ACQUABONA: ROMANZO DELLA PIAZZA DI SPACCIO, CUORE DELLA CITTÀ
Fonte: ‘U Ruccularu
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PRIMO ATTO – LA PIAZZA DI SPACCIO DI PITAGORA
A Crotone, che spesso galleggia tra passato e futuro senza mai toccare davvero il presente, c’è un luogo dove il tempo si è fermato: Acquabona.
Quartiere che, in apparenza, è solo un nome sulle mappe comunali, ma che da mezzo secolo è diventato un codice rosso nell’agenda delle emergenze urbane, e non per il rischio idrogeologico, ma per quello sociale…E criminale.
Nell’edizione del 20 maggio 2025, “Il Crotonese” pubblica un articolo. Titolo secco, parole che bruciano: “Acquabona, i rom restano nel ghetto il Comune rinuncia a smantellarlo”.
Non è una scoperta, è una conferma. Perché quella piazza, quella zona che si snoda tra via Acquabona e via mario Nicoletta, è già da tempo il cuore di un microcosmo dove tutto sembra essere tollerato. O rimosso. Spaccio, degrado, insicurezza. Ma anche, e soprattutto, assuefazione.
Questo racconto non è solo un viaggio tra le strade dissestate e i bidoni della spazzatura che nascondono cocaina.
È un tentativo di guardare oltre il fumo della droga, per seguire la scia, ricostruire le reti, comprendere perché ogni volta che si prova a intervenire, Acquabona ritorna. Sempre uguale. Sempre peggiore.
DINAMICHE CRIMINALI: IL SUPERMERCATO DELLO SPACCIO
A metà tra un set di Gomorra e una zona franca, Acquabona non è solo una “piazza di spaccio”. È un sistema. Una macchina che funziona, silenziosa e inesorabile. I pusher si muovono tra i ruderi e i bar-circolo, con una routine collaudata. La droga è nascosta tra i cassonetti, le comunicazioni avvengono via WhatsApp, le postazioni di vedetta si alternano. i turni sono ben organizzati, persino di “fuochi in stile Gomorra” per segnare il territorio.
Ma non finisce qui. C’è chi gestisce un locale che da bar diventa associazione culturale, e poi qualcosa di più oscuro: copertura per prostituzione, per lo spaccio.
FAMIGLIA MANETTA: IL CUORE ‘NDRANGHETISTA DI ACQUABONA
Nel centro della rete c’è un cognome: Manetta. Secondo indagini e sentenze, è questa famiglia rom ad avere il controllo della piazza. Collegata alla ‘ndrangheta, non solo localmente ma su scala regionale. I rapporti si estendono: Abbruzzese di Catanzaro, Manno di Cutro, Scerbo-Tarasi di Isola, Raso-Luccisano di Gioia Tauro. Un network, più che un clan. Un’inchiesta del 2019, battezzata “Acquamala”, ha portato a 13 arresti. Droga venduta anche vicino alle scuole. Minori reclutati come corrieri. La Corte di Cassazione ha poi confermato 7 condanne, chiudendo il cerchio sull’inchiesta “Autogol”. Ma la piazza è ancora lì.
VIOLENZA, ARMI, INSICUREZZA: UN’AREA FUORI CONTROLLO
Nel settembre 2022, due fratelli vengono accoltellati mentre cercano di acquistare droga. Pochi mesi dopo, una maxi operazione porta all’arresto di un trentenne con droga, armi e contanti. Controlli a tappeto: 70 persone, 78 veicoli, 7 posti di blocco. Ma l’impressione è che queste operazioni siano solo cerotti su una ferita che non si rimargina.
IL LICEO ASSEDIATO: TRA EDUCAZIONE, MINACCE E LA QUESTURA IN MEZZO
C’è un paradosso, ad Acquabona, che dice tutto. La questura c’è. È lì. Presente, operativa, con uomini e mezzi. Ma non basta.
Perché in questo quartiere, anche la legge sembra aver paura. La presenza dello Stato, in teoria, dovrebbe fare la differenza. E invece, qui, quella presenza si è fatta spettatrice. Una sentinella cieca dentro un fortino fragile. Una muraglia che osserva, ma non contiene.
