Cospito, l’analisi di Saviano: “Il 41 bis, i boss mafiosi e il pericolo dell’incompetenza”

(Roberto Saviano – corriere.it) – Ciò che spaventa della vicenda Donzelli è la scarsa competenza, calata in un contesto quanto mai pericoloso. Donzelli riporta pubblicamente le informazioni dei Gom, che racconterebbero di rapporti tra Alfredo Cospito e membri della criminalità organizzata campana, calabrese e siciliana. In questi incontri, gli affiliati di potenti cosche criminali avrebbero incoraggiato Alfredo Cospito a proseguire la sua lotta contro il 41 bis.

Se Donzelli avesse avuto esperienza di criminalità organizzata e di carceri avrebbe dedotto che proprio quella relazione dei Gom è la prova regina che mandare Cospito al 41 bis è stato un errore della ministra Cartabia. Un errore a cui andava immediatamente posto rimedio perché le organizzazioni usano queste falle per rinsaldare il loro potere e ottenere risultati. L’affiliato che direbbe (riporto le affermazioni diffuse): «Pezzetto dopo pezzetto, si arriverà al risultato» ovvero l’abolizione del 41 bis, è Francesco Di Maio detto «Ciccio ’o luongo», ras (ma non è un capo) del clan dei casalesi afferente alla fazione Bidognetti. Lo conosco bene. Francesco Bidognetti, il boss che lo ha scelto come suo killer fidato, è stato condannato per minacce camorristiche nei miei confronti (e nei confronti di Rosaria Capacchione, Raffaele Cantone e Federico Cafiero De Raho): è l’uomo che mi ha condannato a una vita sotto scorta 17 anni fa. Ebbene, Di Maio ’o luongo è ovvio che cerchi strade per uscire dal 41 bis e per indebolirlo; quale occasione migliore se non appoggiarsi proprio a chi sta vivendo il regime di carcere duro illegittimamente? Questa è la prova che Alfredo Cospito al 41 bis non doveva starci, e la mia è una valutazione tecnica, non politica e nemmeno medica. Alfredo Cospito non c’entra nulla con il regime di carcere duro, e proprio per questa ragione viene avvicinato, perché può mostrare le contraddizioni del 41 bis lontane dalle motivazioni mafiose. Aver trasferito Cospito al 41 bis significa far perdere al 41 bis per reati di mafia la sua ragion d’essere. L’aver diffuso la relazione dei Gom, poi, ha dato la prova agli affiliati fuori dal carcere che esiste una via per demolire il 41 bis, e che i loro capi la stanno battendo dall’interno.

La pena deve essere proporzionata al reato; del resto, non è che stupratori seriali, pluriassassini, torturatori scontino il carcere al 41 bis che è una eccezione presente nel nostro codice e nell’ordinamento penitenziario che serve esclusivamente a interrompere i rapporti con l’organizzazione criminale di stampo mafioso e impedire di egemonizzare le carceri dove si è detenuti. Cospito non ha alcuna organizzazione che risponda a lui e non ha alcuna risorsa per poter egemonizzare chicchessia in carcere. Sempre basando questa mia riflessione sulle informazioni diffuse da Donzelli, Cospito non avrebbe incontrato, nel passeggio, solo Di Maio, ma anche il killer di ’ndrangheta Francesco Presta. Uomo delle cosche cosentine, ma con un comportamento militare aspromontano, anche Presta avrebbe esortato Cospito a continuare la sua protesta nonviolenta contro il 41 bis. In ultimo Cospito avrebbe incontrato anche Pietro Rampulla, detto «l’artificiere», capomandamento di Mistretta. Fu militante neofascista di Ordine Nuovo e confezionò il tritolo che fece esplodere l’autostrada di Capaci per uccidere Giovanni Falcone. Non sappiamo cosa si sarebbero detti, ma chiaramente i mafiosi sono consapevoli che il 41 bis è un regime d’emergenza contraddittorio e possono farlo saltare solo se viene usato male. Il caso Cospito è l’occasione che, come inconsapevolmente rivelano Donzelli e Delmastro, aspettavano.

Vale la pena raccontare come i mafiosi approfittino di ogni errore dello Stato. Riina utilizzò il clamoroso errore giudiziario che portò all’arresto e ai crimini di Stato perpetrati contro Enzo Tortora per dichiararsi perseguitato: «Mi avete fatto finire come Enzo Tortora». Più lo Stato rispetta i diritti, più lo Stato è nella condizione di demolire il potere mafioso. Sapete cosa vogliono le organizzazioni? Che il carcere sia miseria, fame, abbandono. Vogliono poliziotti frustrati e violenti che costituiscano una minaccia per chiunque entri in carcere. Sapete cosa vogliono quando un borseggiatore, un topo d’appartamento o uno spacciatore vengono arrestati? Che siano riempiti di botte e maltrattati, che gli avvocati d’ufficio siano pessimi e i magistrati arraffoni e distratti. Perché così le organizzazioni criminali diventano l’unica garanzia possibile. Perché per essere protetti, avere dignità, ricevere difesa, bisogna passare per loro. Entri che hai rubato un motorino o hai spacciato un po’ di fumo ed esci affiliato, questo accade nel sistema carcerario italiano. I detenuti stranieri, poi, non li affiliano nemmeno, li arruolano e li rendono soldati. Sapete cosa è accaduto dopo il pestaggio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere del 6 aprile 2020? Pestaggio in cui gli agenti violenti si sono ben guardati dal pestare affiliati alle organizzazioni di rilievo? È accaduto che ogni singolo detenuto è andato a cercarsi una protezione sotto cui vivere in carcere.

Il 41 bis è in contraddizione con la vocazione della nostra Costituzione che prevede che ci sia il recupero del detenuto, la sua educazione e trasformazione; condivido quanto afferma la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e cioè che il 41 bis e l’ergastolo ostativo violino la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ma sono allo stesso tempo consapevole che l’unico modo per interrompere i rapporti di potere con l’organizzazione criminale sia congelare le comunicazioni con l’esterno. Il 41 bis è un provvedimento eccezionale, al limite con la tortura, se si è deciso che, nonostante vada contro il dettato costituzionale, la sua applicazione in determinati casi può essere necessaria, è evidente che debba essere maneggiato con grande cura e con grandissima consapevolezza. Lo Stato deve essere autorevole, ed è autorevole quando è giusto.

Concludo, perciò, smontando un’illusione diffusa, ossia che il 41 bis sia la soluzione, che attraverso il carcere duro si riesca a isolare il potere delle mafie o a disarticolarlo: magari fosse così. Mai dimenticare che le organizzazioni criminali, cito dati di Banca d’Italia, muovono oltre cento milioni di euro al giorno, e questo è solo il segmento illegale. Sanno esattamente come tutelarsi e come fare in modo che gli affiliati possano aggirare le pene. Con le collaborazioni di giustizia false o parziali, a cui possono porre un argine solo magistrati competenti e procure attente. La falsa collaborazione di giustizia è lo strumento primo dei boss per avere sconti di pena e far contenti tutti. Lo Stato è così fragile che un affiliato può pentirsi riportando poche e vecchissime circostanze e ottenere sconti di pena; ci sono in Italia addirittura figli di boss che collaborano con la giustizia i cui padri ancora comandano… incredibile, ma vero. Lo Stato, debolissimo di fronte a tutto questo, sbandiera spesso vittorie inesistenti, consente che si costruiscano carriere sul niente e lascia che l’opinione pubblica pensi, quando un boss viene arrestato o un affiliato decide di pentirsi, che si stia vincendo la battaglia. Sovente non è così perché la grande alleata delle mafie rimane l’incompetenza .