Crotone violenta. Movida di sangue, scuola assente e ragazzi ai margini

CROTONE VIOLENTA: MOVIDA DI SANGUE, SCUOLA ASSENTE E RAGAZZI AI MARGINI.

Fonte: U’Ruccularu

Nella notte tra sabato 14 e domenica 15 giugno 2025, sul lungomare di Crotone si è consumato un brutale pestaggio in piena movida.
Un giovane di 24 anni è stato aggredito e picchiato selvaggiamente da tre diciannovenni del posto, riportando lesioni giudicate guaribili in 30 giorni. L’aggressione è avvenuta all’esterno di un locale affollato, di fronte agli occhi attoniti di decine di persone, nessuna delle quali è intervenuta o ha allertato le forze dell’ordine.
I tre aggressori – tutti residenti in zona, già noti alla polizia per precedenti in materia di droga – sono stati identificati e denunciati per lesioni personali aggravate.
La violenza e l’impunità ostentate in questo episodio hanno scosso l’opinione pubblica locale, ma sono solo l’ultima manifestazione di un fenomeno più ampio e preoccupante: una crescente violenza giovanile sul territorio crotonese.

MOVIDA DI SANGUE E PRECEDENTI INQUIETANTI
L’episodio sul lungomare, pur grave, non è isolato. Negli ultimi anni il territorio crotonese ha conosciuto diversi casi di aggressioni commesse da giovani, spesso in gruppo e in luoghi pubblici. Tra i precedenti più significativi spiccano:
Agosto 2022 – Il caso Ferrerio: L’11 agosto 2022 il ventenne bolognese Davide Ferrerio, in vacanza a Crotone, fu scambiato per un’altra persona e colpito con un pugno violentissimo da un 25enne, Nicolò Passalacqua, davanti al tribunale.
Ferrerio cadde a terra privo di sensi e da allora si trova in coma irreversibile.
L’aggressione, frutto di un tragico scambio di persona, era nata da una spedizione punitiva organizzata sui social: la madre di una minorenne aveva attirato un presunto molestatore nella zona, e il gruppo – incluso Passalacqua – colpì per errore il ragazzo sbagliato.
Il caso sconvolse l’Italia, evidenziando come la violenza possa esplodere per futili motivi e travolgere innocenti.
Nel processo, la donna istigatrice è stata condannata a 12 anni di carcere in appello, mentre l’aggressore ha ricevuto 12 anni e 8 mesi in via definitiva.

Natale 2024 – Rissa con accoltellamento in piazza: Il 25 dicembre scorso una violenta rissa è scoppiata in piazza Pitagora, nel cuore di Crotone. Quattro giovani di origine tunisina si sono affrontati brutalmente e uno di loro è rimasto gravemente ferito da un’arma da taglio.

L’episodio – maturato pare per contrasti legati all’ospitalità in una struttura caritativa – ha destato allarme sociale per la sua gravità ed è stato trattato come tentato omicidio.
I responsabili sono stati arrestati e raggiunti da provvedimenti di Divieto di Accesso Urbano (D.AC.UR.) che per due anni impediranno loro di frequentare l’area della rissa.
L’aggressione di Natale, avvenuta in un luogo simbolo del centro cittadino, ha alimentato il dibattito sulla sicurezza nella movida e sul rischio di escalation di violenza tra gruppi di giovani stranieri e non.

Maggio 2025 – Botte con mazze e bottiglie: Solo poche settimane prima del pestaggio di metà giugno, Crotone era stata teatro di un’altra scena di violenza gratuita.
A fine maggio una rissa furibonda è avvenuta nei pressi di una sala giochi sul lungomare: tre giovani armati di una mazza di legno e di una bottiglia rotta hanno seminato il panico finché l’intervento della polizia non ha riportato la calma.
Due partecipanti, già noti per precedenti di disturbo dell’ordine pubblico, sono stati identificati e denunciati per rissa aggravata e porto di oggetti atti a offendere.
Anche in questo caso la violenza del branco e l’uso di armi improprie (bastoni, cocci di vetro) hanno confermato un preoccupante salto di qualità nelle dinamiche delle liti tra giovani.
L’episodio ha indotto il Questore di Crotone a sospendere per una settimana l’attività della sala giochi coinvolta, ritenuta ritrovo di soggetti violenti, nel tentativo di “ripristinare l’ordine” nei luoghi della movida.

Questi fatti di cronaca delineano un filo rosso: dalle scorribande estive alle aggressioni nelle festività, fino alle violenze del weekend, Crotone sta vivendo una serie di esplosioni di violenza giovanile.
Ma quali sono le cause, dirette e indirette, che alimentano questo fenomeno?
La nostra inchiesta ha raccolto dati, testimonianze e analisi critiche su sei fattori chiave:
1. il livello culturale e la dispersione scolastica;
2. l’uso di droghe e i legami con la microcriminalità;
3. la mancanza di luoghi sani di aggregazione;
4. il degrado dello sport giovanile e la carenza di attività strutturate;
5. la cultura della violenza radicata anche in ambito familiare;
6. infine l’omertà sociale diffusa e la sfiducia verso le istituzioni.