All’interno del perimetro urbano che ospita la sede della questura di Crotone, si sviluppa la stessa piazza di spaccio che da anni campeggia nelle cronache. La cocaina scorre a pochi metri dalle volanti. E la questura, che pure agisce con prontezza nei blitz, appare come un’entità incastrata: presente ma impotente, reattiva ma inefficace. Come se fosse stata murata nel mezzo del campo di battaglia, senza più spazio per manovrare.
A pochi passi, c’era il liceo linguistico. Una scuola circondata, soffocata. Ci hanno costruito addosso le case. L’ex sede del Gravina – simbolo dell’educazione – è stata abbandonata, poi occupata. Qualcuno sussurra: “ci nascondono la roba”. Sul portone della scuola, una scritta tracciata con la vernice avverte: “SE ENTRI VIVO ESCI MORTO”.
Le parole fanno paura, ma più della paura c’è lo smarrimento. La scuola, in un quartiere che parla il linguaggio della sopravvivenza, è diventata un bersaglio. Non bastano le finestre nuove o i cancelli rinforzati. Non basta il coraggio dei docenti. Il liceo è lì, in trincea. Tra due fuochi. Poi sconfitto, come la legalità.
Eppure, paradossalmente, la presenza della questura ha prodotto l’effetto opposto di quello sperato: invece di spegnere la paura, l’ha incorniciata. Come se il crimine avesse accettato la sfida, e l’avesse vinta. Come se si fosse costruito intorno al presidio di legalità, sbeffeggiandolo.
Persino dopo l’aggressione a Vittorio Brumotti, l’inviato di Striscia la Notizia – colpito mentre filmava lo spaccio – nulla è cambiato. L’episodio, violento e pubblico, avrebbe potuto scatenare una reazione strutturale. Invece, ha solo aggiunto un nuovo strato di normalità al degrado.
Il risultato è un deserto abitato. Dove la scuola chiude, la questura osserva, e la criminalità governa. Dove persino le istituzioni sembrano aver smesso di credere nel loro potere. Dove l’inerzia non è scelta, ma destino.
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SECONDO ATTO – ACQUABONA 2025: TRA PROGETTI E FANTASMI URBANI
Crotone Vision 2030 promette futuro, ma Acquabona sembra ancora ferma agli anni ’70. Eppure i milioni arrivano: fondi europei, fondi statali, piani strategici. Nel 2024 vengono annunciati 73 milioni per riqualificare l’area urbana, 1,8 milioni per Acquabona. Ad aprile 2025, una delibera assegna 7,9 milioni per abbattere immobili e creare spazi verdi. Tutto sembra pronto, sulla carta. Ma nei fatti? Il quartiere resta ostaggio di baracche, traffici e diffidenza.
La giunta approva delibere su fiere, eventi culturali, collaborazioni con Eni, e persino una cerimonia per la strage di Capaci. Ma su Acquabona le ruspe non arrivano. E intanto, altri quartieri si ribellano. A Tufolo-Farina, il Comitato contesta 5 milioni per nuove case popolari: “Non siamo un quartiere abusivo. Non siamo un quartiere fantasma” ”, scrivono. Lì, come ad Acquabona, i residenti vogliono partecipazione, non solo promesse. Vogliono dignità.
Il rischio, sempre lo stesso: che le periferie vengano trattate come contenitori del disagio, tappeti sotto cui nascondere la polvere. Ma la polvere, prima o poi, soffoca.
DALLA CARTA ALLA REALTÀ: OSTACOLI E CLIENTELISMO
I piani ci sono. I soldi anche. Ma l’attuazione è lenta. Anzi, quasi immobile. Perché? A detta di molti, il problema non è solo tecnico. È politico. La frase più significativa, raccolta in una nota pubblica, suona come una condanna: “Gli obiettivi, sinora negati da scelte di comodo più che da veri ostacoli strutturali”. Parole pesanti. Che fanno pensare a spartizioni, a clientele, a inerzie strategiche. Non prove, certo. Ma indizi. E in questa città, gli indizi pesano come macigni.
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TERZO ATTO – LA MAPPA DEL POTERE SOMMERSO: CHI GUADAGNA, CHI PROTEGGE, CHI TACE
La domanda non è solo “chi spaccia”. La domanda vera è: chi permette che tutto questo accada? Chi guarda dall’altra parte? Chi ci guadagna?
