Csm, luglio 1992: i verbali su Falcone e la “pista nera” del delitto Mattarella

Csm, luglio 1992: i verbali su Falcone e la “pista nera” del delitto Mattarella

di Antonella Mascali

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Ha deciso di fare ricorso al tribunale del Riesame Filippo Piritore, l’ex prefetto agli arresti domiciliari con l’accusa di aver depistato le indagini sull’omicidio di Piersanti Mattarella, il presidente della Regione siciliana ucciso a Palermo il 6 gennaio del 1980.
Piritore, secondo la procura di Palermo, fece sparire il guanto nero abbandonato da uno dei due killer, rimasti finora impunti, nella macchina rubata per fuggire dopo l’agguato all’esponente democristiano, allievo di Ado Moro. Sugli esecutori materiali, la pista seguita da Giovanni Falcone portava agli estremisti di destra, come ha ricostruito Roberto Scarpinato, allora pm di Palermo. Il magistrato andava fermato perché aveva capito chi c’era dietro i cosiddetti delitti politici di Michele Reina, Mattarella, Pio La Torre, non certo solo Cosa Nostra.

Nel 1989, ha ricordato ancora Scarpinato, davanti alla Commissione Antimafia, Falcone disse che al Nord i registi della strategia della tensione per eseguire stragi e attentati si erano avvalsi dell’estremismo di destra e al Sud della mafia. Scarpinato, delle scoperte investigative di Falcone ne ha parlato già nel 1992, al Csm, dieci giorni dopo la strage di via D’Amelio in cui morirono Paolo Borsellino e 5 agenti di scorta. L’allora Comitato antimafia del Csm oltre a Scarpinato ascoltò anche Antonio Ingroia, Vittorio Teresi e Ignazio De Francisci.

Sono i pubblici ministeri che avevano firmato assieme a Teresa Principato, Antonio Napoli e Giovanni Ilarda un documento in cui presentavano polemicamente le dimissioni per l’assoluta mancanza di sicurezza e per la gestione della Procura di Palermo da parte di Pietro Giammanco. Il procuratore, com’è noto, su sua richiesta sarà trasferito nell ’agosto del 1992, i pm ritireranno le loro dimissioni e alla guida della Procura arriverà Gian Carlo Caselli.

I verbali di quelle deposizioni furono secretati. In occasione del venticinquesimo anniversario delle stragi di Capaci e via D’Amelio, il Csm (vice presidente Giovanni Legnini, direttore dell’ufficio studi, Luca Palamara) li ha lasciati nei cassetti, mentre ha desecretato tutti gli altri atti che riguardavano i due magistrati uccisi. Chi scrive ha pubblicato negli anni scorsi quelle testimonianze sul Fatto.

Alla luce della nuova indagine a Palermo, ci sembra interessante riproporre cosa abbia riferito Scarpinato, il 29 luglio 1992, a proposito di Falcone e dell’indagine sull’omicidio di Mattarella: il magistrato voleva trovare riscontri nell’archivio di Gladio, ma Giammanco lo ostacolava: “C’è una riunione alla quale partecipa il Procuratore Giammanco, Falcone dice in tono acceso a Giammanco: ‘Io non condivido il tuo modo di gestire l’ufficio’ (con riferimento al processo per gli omicidi politici di Reina, Mattarella e La Torre, ndr). I problemi con Giammanco – prosegue Scarpinato – si ponevano quando si passava in materia di mafia a livelli superiori. Per esempio il caso Gladio. Accade in particolare che un estremista di destra, di Palermo, dichiara alla televisione che lui faceva parte di un’organizzazione clandestina che era simile a quella di Gladio, che aveva avuto il compito di seguire alcuni personaggi politici siciliani (tra cui Mattarella, ndr ). (…) La posizione di Falcone e mia era quella di acquisire tutti gli atti di Gladio (…). Le resistenze erano talmente avvertite da Falcone che disse: ‘A questo punto io vi rimetto la delega, occupatevene voi’. Alla fine si decide che – tes timonia ancora Scarpinato – Falcone sarebbe andato nella sede dei servizi segreti a guardare gli atti e a verificare se per caso c’era qualcosa che ci poteva interessare. Si decise di affiancarlo con il collega Pignatone (l’ex procuratore di Roma, ndr), fatto che lui visse come una specie di mancanza di fiducia e ricordo che io rimasi insoddisfatto perché dissi: ‘Come si fa nell ’arco di pochi giorni a visionare tutti questi atti, a memorizzarli e a prendere in considerazione tutti i fatti che ci possono essere utili in questo processo. Può darsi che un nome che in quel momento non dice assolutamente niente, tra 15 giorni può essere rilevante”.