CULTURA IN CRISI E LA SCUOLA CHE NON C’È
Un primo elemento da considerare è il background socio-culturale dei ragazzi coinvolti in questi atti violenti.
Crotone e la Calabria in generale scontano storicamente indici allarmanti di abbandono scolastico e povertà educativa, terreno fertile per disagio e devianza.
Basti pensare che la Calabria registra uno dei tassi di dispersione scolastica più alti d’Italia: nel 2021 il 14% dei giovani abbandonava precocemente la scuola (peggio facevano solo Sicilia, Puglia e Campania).
La provincia di Crotone in particolare presenta dati gravissimi sulla qualità dell’istruzione: quasi il 57% degli studenti crotonesi termina la terza media con competenze alfabetiche inadeguate, la percentuale più alta di tutto il paese.
In altre parole, oltre la metà dei ragazzi di 13-14 anni a Crotone non raggiunge un livello sufficiente di comprensione dell’italiano al termine della scuola media.
Si tratta di un segnale di emergenza educativa che prelude spesso a percorsi scolastici accidentati o interrotti.

Questo deficit formativo genera giovani con minori opportunità di proseguire gli studi o trovare lavoro qualificato, e spesso li espone a strada e devianza. Una scarsa alfabetizzazione e l’abbandono dei banchi si traducono non solo in poche prospettive di carriera, ma anche in una povertà culturale diffusa: mancanza di senso civico, difficoltà a gestire i conflitti senza ricorrere alla violenza, scarsa conoscenza dei propri diritti e doveri. Educatori e sociologi locali sottolineano come un basso livello di istruzione possa favorire l’ingresso dei giovani in circuiti di illegalità: chi non si forma, facilmente si deforma, trovando nei modelli criminali un riferimento alternativo.
Viceversa, la scuola – quando funziona – rappresenta un fondamentale presidio di legalità e socializzazione positiva; purtroppo, a Crotone, troppo pochi ragazzi la vivono appieno fino al diploma.
Va detto che esistono anche realtà virtuose impegnate contro la dispersione.
Ad esempio il programma “Fuoriclasse” di Save the Children è attivo in alcune scuole calabresi per motivare gli studenti a proseguire gli studi.
Tuttavia, nel contesto crotonese servirebbero maggiori investimenti in orientamento, tutoraggio e supporto alle famiglie a rischio: spesso infatti dietro un drop-out c’è un nucleo familiare in difficoltà economica o poco sensibile al valore dell’istruzione.
Combattere la violenza giovanile significa quindi anche ricostruire un tessuto culturale: riportare i ragazzi sui banchi, dare loro competenze e speranze, spezzare il ciclo che dal fallimento scolastico porta alla marginalità sociale.

Droghe, microcriminalità e baby gang
Un secondo fattore cruciale è la diffusione di droga e criminalità minorile, spesso due facce della stessa medaglia.
Molti episodi di violenza giovanile a Crotone vedono protagonisti ragazzi già invischiati in piccoli reati – spaccio, furti, vandalismo – o comunque orbitanti attorno ad ambienti malavitosi.
I tre diciannovenni autori del pestaggio di giugno ne sono un esempio lampante: tutti avevano precedenti penali, in particolare reati legati agli stupefacenti.
Questo indica che non si tratta di “bravi ragazzi” improvvisamente rissosi per una notte, bensì di giovani già radicalizzati nella delinquenza di strada.
Secondo fonti investigative, a Crotone esiste una sorta di microcriminalità giovanile organizzata: piccole bande di ragazzi che frequentano la movida e al tempo stesso gestiscono lo spaccio di droghe leggere e pesanti nelle ore notturne.

La Polizia di Stato crotonese sta infatti approfondendo se i responsabili delle ultime aggressioni fossero inseriti in “circuiti criminali” capeggiati da giovani della movida.
Non siamo ai livelli strutturati della ’ndrangheta (ben radicata nel crotonese), ma emergono fenomeni assimilabili alle “baby gang” urbane: gruppi fluidi di adolescenti e ventenni che tra discoteche, sale giochi e piazze dettano legge con la violenza, si contendono territori di spaccio, regolano conti personali o di gruppo.
Il consumo stesso di droghe da parte di questi ragazzi è un moltiplicatore di aggressività: l’abuso di alcol e cocaina in particolare alimenta risse e pestaggi per futili motivi, potenziando la tendenza a reagire in modo sproporzionato.