Perché dietro ogni piazza di spaccio c’è sempre una rete invisibile. Fatta di silenzi, di omissioni, di convenienze. Acquabona non fa eccezione. Qui non si muove nulla per caso. E se un locale riapre dopo essere stato chiuso per irregolarità, se un’associazione culturale compare dove prima c’era un bar ambiguo, se un circolo continua a operare malgrado i verbali… allora la domanda è inevitabile: chi lo consente?
CONNIVENZE: LE LINEE D’OMBRA DELL’ISTITUZIONE
Le indagini, spesso, si fermano al livello basso. Il pusher, il corriere, il piccolo intermediario. Ma gli affari veri si fanno più in alto. Negli uffici. Nei passaggi di carte. Nei silenzi di chi dovrebbe controllare. Alcuni atti amministrativi, passati sotto traccia, raccontano storie più eloquenti di mille intercettazioni. Licenze rilasciate e poi revocate. Autorizzazioni scadute e rinnovate in extremis. Affidamenti per lavori mai iniziati. Coincidenze, forse. Ma a Crotone, le coincidenze fanno notizia.
LA RETE CHE NON SI VEDE: PROFITTI E COMPLICITÀ
I soldi della droga non restano nel quartiere. Girano. Si reinvestono. Si lavano. A volte finiscono nei circuiti legali: nell’edilizia, nei locali notturni, nei giochi online. A volte finanziano persino progetti sociali, o sponsorizzazioni locali. La criminalità, ormai, non ha più il volto del boss con la coppola. Ha la cravatta. O un badge Di un ufficio pubblico. O una mail certificata.
E poi c’è il consenso. Quel consenso che si compra, che si alimenta. Un lavoro promesso, una bolletta pagata. Il silenzio della porta accanto. Il quartiere è stanco, ma non si ribella. Perché a volte, la criminalità è l’unico welfare che funziona.
IL PREZZO DEL SILENZIO: IL FALLIMENTO DELL’ETICA PUBBLICA
E in questo clima di disillusione e sospetto, l’amministrazione fatica a imporsi come credibile. La gente non denuncia. Gli studenti si drogano, ma nessuno reagisce. Le promesse si sommano. Gli annunci si moltiplicano. Ma il quartiere resta uguale. Un teatro dove il sipario è sempre aperto, e gli attori recitano a soggetto.
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QUARTO ATTO – VITE IN TRINCEA: STORIE DI RESISTENZA AD ACQUABONA
Tra l’odore acre dei rifiuti e il silenzio delle istituzioni, ad Acquabona c’è chi non si arrende. Non sono eroi, non indossano divise né hanno telecamere puntate addosso. Sono persone comuni. Ma in un quartiere dove la normalità è diventata tossica, anche vivere onestamente è una forma di ribellione.
GIUSEPPINA, LA PROF CHE NON ABBASSA GLI OCCHI
Arriva ogni mattina alle 7:30, prima ancora che i bidoni vengano svuotati. Pina è una prof di lungo corso che ha visto ragazzi entrare in primo superiore e uscire in tribunale. Ha visto madri implorare per una seconda chance. “Non possiamo salvare tutti,” dice, “ma possiamo farli respirare per qualche ora in un luogo che profuma di possibilità.” La scuola è l’unica cosa che brilla nel quartiere. Eppure, ogni mese, qualche finestra rotta. Ogni notte, un tentativo di intrusione. Ma lei resta.
LORIS, 17 ANNI, STUDENTE E TESTIMONE
Loris vive lì. Nato e cresciuto ad Acquabona. Il padre lo ha perso per una storia di coca. La madre pulisce le scale di un condominio dall’altra parte della città. “A scuola mi hanno insegnato a scrivere, ma qui ho imparato a stare zitto” dice. Frequenta le superiori, con la media dell’8. Ma ogni giorno è una sfida. Passa accanto ai suoi coetanei con le tasche piene e i motorini nuovi. “A volte ti chiedi se sei tu lo scemo.” Poi tira fuori il cellulare e mostra una poesia. La dedica al quartiere. “Non voglio scappare, voglio cambiare le cose da qui.”
