Cosenza’s Got Talent. Il silenzio mortale dell’Asp e della Procura che uccide Serafino Congi ogni giorno
C’è un talent show in Calabria che nessuno ha voluto e vuole vedere, ma in cui tutti recitano una parte: il dramma del silenzio istituzionale.
Sei mesi dopo che Serafino Congi, 48 anni, di San Giovanni in Fiore, è deceduto in un’ambulanza vicino Spezzano della Sila — per colpa di un ritardo inspiegabile e surreale di oltre tre ore — Asp e Procura continuano a offrirci una performance impeccabile: il mutismo riparatore.
La cerimonia dell’inazione andava in scena il 4 gennaio 2025, quando Serafino fu colpito da infarto, ammassato in un pronto soccorso a San Giovanni in Fiore, e lasciato lì a marcire, nonostante parametri, analisi ed ECG ne imponevano il trasferimento urgente a Cosenza, in attesa di un’ambulanza medicalizzata — non era disponibile nemmeno un medico a bordo — per oltre tre ore .
Quando finalmente poi lo caricarono, morì lungo la Statale 107, scivolando via senza che nessuno facesse un solo schizzo di indignazione tra i palazzi. Commissioni, indagini interne e un teatrino penale tipico calabrese…
Antonello Graziano detto Strafalaria e i suoi alfieri del Risk Management dell’Asp Cosenza hanno mandato in giro qualche comunicato stampa di circostanza: «profondo dolore», «commissione interna», «massima disponibilità alla magistratura».
Lo stesso, insieme alla sindaca sempre più squallida del paese silano, Rosaria Succurro, avevano messo su persino un siparietto con tanto di elisoccorso atterrato nel campo sportivo di San Giovanni in Fiore… ennesimo specchietto per le allodole, visto che nulla è cambiato in meglio nel nosocomio montano. Un risultato sovrapponibile a una dichiarazione dei redditi: nascosto e incomprensibile.
Nel frattempo, la Procura di Cosenza — “alias Porto delle Nebbie”, per citare l’ironia amarissima della sorte — ha avviato un fascicolo. Ma cosa hanno davvero prodotto sei mesi di indagini? E chine tu dìcia…! Nulla a quanto pare!
Nulla per la moglie Caterina, nulla per i figli, nulla per i legali del signor Congi e per la cittadinanza affamata di giustizia, che più volte è scesa in piazza a manifestare.
Basta leggere la presa di posizione del Pd calabrese (che ogni tanto si sveglia e spara la sua…): “È inaccettabile che, a 60 giorni dalla morte, ancora nulla”. Ora siamo a sei mesi e… ancora silenzio tombale.
Il silenzio è un’arma — e a Cosenza funziona a pieno regime
Sapete cosa fa il silenzio quando lo scagli contro una famiglia? La uccide di nuovo. Ogni giorno. Perché il lutto si accanisce più forte quando l’ingiustizia non viene neanche vagamente riconosciuta. E qui, Asp e Procura spalleggiano in tandem: servono il piatto freddo di un mutismo collettivo che fa più male del ritardo dell’ambulanza.
Le domande sono semplici:
1. Chi ha ordinato al Risk Management di non rendere pubblici i risultati?
2. Perché la Procura non ha neanche chiamato a riferire la vedova Caterina?
3. Quando finiranno i “c’eravamo promessi” e cominceranno i fatti concreti?
La Calabria che aspetta (da sempre)
San Giovanni in Fiore non è la Svizzera e la sanità calabrese non sembra imparare lezioni da tragedie concluse anche oltre un anno fa. Le zone montane restano marginali, i reparti vuoti, e ogni ribellione — pacifica, civile — si infrange contro un muro. Un senatore in audizione al Senato ha chiesto se “il Ministero intendesse far chiarezza” e sollecitare la pubblicazione dei risultati. Ma, a tutt’oggi, nessuna risposta pubblica è arrivata.
Caterina e i suoi figli aspettano. Noi aspettiamo. E Asp e Procura? Farebbero meglio a finire la recita!
Se dopo sei mesi non abbiamo neanche un rapporto conclusivo, un responsabile individuato, o un impegno concreto per riparare il disastro, è evidente: stanno puntando tutto sulla dimenticanza totale… oppure cercano un modo come ingarbugliare la situazione e trasformarla nel solito “contentino” ai familiari ed all’opinione pubblica.
Ma attenti… perché la storia è ben conosciuta e molti “testimoni” di quella tragica sera, non sono stati sentiti né dall’Asp nè dalla Procura. Chissà perché…
Attenti a usare il silenzio come argine, la burocrazia come muraglia, l’indignazione come gesto simbolico da usare e gettare. Le ferite non si rimarginano con i tweet imbarazzati di questo o quel politico, né col silenzio di un presidente di Regione corrotto fino al buco del culo e dalla coda di paglia specie sulla sanità calabrese, né con le ombre di comunicati stampa e di teatrini improvvisati che lasciano il tempo che trovano.
È ora di tirar fuori le carte, i fatti, i responsabili — o almeno un segno lampante di vergogna. Perché, fino a quando l’Asp e la Procura faranno il morto, Serafino continuerà a morire ogni giorno, ancora.