I dati locali su sequestri di droga confermano una realtà allarmante.
Solo nelle scorse settimane, la Questura di Crotone ha arrestato giovani pusher trovati in possesso di quantitativi significativi di cocaina e altre sostanze. Le piazze crotonesi del divertimento serale – dal lungomare al centro storico – sono diventate anche piazze di spaccio, e laddove circolano gli stupefacenti spesso si innescano meccanismi violenti: per il controllo dei clienti, per debiti non saldati, o semplicemente per euforia e disinibizione di chi consuma.

Droga e violenza giovanile formano così un binomio pericoloso, che andrebbe contrastato su entrambi i fronti: sia reprimendo lo spaccio (come stanno facendo le forze dell’ordine con operazioni e denunce), sia promuovendo campagne di prevenzione e recupero nelle scuole e nei luoghi di aggregazione.
Su questo secondo versante però l’azione risulta ancora timida e frammentaria.
Un segnale incoraggiante è l’attenzione che le istituzioni sembrano voler dedicare al problema: nel maggio scorso il Questore di Crotone, Renato Panvino, ha convocato un tavolo tecnico con i rappresentanti dei locali pubblici (Confcommercio) e i dirigenti delle varie divisioni di polizia per discutere di sicurezza nella movida, spaccio di droga e lavoro nero giovanile.
L’idea di fondo è che il contrasto alla devianza debba essere sistemico: non solo pattuglie e arresti, ma anche collaborazione con esercenti, monitoraggio dei luoghi a rischio e interventi sociali per togliere “manodopera” alla criminalità.
Resta però ancora molto da fare per smantellare quella sottocultura secondo cui fare soldi facili con la droga o imporre la propria supremazia con la forza sia accettabile tra i giovani crotonesi.

POCHI SPAZI DI AGGREGAZIONE: GIOVANI AI MARGINI DELLA CITTÀ
Un terzo fattore, spesso denunciato da associazioni e famiglie, è la carenza di luoghi di aggregazione sani e alternativi per i ragazzi.
Crotone offre ben pochi spazi pubblici in cui i giovani possano ritrovarsi in modo costruttivo e sorvegliato: mancano centri giovanili attrezzati, biblioteche frequentate dai ragazzi, ludoteche per adolescenti, oratori attivi sul territorio.
Questo vuoto è stato segnalato anche dagli operatori sociali locali: “In una città segnata dalla povertà e dallo spopolamento giovanile, la mancanza di spazi e servizi gratuiti per i ragazzi è inaccettabile”, scrive il movimento Demos Crotone in un recente appello pubblico.
Per anni, di fatto, l’unico “sfogo” per i giovani crotonesi sono stati i locali notturni, i bar sul lungomare o la strada stessa.

Senza luoghi di ritrovo positivi, i ragazzi hanno finito per autogestirsi per strada, spesso annoiati e senza stimoli, situazione che facilmente degenera in atti vandalici o violenti.
Emblematico è ciò che racconta Luca Greco, uno dei responsabili di “Spazio Giovani”, un nuovo centro di aggregazione aperto nel 2025 proprio per colmare questo gap: “Vogliamo che questo spazio sia una porta aperta, un punto di accesso per chi non sa dove andare, un luogo di riferimento in una città dove gli spazi dedicati ai giovani sono troppo pochi”.
Spazio Giovani è una struttura inaugurata a marzo sul lungomare, presso il Centro “Dame – Zia Mariù”, grazie a un progetto sostenuto dal Dipartimento per le Politiche della Famiglia.
Offre tre pomeriggi a settimana (e in futuro anche sere) un ambiente gratuito e sicuro dove adolescenti e ventenni possono socializzare in modo sano: ci sono giochi di società, musica, proiezioni video, aree studio, laboratori tematici e anche sportelli di ascolto su problemi come la violenza di genere o il cyberbullismo.
L’idea è di far riscoprire ai ragazzi “il piacere della compagnia e della leggerezza” senza dover consumare o spendere soldi.

In sostanza, ricreare quel senso di comunità giovanile che altrove è garantito da centri ricreativi o oratori, ma che a Crotone finora era quasi assente.
L’apertura di Spazio Giovani – gestito dalla coop sociale Kairos in collaborazione con Save the Children – è certamente una nota positiva, ma resta un’isola nel deserto.
La sua stessa nascita conferma quanto poco si fosse fatto prima: se nel 2025 si inaugura “il primo centro di aggregazione giovanile” comunale, vuol dire che intere generazioni precedenti ne sono state prive.
Ed è verosimile che molti dei giovani violenti di oggi abbiano “imparato la vita” principalmente in strada o nei contesti meno educativi (locali, piazze, ambienti virtuali incontrollati).

