Crotone, movida nel centro storico: residenti esasperati

Il centro storico di Crotone è di tutti? Non è così e noi che ci abitiamo abbiamo constatato che la voce di un singolo cittadino non è ascoltata dalle istituzioni e dalle amministrazioni preposte alla tutela dei più essenziali diritti alla civile convivenza. Quindi si è deciso di unire quelle singole voci in un coro unanime che intende far valere i propri diritti nelle sedi opportune contro la privazione imposta dai veri padroni di quel rione, cioè dai signori della notte. Vale a dire, contro coloro che hanno occupato gli spazi comuni con pub molto più affini a discoteche e attività aggregative molto più somiglianti a rave-party che a diffusione di musica tra i tavoli. Ne consegue che noi cittadini di una parte del centro storico siamo arrivati al capolinea di una sofferenza collettiva impostaci in nome di una pretesa valorizzazione dei luoghi dove viviamo e abbiamo le nostre abitazioni.

Ciò ignorando che il centro storico di Crotone è uno dei luoghi a più alta densità abitativa e quindi non può divenire un centro commerciale caotico e senza regole, se non quelle di un brutale profitto a tutti i costi. Chi ci vive è vittima di un incredibile “ubi maior – minor cessat” avvalorato e strenuamente mantenuto in essere da esercenti e loro organi di rappresentanza , affiancati, purtroppo, dalla pubblica amministrazione, laddove il diritto abitativo non può soccombere davanti a quello del commercio e di una economia malata, ristretta alla somministrazione di bevande alcoliche durante le ore notturne.

Nel centro storico di Crotone, ovvero in una parte di esso (quello un tempo conosciuto come “Rione pescheria”) si è venuta a creare un commistione insostenibile in virtù di una pretesa rivitalizzazione e valorizzazione dei luoghi, se non fosse che essi non sono popolati da defunti e nemmeno da persone che pretendono altri valori che non siano quelli di una accettabile qualità delle condizioni di vita. La qualità della vita, nel “Rione pescheria” è scaduta a livelli tribali, infimi; non si riesce neppure ad ascoltare la televisione nella smarrita quiete delle proprie case. Non è un remoto suono di violino tra i tavoli quello che penetra nella pace domestica, tantomeno il vocio di transazioni tra bottegai e acquirenti. Si vive l’angoscia dell’addentrarsi della notte al ripetuto suono di tamburi che riecheggia a palla nei vicoli invece che all’interno dei locali. Le tollerabili soglie di decibel sono un parametro sconosciuto cui l’amministrazione pubblica ha messo un limite, ma soltanto orario, senza alcuna misurazione, rimettendo poi la testa sotto la sabbia come lo struzzo.

Il centro storico è di tutti ? Allora abbelliamolo e manteniamolo pulito, decoriamolo con piante e vasi di fiori. Cosa che avviene per amor proprio, da sempre, solo che adesso i vasi non sono annaffiati con acqua, ma con vomito e urine e le piante sono divelte sistematicamente dagli avventori di pub, discoteche, birrerie e rave party, cioè delle uniche attività commerciali ubicate nel centro storico. Una movida alla crotonese, fantasticando che essa possa servire ad accrescere l’attrattività dei luoghi.

Dinanzi a cotanto degrado, a siffatta presunzione, a simile barbarie, occorrono rimedi efficaci e senso di collaborazione; questo va invocando la pubblica amministrazione, quasi a giustificare la propria incapacità, o assenza di volontà, di risolvere il problema, anche perché ai frequenti incontri fra “teste di legno” ed esercenti non si è mai ritenuto invitare gli abitanti del quartiere. In luogo di cestini dei rifiuti, stando così le cose, andrebbero dislocati dei bagni chimici o costruiti vespasiani adeguati alla bisogna, su misura laddove corrono fiumi di birra e bevande alcoliche. Basterebbe imporre ai conduttori dei locali ubicati nel centro storico la diffusione di musica al proprio interno e con un livello di decibel tollerabile; di mantenere efficienti e funzionali i servizi igienici di propria pertinenza; di adottare tutte quelle misure di sorveglianza volte a prevenire il disturbo della quiete pubblica e il compimento di atti vandalici.

Questo, per sommi capi, è il problema della impossibile convivenza di cittadini del centro storico e conduttori di esercizi commerciali. Altro è invece l’idea progettuale che potrebbe portare la “Pescheria” a un livello di rinascita clamorosamente miracoloso come è avvenuto al “Rione sanità” a Napoli. In attesa che al primo dei due aspetti si pongano i rimedi del caso e che al secondo si ponga attenzione, per come è stato ovunque in Italia, nelle zone interessate dagli stessi problemi, restiamo in attesa di unire la nostra voce a quanti hanno intrapreso le vie legali (perché alcuni l’hanno già fatto) laddove non ci fosse altro modo di addivenire a miti consigli tra esercenti spregiudicati, amministrazioni balbuzienti e cittadini vessati.

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