CATERINA, VOLONTARIA A TEMPO PIENO
Ha 62 anni, e una pensione da 640 euro al mese. Due volte a settimana distribuisce pacchi alimentari. Ma quello che fa davvero è ascoltare. “La gente non ha fame solo di cibo, ha fame di essere vista.” Conosce tutti per nome. Sa chi spaccia, sa chi compra. Sa chi piange la notte. E ogni tanto, uno dei ragazzi le chiede: “Ma perché non te ne vai?” Lei sorride. “Perché se vado io, resta solo la paura.”
ACQUABONA, UN CUORE CHE BATTE ANCORA
La vera notizia, in fondo, è questa. Che ad Acquabona c’è ancora vita. C’è cultura, seppure sommersa. C’è fede, seppure ferita. C’è chi educa, chi lotta, chi prova a tenere accesa una luce. Nonostante tutto. Nonostante tutti.
Forse, la rigenerazione non comincerà dai fondi europei o dalle delibere di giunta. Forse comincerà da qui. Da una poesia scritta in un quaderno. Da una lezione di storia tra i vetri rotti. Da una stretta di mano data senza paura.
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QUINTO ATTO – IL MURO E IL FUTURO: COSA SUCCEDE QUANDO FINISCE LA PAZIENZA
Ogni resistenza ha un punto di rottura. Una soglia oltre la quale le parole non bastano più, la fiducia si sgretola, e resta solo l’urgenza. È lì che finisce la speranza, e inizia qualcosa di nuovo. Qualcosa che può essere costruzione. O esplosione.
IL MURO CHE DIVIDE: LA LINEA TRA NOI E LORO
Ad Acquabona il confine non è fatto di mattoni, ma è reale. C’è una scuola che cerca di educare, e una strada che spinge a delinquere. C’è chi si alza per lavorare, e chi aspetta la notte per guadagnare. Ma il muro più alto è quello della sfiducia. “Tanto non cambia mai niente” è il ritornello più comune tra gli anziani. “Ci usano solo quando servono voti” dicono i più giovani. E a volte hanno ragione.
Il rischio è che quella frattura, se lasciata lì, si allarghi. E inghiotta tutto.
QUANDO LA CITTÀ SCEGLIE DA CHE PARTE STARE
Il vero bivio arriva sempre così. In silenzio. Quando la città deve decidere se restare spettatrice o prendere posizione. Quando le istituzioni devono uscire dagli uffici e scendere in strada, sedersi nei cortili, ascoltare senza agenda. Quando i giornalisti devono raccontare non solo l’arresto del giorno, ma la disperazione settimanale.
E soprattutto, quando chi ha scelto la legalità inizia a sentirsi abbandonato. È allora che l’alternativa al degrado non è più il progresso, ma il caos.
UNA DOMANDA SENZA RISPOSTA: DOPO QUANTE PROMESSE NON MANTENUTE SI SMETTE DI ASPETTARE?
Il muro di Acquabona non è solo fisico. È sociale, culturale, emotivo. E quando crolla, non sempre libera. A volte travolge. A volte costringe a scegliere. Chi sta dentro e chi resta fuori. Chi agisce e chi subisce.
Il futuro del quartiere, e in fondo di tutta la città, si giocherà qui. In questa trincea sottovalutata. Dove chi ha sempre resistito, ora potrebbe non voler più farlo da solo.
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SESTO ATTO – IL GIORNO CHE VERRÀ: UN’IPOTESI DI RIGENERAZIONE POSSIBILE
Nel buio più denso, basta una piccola fessura per lasciar entrare la luce. E ad Acquabona, forse, quella fessura inizia ad aprirsi. Non si tratta di utopie, ma di modelli reali, concreti, sperimentati altrove. Esperienze che dimostrano che anche nei luoghi segnati dalla marginalità, il cambiamento è possibile. A patto che sia autentico, partecipato, strutturato.
IL MODELLO SCAMPIA: DA FORTEZZA DELLA CAMORRA A CANTIERE DI RINASCITA
Nel cuore di Napoli, Scampia è stata per anni sinonimo di degrado e criminalità. Eppure, attraverso la demolizione delle Vele, la costruzione di centri sociali e sportivi, e un’alleanza tra scuola, magistratura e cittadini, oggi rappresenta un laboratorio urbano di rigenerazione. Il segreto? Un patto sociale che ha messo al centro l’educazione, la cultura e la riappropriazione degli spazi pubblici.