Una carenza di luoghi aggregativi comporta anche che non esistano figure adulte di riferimento (educatori, animatori, allenatori) che guidino i ragazzi nel tempo libero.
Senza tali figure, il gruppo dei pari può facilmente sbandare verso comportamenti devianti, in un vuoto di supervisione.
Per invertire la rotta, servirebbe moltiplicare iniziative come Spazio Giovani e creare rete: centri analoghi nei quartieri periferici, apertura prolungata degli spazi scolastici nel pomeriggio per attività extra-curricolari, maggior supporto a parrocchie e associazioni che organizzano doposcuola o squadre sportive.
Alcuni comuni della provincia, in passato, hanno attivato “ludoteche” e centri ludici per adolescenti, ma è necessario stabilizzarli e finanziarli.
Quando i giovani vengono coinvolti in attività creative, culturali o ricreative, hanno meno tempo e motivazione per cercare adrenalina nella violenza o rifugio nelle sostanze.

La comunità crotonese sembra averlo compreso, tanto che negli ultimi mesi si moltiplicano gli appelli e i progetti per restituire spazi di socialità ai ragazzi prima che la strada li divori.
SPORT NEGATO E MANCATE ALTERNATIVE STRUTTURATE
Strettamente collegata al tema precedente è la crisi dello sport giovanile a Crotone.
Lo sport, da sempre considerato uno dei migliori antidoti al disagio giovanile, in questa città ha sofferto anni di abbandono infrastrutturale e organizzativo.
Molti impianti sportivi pubblici sono rimasti chiusi o inagibili a lungo, privando bambini e adolescenti di opportunità fondamentali di svago e crescita.

Già nel 2021 la stampa locale denunciava che allenarsi a Crotone era diventato “un’impresa impossibile”: il palazzetto dello sport (PalaMilone), la piscina olimpionica e altri campi comunali erano chiusi per problemi burocratici o strutturali, lasciando centinaia di giovani senza luoghi dove praticare attività fisica.
Intere stagioni sportive sono andate perse.
Società dilettantistiche storiche hanno lanciato allarmi disperati per “evitare un’altra stagione di inattività per centinaia di bambini e adolescenti”.
In mancanza di impianti agibili, molti ragazzi hanno smesso di fare sport o si sono riversati a bighellonare altrove, con tutte le possibili derive comportamentali del caso.
Questa assenza di sport pesa enormemente.
La pratica sportiva non solo incanala le energie giovanili in modo positivo, ma insegna disciplina, rispetto delle regole, gestione dell’aggressività e spirito di squadra.
Tutte qualità antitetiche alla violenza di strada.
Non sorprende che nei quartieri dove mancano campetti, palestre e oratori, fioriscano invece i “branchi” annoiati.
Come ha sottolineato il sindaco Vincenzo Voce, inaugurando un campo da calcio riqualificato di recente, lo sport toglie i giovani dalla strada: “Questa è una struttura dove intere generazioni di giovani crotonesi hanno giocato… li ha allontanati dal pericolo della strada avvicinandoli allo sport. Oggi tanti giovani potranno tornare a sognare e soprattutto praticare attività sportiva”.

Le parole del sindaco, pronunciate nel novembre 2024 durante la riapertura dello storico campo di Tufolo, evidenziano proprio il legame tra degrado sportivo e devianza.
Quel campo, abbandonato per anni alle erbacce, è rinato grazie a un finanziamento pubblico e ora offre un terreno in erba sintetica, spazi per basket e pallavolo e nuove luci.
È un esempio concreto di come investire nello sport giovanile equivalga a investire in sicurezza e coesione sociale.
Accanto al Campo di Tufolo, il Comune sta finalmente intervenendo su altri impianti: sono in corso progetti per recuperare le strutture di quartiere e la storica piscina ex Coni(anche se siamo stati critici, speriamo che la riqualificazione vada a buon fine), con l’obiettivo di realizzare addirittura una “cittadella dello Sport” in città senza che ci siano bande criminali travestite da associazione sportive.
Sono sviluppi importanti, perché rimediano a colpevoli ritardi.

Ogni impianto sportivo riaperto significa decine o centinaia di ragazzi in più impegnati a tirare calci a un pallone invece che calci a un coetaneo.
Tuttavia, la sfida non è solo infrastrutturale ma anche organizzativa: servono società sportive, allenatori motivati, tornei ed eventi che coinvolgano i giovani sul territorio.
In passato, a Crotone, il calcio professionistico (la squadra cittadina arrivò in Serie A) ha acceso entusiasmi, ma a livello di base mancava una rete solida.
Ora qualcosa si muove: la riqualificazione degli impianti con fondi PNRR e comunali sta andando di pari passo con il potenziamento di associazioni sportive dilettantistiche, anche grazie al traino di progetti sociali anti-degrado.
Ad esempio, un recente finanziamento di 7,3 milioni di euro ottenuto dal Comune include iniziative per la pratica sportiva nei quartieri difficili, integrata in percorsi educativi più ampi.
In definitiva, ridare lo sport ai giovani è una priorità per togliere terreno alla violenza.
Come ha sottolineato anche il prefetto di Crotone all’inaugurazione del campo di Tufolo, queste strutture hanno un’importanza che va oltre l’agonismo: sono spazi di socializzazione, di crescita equilibrata, di apprendimento di valori sani. Ogni euro speso per riaprire una palestra oggi potrebbe voler dire un ragazzo in meno in questura domani.
La speranza è che gli sforzi in atto proseguano senza sosta, perché non c’è lotta alla violenza giovanile che possa prescindere dal creare alternative positive per il tempo libero dei ragazzi.

