Cosenza, sentenza processo “Reset” rito abbreviato: 20 anni a Patitucci, Porcaro e D’Ambrosio, assolti De Cicco e Pisani

Roberto Porcaro e Francesco Patitucci

A Castrovillari il Gup Fabiana Giacchetti ha pronunciato la sentenza relativa al processo “Reset” della Dda di Catanzaro per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato. Il processo è scaturito dal blitz a Cosenza e Rende del 1° settembre 2022. Le pene più severe sono state comminate a Francesco Patitucci e Roberto Porcaro (20 anni), ritenuti dalla Dda i capi della confederazione delle cosche cosentine della ‘ndrangheta formata da diversi gruppi criminali. Dal clan degli “Italiani” alla famiglia degli Abbruzzese, meglio conosciuta come “Banana”.

20 anni sono stati inflitti anche a Luigi e Marco Abbruzzese, ad Adolfo D’Ambrosio, ad Andrea Greco e ad Erminio Pezzi. 19 anni a Fiore Bevilacqua detto Mano Mozza. 18 anni a Maurizio Rango e Antonio Marotta. 17 anni a Claudio Alushi, 15 anni a Gennaro Presta e Salvatore Ariello, 16 anni a Nicola e Franco Abbruzzese ed Enzo Piattello, 14 anni ad Antonio Abbruzzese, alias Strusciatappine, a Mario “Renato” Piromallo, Ivan Montualdista, Marco D’Alessandro e a Silvia Guido, ex moglie di Roberto Porcaro. 14 anni a Michele Di Puppo, Gianluca Maestri e Leonardo Bevilacqua, 13 a Umberto Di Puppo, Gianfranco Ruà, Alberto Superbo, Antonio Illuminato e Carlo Drago, Assolti l’assessore comunale cosentino Francesco De Cicco (la Dda aveva chiesto 4 anni e 10 mesi) e l’avvocato Paolo Pisani. All’epoca dei fatti, nel 2022, De Cicco era assessore alla manutenzione e al decoro urbano. Nei suo confronti i pm Corrado Cubellotti e Vito Valerio avevano invocato quattro anni e dieci mesi di reclusione. Nel corso dell’operazione Reset, il primo settembre 2022, il gip dispose i domiciliari per De Cicco perché accusato di associazione finalizzata al gioco d’azzardo aggravata dalle finalità mafiose. L’assessore, poi sospeso, tornò in libertà il sette aprile 2023 dopo la sentenza della Cassazione che aveva annullato l’ordinanza con cui il Tribunale della Libertà aveva confermato la misura cautelare disponendo l’obbligo di dimora.