Alfonso Mannolo? «Era un massone» che poteva «contare su diverse amicizie, istituzionali e para istituzionali, anche nell’ambiente della giustizia e che potevano tornare utili per la sistemazione dei processi e quant’altro». Così il collaboratore di giustizia, Antonio Valerio, parla del presunto boss di San Leonardo di Cutro, imputato davanti al Tribunale di Crotone nel processo di primo grado scaturito dall’inchiesta “Malapianta” diretta dalla Dda di Catanzaro. Oggi il racconto del pentito cutrese, ritenuto attendibile dai magistrati, è contenuto nella sentenza con la quale, lo scorso 24 maggio, la giudice per le udienze preliminari distrettuale, Gabriella Logozzo, ha inflitto 43 condanne, per oltre 370 anni di reclusione, a carico dei vertici e fiancheggiatori del clan “sanleonardese” dei Mannolo-Zoffreo-Trapasso, coinvolti nel procedimento di rito abbreviato scaturito dall’operazione antimafia scattata il 29 maggio 2019. Secondo il gup, le parole di Valerio, già condannato nel processo “Aemilia” che mise alla sbarra i componenti della cosca Grande Aracri di Cutro trapiantata in Emilia, forniscono «ulteriori dettagli sulla capacità criminale della famiglia Mannolo all’interno del panorama delle famiglie cutresi».
Il collaboratore ribadisce di conoscere Alfonso Mannolo, uno “‘ndranghetista vecchio stampo” dal 1991 e descrive “non ottimi” i rapporti che inizialmente c’erano tra il boss Nicolino Grande Aracri (attualmente recluso al 41 bis) e il capobastone della ‘ndrina di San Leonardo di Cutro, in quanto quest’ultimo era “filo Dragone”. Infatti, solo “dopo la composizione della faida – prosegue il collaboratore di giustizia – e dopo la morte di Totò Dragone (il cui assassinìo, avvenuto il 10 maggio 2004, consentì ai Grande Aracri di prendere il dominio su Cutro e di riscrivere le gerarchie criminali della provincia di Crotone, ndr) si è avvicinato ai Grande Aracri”. Ma a scorrere le pagine del verbale del pentito, vengono affrontati i legami esistenti tra i due capocosca e le ragioni del loro avvicinamento. Nello specifico Valerio parla di un incontro avvenuto con Alfonso Mannolo al quale prese parte anche il genero di Nicolino Grande Aracri, Giovanni Abramo. Il quale, sottolinea il pentito, partecipò al faccia a faccia affinché “un esponente di rilievo della cosca facesse capire a Mannolo che di me poteva fidarsi in quanto appartenente alla cosca Grande Aracri”.
“Ebbene – rimarca Valerio – in quell’occasione io chiesi ad Abramo se fossero svaniti i vecchi dissapori di un tempo con i Mannolo”. E il genero del boss di Cutro “rispose affermativamente”, sostenendo che “i rapporti tra Nicolino Grande Aracri e Alfonso Mannolo erano diventati molto stretti”. Il motivo? Il numero uno del clan di San Leonardo di Cutro aveva amicizie importanti che sarebbero potute tornare utili anche ai Grande Aracri.
Ma l’inchiesta “Malapianta” condotta dalla Guardia di Finanza ha fatto luce pure sulle estorsioni perpetrate ai titolari dei villaggi turistici della costa jonica crotonese e catanzarese: su tutti, Porto Kaleo e Serenè Village. Rilevante poi l’attivismo dei sanleonardesi nel traffico e nello spaccio di eroina e cocaina. Fonte: Gazzetta del Sud