CULTURA DELLA VIOLENZA E DINAMICHE FAMILIARI
Scavando più in profondità, c’è poi un tema di cultura e modelli comportamentali che va affrontato.
La violenza tra i giovani non nasce nel vuoto: spesso è il riflesso di ciò che vivono o apprendono in famiglia e nel contesto sociale.
In alcune realtà crotonesi – specialmente nelle aree più disagiate – si tramanda quasi una subcultura della sopraffazione: i ragazzi crescono assistendo a liti domestiche feroci, apprendendo che “il rispetto si ottiene con la forza”, percependo l’autorità come nemica.
Il clamoroso caso Ferrerio illumina anche questo aspetto.
Dietro l’aggressione c’è una vicenda familiare inquietante: una madre che incita alla violenza per difendere la figlia.
Anna Perugino, 44 anni, allarmata dal fatto che un uomo importunasse online la figlia minorenne, non ha esitato a farsi giustizia da sé.
Ha radunato il compagno, alcuni conoscenti e ha dato appuntamento al presunto molestatore per punirlo.

Si è dunque comportata da capo branco, trasmettendo ai più giovani coinvolti (la figlia stessa, il compagno 37enne, l’aggressore 25enne) l’idea che la reazione violenta fosse non solo lecita ma doverosa.
L’epilogo tragico – con un innocente massacrato per errore – evidenzia come le dinamiche familiari possano alimentare direttamente la violenza giovanile.
In questo caso è l’adulto ad aver armato metaforicamente il braccio dei ragazzi, in un ribaltamento di ruoli che lascia sgomenti.
La figlia minorenne della donna, coinvolta nel fatto, è stata poi anch’essa condannata (a un percorso di messa alla prova) dal tribunale minorile: segno che la responsabilità si è allargata a un intero nucleo familiare.
Non è un caso isolato.

Spesso le lotte tra baby gang o i pestaggi di gruppo hanno radici in faide familiari o emulano codici violenti già esistenti nelle cerchie adulte.
In Calabria, terra storicamente segnata dalla ‘ndrangheta, non mancano contesti dove i giovani vengono esposti presto a esempi di prepotenza, leggi del taglione private e uso delle armi.
Pur senza generalizzare – la maggior parte delle famiglie crotonesi trasmette valori sani – è innegabile che in alcuni ambienti la violenza sia normalizzata.
Un ragazzo che cresce vedendo un padre picchiare la madre, o un fratello maggiore risolvere le questioni a botte, tenderà più facilmente a replicare quei comportamenti con i coetanei.
Nel territorio crotonese vi sono stati anche casi di violenza intra-familiare giovanile che suonano come campanelli d’allarme.

Nell’agosto 2022, ad esempio, un 22enne è stato arrestato dopo aver ridotto il padre in fin di vita a colpi di bastone durante un litigio in casa – un episodio estremo che rivela dinamiche familiari patologiche dove il figlio diventa carnefice.
Sono situazioni limite, ma indicano che la rabbia dei giovani spesso matura in seno alla famiglia prima di esplodere fuori.
Per contrastare la cultura della violenza, servono interventi sia educativi sia psicologici.
Da un lato bisognerebbe lavorare con le famiglie, specie quelle multiproblematiche, tramite servizi sociali e sportelli d’ascolto, per spezzare la catena intergenerazionale della violenza.
Dall’altro occorre fornire ai giovani modelli alternativi: figure positive (allenatori, insegnanti, mentori) che mostrino un altro modo di risolvere i conflitti, progetti di educazione emotiva nelle scuole che insegnino a gestire rabbia e frustrazioni, campagne per promuovere la non-violenza come valore.

Alcune iniziative in tal senso sono partite: il Centro “Spazio Giovani” citato offre anche incontri sulla violenza di genere e sul bullismo digitale, segno che si sta cercando di rieducare ai sentimenti i ragazzi. Anche la Chiesa locale e associazioni come Libera organizzano periodicamente convegni e manifestazioni per dire “no” alla violenza e all’omertà.
Tuttavia, l’impatto culturale sarà visibile solo nel lungo periodo. Nel frattempo, resta prioritario individuare i casi a rischio (giovani cresciuti in famiglie violente o contigue alla criminalità) e seguirli da vicino prima che passino dal ruolo di potenziali vittime a quello di autori di reato.