IL CASO ZEN A PALERMO: L’ARTE COME ANTIDOTO AL SILENZIO
Nello ZEN 2, un quartiere storicamente marchiato da etichette stigmatizzanti, è nata una rete di attivisti culturali, come il collettivo “Push” e progetti come “Spazio Franco” e “Zisa Danisinni”. Murales, teatro di strada, riqualificazione dei cortili. Lì dove lo Stato tace, la creatività prende parola. Un modello esportabile anche ad Acquabona, dove la cittadella degli studi potrebbe diventare un polo culturale urbano.
L’ESPERIENZA DI SAN BASILIO A ROMA: SICUREZZA PARTECIPATA E PRESIDI EDUCATIVI
A San Basilio, quartiere periferico della Capitale, l’esperienza delle “scuole aperte” e dei “tavoli territoriali” ha permesso il contenimento delle dinamiche criminali attraverso una nuova presenza pubblica: non più solo polizia, ma educatori, assistenti sociali, psicologi. Acquabona potrebbe sperimentare forme simili di presidio civico.
ACQUABONA PUÒ DIVENTARE UN PROTOTIPO?
Sì, se si parte da qui:
• Rigenerazione integrata e radicale: non solo restyling architettonico, ma ripensamento della vivibilità. Illuminazione, spazi verdi, alloggi dignitosi, mobilità accessibile.
• Presenza istituzionale costante: un presidio socio-educativo stabile, che agisca come sentinella della legalità, ma anche della fiducia.
• Autogestione guidata: coinvolgere le famiglie del quartiere nella manutenzione di spazi comuni, con incentivi e formazione.
• Rete educativa di quartiere: dalla scuola alla parrocchia, dal centro civico ai comitati, serve una rete coesa.
• Comunicazione e narrazione positiva: combattere lo stigma attraverso festival di quartiere, reportage, e la visibilità delle buone pratiche.
LA SPERANZA CHE NASCE DAL CORAGGIO
Acquabona non deve rimanere il titolo di un’inchiesta, ma può diventare il nome di una rinascita. Le storie ci sono, le idee pure. Ora serve solo la scelta. Politica, civica, collettiva. Perché il giorno che verrà, in fondo, comincia sempre da oggi.
…EPILOGO – IL SILENZIO PRIMA DELL’ALBA
C’è una cosa che tutti sanno ad Acquabona, ma che pochi dicono ad alta voce. Che il quartiere, nonostante tutto, è vivo. E come ogni organismo vivo, sente. Ricorda. Aspetta.
All’alba, quando il rumore dei motorini si spegne per un attimo e le ombre si ritirano nei vicoli, Acquabona sembra trattenere il respiro. È un quartiere che ha visto troppo. Che ha smesso di stupirsi. Ma non ha smesso di sperare. Perché sotto la cenere del degrado, qualcosa continua a bruciare.
Ogni finestra che si apre prima del suono della campanella. Ogni madre che accompagna un figlio a scuola. Ogni insegnante che si ostina a spiegare i verbi mentre fuori si spaccia. Ogni volontaria che distribuisce pane e parole. Ogni ragazzo che scrive poesie invece di messaggi cifrati. Questi sono i battiti di un cuore che non si è arreso.
Acquabona non è solo cronaca. È un campo di battaglia invisibile, dove ogni gesto civile è un atto di resistenza. Dove la normalità non è mai banale, ma rivoluzionaria.
Se oggi sappiamo tutto questo, è perché qualcuno ha avuto il coraggio di guardare. Di raccontare. Di restare.
E allora sì, forse un giorno questo racconto non sarà più letto come una denuncia, ma come un atto di nascita. Il primo capitolo di una nuova storia urbana. Dove non ci saranno più piazze dello spaccio, ma piazze di incontri. Dove i muri non serviranno a dividere, ma a proteggere. Dove dire “Acquabona” significherà parlare di riscatto, e non più di resa.
Finché ci sarà anche solo una voce a raccontarlo, Acquabona non morirà. Cambierà.
E forse, cambierà noi.