Cosenza, una questura di passaggio

Diciamolo (senza nessuna intenzione di sminuire le capacità, e senza voler mettere in discussione l’onestà di uomini e donne che lavorano con dedizione e impegno onorando ogni giorno la divisa che indossano, che sono la maggioranza): la questura di Cosenza non ha mai brillato per efficienza e attività investigativa. Questo non lo diciamo noi, lo dicono i fatti, e la verità storica di questa città: c’è stato un tempo in cui uno dei luoghi comuni più diffusi in città sulla questura era questo: sbirri e malandrini si piglianu u cafè assiami. E non era solo un modo di dire, e bene lo sanno i cosentini di una certa età. In Italia “infuriavano gli anni di piombo” (1977), e a Cosenza iniziavano a prendere vita i “Figli delle Stelle”: una pallida copia (molto pallida) del “gangster di borgata” romano, passato, dopo essersi imposto a suon di pallottole, dalla cacio e pepe, all’ostriche e champagne nei “primi” night club esclusivi della capitale, frequentati dalla “gente che conta” e dagli sbirri corrotti. Il tutto accompagnato dalle note di “Tutto il resto è noia” interpretata da un iconico Franco Califano. Erano questi i tempi che hanno dato vita alla verità storica sopra citata. Tempi che più di qualcuno dice non essere mai finiti, la “commistione” continua, seppur con alti e bassi e in modi e forme totalmente diverse da quelle messe in atto in quegli anni.

Va detto che l’attività delle questure è subordinata al “lavoro” delle procure. Sono i magistrati che ordinano alla polizia giudiziaria cosa fare. Ma è anche vero che i questori possono proporre all’autorità giudiziaria da cui dipendono “spunti investigati” idonei ad aprire un “fascicolo”.  Se un poliziotto ha scoperto e documentato un reato, ha l’obbligo di riferire tutto all’autorità giudiziaria, e l’autorità giudiziaria ha l’obbligo di mettere in atto l’azione penale. E se questo non avviene, nonostante le granitiche prove, il questore ha l’obbligo di informare i propri superiori fino al più alto livello, che a loro volta hanno l’obbligo di informare i vertici della magistratura della grave “omissione professionale” del pm. È così che funziona una istituzione sana e saldamente attaccata ai valori e ai principi democratici.

Sono tanti i questori che si sono succeduti alla guida di questa importante istituzione presente in città da oltre 100 anni, e nessuno (prendendo in esame gli ultimi 40 anni) ha lasciato un segno evidente della sua attività. Oltre alla normale amministrazione non sono mai andati. Di più: a guardare gli ultimi 10 anni, tutti i questori (alcuni chiacchierati) che si sono succeduti sono sempre stati considerati di “passaggio”. Qualche anno e poi via. L’impressione è quella che nessuno voglia restare in questa città, eppure Cosenza è una cittadina tranquilla, e fare il poliziotto qui significa fare la pacchia, ma non è, evidentemente, la città giusta dove fare carriera, e qui le cose sono due: o perché se si fa il proprio dovere ci si imbatte in grossi pezzi della massomafia che possono stroncarla “la carriera” se solo si accorgono che qualcuno ficca il naso nei loro affari, oppure perché Cosenza è per davvero un’isola felice dove la corruzione, la collusione, e la masso/’ndrangheta non esistono. Sono solo invenzioni giornalistiche, ed è per questo che i questori non vogliono restare, perché qui non si fa niente e senza meriti (come quello di arrestare qualche pezzo da 90 massomafioso) non si fa  carriera. Noi siamo per la prima.

Dopo l’abbandono del dottor Conticchio, nel luglio 2018, in carica poco più di un anno, a succedergli alla guida della questura di Cosenza è arrivata la dottoressa Giovanna Petrocca calabrese, di Petilia Policastro, una delle zone più calde della Calabria dove risiede una delle più temute cosche di ‘ndrangheta, quella dei Grandi Aracri. A leggere il curriculum della dottoressa Petrocca, prima donna questore di Cosenza, la considerazione che ne viene fuori è una: la Petrocca è una che ha fatto la gavetta, ma è anche una donna d’azione. Ha diretto diversi commissariati in zone calde del paese, e con ottimi risultati. Il che ci ha lasciato ben sperare: la scelta della dottoressa Petrocca sin da subito è parsa definitiva e con uno scopo ben preciso, quello di supportare e favorire il lavoro investigativo, avviato da tempo e mai concluso, sul malaffare massomafioso presente in città. È  così che abbiamo sempre interpretato la sua nomina. Forti anche del fatto che ad affiancare la dottoressa Petrocca arrivò un altro bravo investigatore: il dottor Catalano (in servizio oggi a Catanzaro).

Due investigatori di questo calibro, e propensi all’azione, non possono essere stati mandati per caso a Cosenza dove l’attività del questore al massimo si risolve con il sequestro di qualche etto di fumo, dopo una soffiata. Perché “sprecare” due alte professionalità come le loro, in una città sonnacchiosa e dove non succede mai nulla come Cosenza, se non per dare una scrostata all’incancrenita corruzione presente in città? È questo che ci siamo detti e che pensavamo, almeno fino al trasferimento del dottor Catalano. Che ha segnato la fine di quello che a noi sembrava un binomio messo in piedi per dare una “botta” all’attività investigativa sulla corruzione in città. Una “coppia” voluta da qualche onesto pm magari stanco dell’impunità presente in città, di cui godono in tanti, per i gravi reati contro il patrimonio pubblico, e non solo. Altrimenti come spiegare la loro presenza a Cosenza? Non certo per svolgere l’ordinario, questo è sicuro.

Da quando si è insediata la dottoressa Petrocca, purtroppo, al di là delle nostre visioni, la sua attività non ha brillato. Al netto dell’argomento “violenza sulla donne” un problema serio che il questore sente molto, e sul quale molto si è spesa con ottimi risultati, e in prima persona, ma per il resto poco niente è stato fatto. Non una sola iniziativa volta a smascherare il malaffare di stampo politico/massonico/giudiziario/’ndranghetistico, che in città esiste, eccome se esiste! E questo ci porta a dover rivedere la nostra considerazione sulla presenza della dottoressa Petrocca (professionalmente parlando) alla guida della questura di Cosenza: anche lei evidentemente, così come ha fatto il dottor Catalano, è qui solo per riempire il vuoto in attesa di una promozione e di un trasferimento. Quasi come se Cosenza fosse una tappa necessaria dove bisogna andare per qualche anno restando fermi e immobili, se si vuole raggiungere la promozione e la destinazione desiderata. Il che garantisce alla cupola massomafiosa che governa la città, un ufficio del questore inefficiente che non ha mai il tempo, visto il via vai di questori, di iniziare e finire una indagine. E così ogni volta bisogna incominciare daccapo. Una sorta di tela di Penelope. Ma abbiamo l’impressione che qualcosa nel “trasferimento” della dottoressa Petrocca è andato storto, e gli toccherà restare ancora un po’ a Cosenza a riempire il vuoto, magari perché ancora non hanno trovato qualcuno disposto a venire in città a non fare niente al posto suo. E questo dovrebbe stare stretto a chi come la Petrocca è abituata all’azione, costretta, per chissà quale ragione, a reggere una questura solo ed esclusivamente per l’ordinario. Chissà se è così, e se la Petrocca reagirà. Vedremo.

Ovviamente ci auguriamo di essere smentiti e che questa nostra nuova impressione sia solo una svista, magari enfatizzata e generata da questa finta calma che regna in città, dove tutti si aspettano una tempesta (giudiziaria) da tempo annunciata e che non arriva mai.