OMERTÀ SOCIALE E SFIDUCIA NELLE ISTITUZIONI
Un ulteriore aspetto, trasversale agli altri, che alimenta il fenomeno è l’omertà diffusa e la scarsa fiducia nelle istituzioni da parte della comunità.
Gli episodi sul lungomare hanno messo in luce un dato sconcertante: decine di persone assistono a un pestaggio e nessuno interviene, nessuno chiama la polizia.
La Questura di Crotone, in una nota ufficiale, ha stigmatizzato duramente “l’assenza di collaborazione da parte della cittadinanza” che ha reso più difficile il lavoro investigativo.
I video di alcune aggressioni circolati sui social mostrano passanti intenti a filmare con il cellulare piuttosto che ad aiutare la vittima o segnalare i fatti. Questo atteggiamento, che richiama tristemente la parola “omertà”, ha cause complesse.
Da un lato c’è la paura di ritorsioni: molti hanno timore a esporsi contro giovani violenti che potrebbero vendicarsi.
Dall’altro c’è una radicata sfiducia verso lo Stato: l’idea che “non cambia nulla”, che denunciare non serva a niente o che addirittura possa comportare fastidi (come testimoniare in tribunale) senza reali benefici.
La cultura dell’omertà ha radici storiche nel Sud e a Crotone, come altrove in Calabria, affonda nella lunga convivenza con la criminalità organizzata. Abituati per decenni a non parlare, a “farsi i fatti propri” per evitare guai, molti cittadini replicano questo schema anche di fronte alla micro-violenza quotidiana.
Il risultato è che i giovani teppisti si sentono legittimati e impuniti: sanno che quasi nessuno li denuncerà.

Nel pestaggio del 24enne, i responsabili hanno agito in mezzo alla folla, quasi ostentando sicurezza, certi che nessuno avrebbe fatto il loro nome.
E inizialmente è andata proprio così, tant’è che la polizia ha dovuto fare appello a telecamere e indagini tecnologiche per risalire a loro. Solo grazie a questo “lavoro silenzioso” degli inquirenti i tre sono stati acciuffati, non certo grazie alla collaborazione dei presenti.
La sfiducia nelle istituzioni non riguarda solo i cittadini-spettatori, ma anche gli stessi ragazzi coinvolti.
Molti giovani violenti provengono da contesti in cui lo Stato è percepito come distante o ostile.
Non credono che le forze dell’ordine possano proteggerli (anzi spesso le vedono come nemiche da sfidare), non si fidano della giustizia, e nemmeno della scuola o dei servizi sociali.

Questa alienazione facilita la nascita di codici paralleli: la “giustizia fai da te” (come nel caso Ferrerio), la legge del più forte nel gruppo, la ricerca di approvazione sui social più che nelle istituzioni. Emblematico al riguardo è il fenomeno, segnalato da alcuni osservatori, della “violenza per i like”: risse organizzate o esibite sui social network per guadagnare notorietà nel branco virtuale.
Lo stesso sindaco Voce ha recentemente parlato di “violenza dei like”, riferendosi alla necessità di chiudere canali social che inneggiano alle aggressioni, come anche per il pestaggio di qualche giorno fa’ non si è fatto attendere il commento del primo cittadino, che ha fatto sentire la voce delle istituzioni, come è giusto che sia.
L’omertà dunque si declina in vari modi: silenzio di chi vede e non riferisce, ma anche silenzio delle vittime (molti giovani aggrediti non sporgono denuncia, per timore o rassegnazione) e silenzio dell’intera comunità, che spesso minimizza il problema finché non esplode in tragedia.

Questo silenzio è un grande alleato della violenza, perché lascia campo libero ai bulli e isola ulteriormente i ragazzi perbene.
Rompere l’omertà richiede un cambio di mentalità che può venire solo da esempi positivi e da un rinnovato patto di fiducia tra cittadini e istituzioni.
Qualche segnale in questa direzione s’intravede. Dopo gli ultimi fatti, le forze dell’ordine hanno invitato esplicitamente la popolazione a collaborare e denunciare.
Iniziative pubbliche contro la violenza – come manifestazioni e incontri – stanno incoraggiando più persone a “alzare la voce”.
L’ evento sul lungomare, promosso dal club Soroptimist, ha avuto proprio come tema “Abbattere il muro di violenza ed omertà”, con la partecipazione di studenti e famiglie unite dallo slogan “Io non sto zitto”.
Sono segnali che indicano la strada giusta: far capire soprattutto ai giovani che denunciare non è da vigliacchi, ma da coraggiosi, e che lo Stato c’è ed è dalla parte di chi vuole vivere in sicurezza.
La sfida più ardua sarà coinvolgere in questo percorso anche quei ragazzi che attualmente vivono ai margini della legalità, facendoli sentire parte di una comunità in cui non serve farsi giustizia da soli perché giustizia viene fatta.

