senso che è diventato il factotum del Cinghiale, al secolo Tonino Gentile, il ras più importante della sanità cosentina.
Remigio Magnelli ha continuato incredibilmente a dirigere l’Ufficio Personale dell’Asp di Cosenza (un posto strategico per l’ufficio di collocamento dei politici corrotti) nonostante la condanna in primo grado inflittagli dal Tribunale di Cosenza. Un anno di reclusione per abuso di ufficio. Cosa aveva fatto Remigio? Aveva attestato falsamente che non vi erano professionalità interne al fine di favorire l’assunzione illegittima di Michele Fazzolari, altro noto colletto bianco della sanitò cosentina. La legge 39 del 2013 meglio nota cone legge Severino parla chiaro: chi è stato condannato, anche con sentenza non definitiva, per reati contro la pubblica amministrazione deve essere retrocesso. Quindi, doveva essere il dott. Alberto Siciliano, incensurato, a ricoprire quel ruolo. Ma non c’è stato verso. Nel frattempo, per non saper né leggere e né scrivere, l’Asp gli ha riconosciuto persino i soldi del periodo nel quale non aveva fatto ricorso e lui era rimasto abusivamente al suo posto. Citiamo solo questo caso-limite perché ci sono ancora altre vicende giudiziarie che vedono protagonista Fra’ Remigio.
Nessuno, però, osava toccare Magnelli. Non lo aveva fatto Filippelli e non lo aveva fatto Mauro, che è uomo di mondo e “fratello” dei fratelli, ha capito l’aria che tirava e non voleva rischiare nulla. Anche perché l’avvocato Silvia Cumino, responsabile anticorruzione dell’Asp, che aveva segnalato il caso a Cantone, com’era suo dovere, e aveva pagato l’affronto con la rimozione dall’incarico: non si disturbano i manovratori.
Magnelli, ovviamente, oltre ad essere un fedelissimo del Cinghiale nel suo regno della sanità, non veniva cacciato a calci nel sedere per una serie di precise ragioni.
Come successe del resto per il suo predecessore, il dottore Bellusci (più volte indagato), che non si sapeva quanti cedolini mensili di pagamento avesse in nero. Era insostituibile perché aveva cablato il servizio e lui e solo lui poteva capirci. Solo quando era ormai in odor di pensione, il fido Magnelli venne affiancato al Bellusci per essere istruito nei vari malaffari orchestrati dal Cinghiale. E così è accaduto lo stesso per il Magnelli.
E poi, si sa, senza condanne, avvisi di garanzia e rinvii a giudizio, non si fa carriera. Eppure nell’Asp si trovano tanti dirigenti capaci e incorruttibili. Magnelli non era neanche determinante in politica, non avendo un bacino di voti se non quello suo e della sua famiglia. Ma è evidente che conosceva segreti troppo grandi per essere affidati al primo arrivato o a qualcuno che li potesse smascherare.
Tanto grandi che ha potuto permettersi addirittura di far lavorare anche sua moglie all’ASP.
Lei si chiama Marcella Scarpelli e tutti ormai l’hanno ribattezzata “Assopigliatutto”. Lavorava alle Poste Italiane e chissà per quale meccanismo va in pre-pensionamento ed al suo posto viene assunto il figlio, senza nessun concorso, in barba a molti giovani che per trovare un posto di lavoro devono fare i salti mortali.
Non contenta di tutto questo era stata assunta in una cooperativa cinghialesca (la SEATT di Gianfranco Ponzio detto il Cinghialotto), e poi è approdata al Dipartimento Farmaceutico ASP di Cosenza, via delle Medaglie d’Oro.
È amministrativa. La sua direttrice è la dottoressa Marilù Vulnera, figlia del noto costruttore e ormai ex compagna del noto truffatore Mimmo Barile.
Della serie: Dio li fa e poi li accoppia. E mangiano sempre alla faccia dei cittadini onesti.