RISPOSTE ISTITUZIONALI: TRA REPRESSIONE E PREVENZIONE
Di fronte all’escalation di violenze giovanili, le istituzioni locali hanno messo in campo varie risposte, con luci e ombre.
Sul versante della repressione e sicurezza pubblica, la linea è stata immediatamente dura: il Questore Panvino ha assicurato “tolleranza zero verso ogni tipo di violenza”, rafforzando i controlli serali nelle zone della movida e disponendo provvedimenti severi per gli autori delle risse.
Nel caso del pestaggio sul lungomare, ad esempio, per i tre indagati è già stato avviato il Daspo urbano. Parallelamente, è stato aperto un procedimento per la chiusura del locale teatro dell’aggressione ai sensi dell’art.100 TULPS, che consente di sospendere la licenza ai pubblici esercizi che costituiscono un pericolo per l’ordine pubblico. Misure analoghe erano state prese dopo la rissa di fine maggio: sette giorni di stop alla sala giochi coinvolta, come segnale esemplare.
L’intento dichiarato è “impedire che gli esercizi pubblici diventino centri di aggregazione per soggetti dediti ad attività illecite”, interrompendo sul nascere situazioni a rischio e restituendo sicurezza ai cittadini.
Queste mosse, di carattere essenzialmente punitivo, hanno raccolto consenso tra molti cittadini esasperati.
C’è chi plaude all’idea di “ripulire il lungomare” dai violenti con ogni mezzo: zone rosse, pattuglioni, locali chiusi se frequentati da balordi.

Tuttavia, c’è anche il rovescio della medaglia.
Azioni repressive come i Daspo o le chiusure dei locali agiscono sull’effetto più che sulla causa: spostano eventualmente il problema (i soggetti violenti si riuniscono altrove) senza eliminarlo. Inoltre, la sola polizia – per quanto attiva – non può bastare: i numerosi episodi dimostrano che non sempre è presente al momento giusto, e intervenire dopo significa comunque trovarsi un ragazzo all’ospedale e un altro in questura.
Insomma, sul piano della prevenzione sociale i limiti sono evidenti: per anni si è investito troppo poco nell’affrontare a monte il disagio giovanile a Crotone.
La politica locale è apparsa talora distratta e assente: problemi cronici come gli impianti sportivi chiusi o la mancanza di centri giovanili non hanno trovato risposte tempestive, se non quando sono esplosi i sintomi più acuti (risse, vandalismi, allarmi sicurezza).
Anche la scuola avrebbe bisogno di maggior sostegno da parte delle istituzioni: progetti di contrasto alla dispersione, educatori di strada nei quartieri difficili, finanziamenti per tenere aperte le scuole il pomeriggio.
Queste iniziative, pur previste sulla carta, solo di recente stanno vedendo la luce grazie a fondi nazionali ed europei.

Un importante segnale viene proprio dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e dai fondi comunitari PON Metro, che nel 2023-2025 hanno portato risorse fresche per combattere il degrado sociale a Crotone.
Il Comune ha presentato a febbraio 2025 un pacchetto di progetti del valore di 7,3 milioni di euro mirati all’inclusione giovanile e al recupero urbano. Tra questi spicca “Kroton Skill S.A.R.A.” (Servizio Aggregazione Ragazzi Adolescenti), finanziato con circa 1,59 milioni di euro.
Si tratta di un programma innovativo che prevede la realizzazione di spazi polivalenti e dinamici per i giovani, dove dare risposta alle loro esigenze ricreative, formative e di autonomia.
Il futuro Centro S.A.R.A. si propone di coinvolgere almeno 400 ragazzi tra i 15 e i 29 anni, con particolare attenzione a quelli in situazione di disagio: giovani autori di reato bisognosi di una seconda opportunità (giustizia riparativa), NEET (che non studiano né lavorano) da reinserire, studenti a rischio di abbandono.
Verranno offerti supporto scolastico, laboratori creativi, attività sportive e di animazione culturale, in un contesto che favorisca la solidarietà sociale e l’integrazione interculturale.
In parallelo, un altro progetto finanziato (2,2 milioni di euro) prevede la trasformazione dell’ex cinema Kursaal, un edificio abbandonato sul lungomare, in un Community Hub: un centro polifunzionale con spazi per corsi di formazione, coworking, biblioteche, eventi culturali e musicali.
L’assessore comunale Luca Bossi ha spiegato che riqualificando questa struttura storica si creerà un luogo innovativo di incontro, utile anche per migliorare il benessere collettivo e sviluppare nuove idee sociali.
Queste iniziative istituzionali rappresentano finalmente un approccio di prevenzione a lungo termine, che va oltre l’emergenza.
Realizzare spazi dove i giovani possano formarsi, divertirsi e sentirsi parte attiva della società è forse la risposta più efficace alla violenza: perché contrasta quella solitudine e marginalità che spesso sono il terreno in cui germogliano rabbia e devianza.
Certo, molto dipenderà da come tali progetti verranno attuati: l’esperienza insegna che i fondi vanno spesi bene e i centri devono essere animati costantemente, altrimenti restano cattedrali nel deserto.

Ma la direzione intrapresa è quella giusta, unendo repressione e prevenzione.
Da una parte, forze dell’ordine e magistratura locale (anche la Procura di Crotone, guidata dal dott. Domenico Guarascio, segue da vicino questi casi) mostrano determinazione nel perseguire chi semina violenza; dall’altra, Comune e Terzo Settore iniziano a costruire opportunità di riscatto e inclusione per i giovani.

IL FUTURO DI CROTONE NON È SOLO LA BONIFICA:
SONO I RAGAZZI.
L’inchiesta sulla violenza giovanile a Crotone ci consegna l’immagine di una città a un bivio cruciale.
Da un lato c’è la strada del lassismo e della rassegnazione: quella che ha portato, negli anni scorsi, a tollerare degrado, abbandonare i giovani a sé stessi e poi scoprirsi shockati di fronte ai pestaggi in pieno centro.
Una strada che alimenta un circolo vizioso di paura, omertà e ulteriore violenza.
Dall’altro lato c’è la strada – più impegnativa – del risveglio collettivo: riconoscere le falle sociali che hanno condotto a questa situazione e lavorare uniti per porvi rimedio.
I sintomi del cambiamento iniziano a vedersi: c’è una maggiore consapevolezza pubblica, come dimostrano le manifestazioni anti-violenza e gli appelli a rompere il silenzio; ci sono istituzioni finalmente attive sia nel reprimere sia nel prevenire, con interventi strutturali nel tessuto educativo e sportivo; ci sono realtà associative e di volontariato che offrono modelli virtuosi da replicare.
In particolare, progetti come Spazio Giovani e il futuro Centro S.A.R.A. sono esempi concreti di ciò che può funzionare.
Un luogo sicuro dove incontrarsi, essere ascoltati e trovare opportunità può fare la differenza per tanti ragazzi altrimenti attratti dal nulla della strada.
Allo stesso modo, restituire impianti sportivi e spazi culturali ai quartieri significa ricostruire comunità e senso di appartenenza.
Sono modelli che altre città, con problemi simili, hanno adottato con successo (basti pensare alle palestre della legalità nate in zone difficili di Napoli o ai centri giovanili di quartiere attivati in alcune periferie del Nord).
Crotone può ispirarsi a queste buone pratiche e, anzi, diventare a sua volta un laboratorio: trasformare gli ex luoghi di degrado in presìdi di civiltà.
Naturalmente, nulla di tutto ciò avrà effetti immediati sulla cronaca nera.
È probabile che, ancora per un po’, dovremo leggere di risse sedate sul lungomare a colpi di sirene, di minorenni denunciati per aggressioni, forse di qualche altra vittima innocente della furia cieca.
Ma se il seme del cambiamento sarà coltivato con costanza – dalle aule scolastiche ai centri sociali, dalle famiglie ai social network – nel giro di qualche anno Crotone potrebbe invertire la tendenza.
Servirà coraggio e perseveranza: coraggio da parte dei cittadini onesti nel non voltarsi più dall’altra parte; perseveranza da parte delle istituzioni nel mantenere gli impegni presi oltre l’onda emotiva del momento.
La “ferma condanna” e la “tolleranza zero” espresse dal Questore dovranno tradursi in un lavoro quotidiano, paziente e integrato con educatori, psicologi, mediatori di comunità.
In conclusione, l’allarme lanciato da questi episodi di violenza giovanile può diventare un’opportunità per Crotone di guardarsi allo specchio e correggere le proprie fragilità sociali.

È un compito che chiama in causa tutti: forze dell’ordine, amministratori, scuola, associazioni, famiglie e i giovani stessi.
Questi ultimi vanno coinvolti non solo come destinatari di interventi, ma anche come protagonisti del cambiamento.
Già oggi a Crotone ci sono giovani che si impegnano nel volontariato, nello sport, nella cultura della legalità: voci positive che meritano spazio e ascolto, per fare da traino ai coetanei più smarriti.
Se la comunità riuscirà a fare rete intorno a loro, isolando invece chi sceglie la violenza, allora questa città potrà finalmente voltare pagina.
La posta in gioco non potrebbe essere più alta: si tratta di restituire un futuro ai nostri ragazzi e con esso serenità e sviluppo all’intera collettività. Perché una Crotone in cui i giovani non hanno più bisogno di alzare le mani per farsi rispettare, è una Crotone in cui tutti potranno camminare più sicuri sul lungomare – il luogo simbolo dove oggi, purtroppo, è caduta l’ultima vittima di una violenza insensata.
Sta a noi fare in modo che sia davvero l’ultima.