Cutro capitale delle biomasse. Quando il boss ordinò: dobbiamo mangiare tutti quanti

L’intera filiera delle biomasse sarebbe stata gestita direttamente dalle cosche di ‘ndrangheta, la stessa nascita della centrale di Cutro sarebbe stata voluta dal boss Nicolino Grande Aracri. A parlare della genesi del business “green” è il collaboratore di giustizia Salvatore Muto. Grande Aracri, ha sostenuto il pentito, si sarebbe inserito nell’“affaire” delle biomasse sin dalla creazione della centrale di Cutro adoperandosi nei confronti di pubblici amministratori al fine di far ottenere le relative autorizzazioni. L’intervento del boss veniva naturalmente retribuito dai vertici della centrale a biomassa mediante sovrafatturazioni a ditte di comodo imposte dalla cosca cutrese che, inoltre, pilotava assunzioni presso quello stabilimento. Proprio nella tavernetta del boss di Cutro si sarebbe deciso di indicare Mario Donato Ferrazzo come referente per il trasporto di cippato presso la centrale a biomassa. In una intercettazione del 2012 il capobastone affermava che un business così redditizio non poteva essere gestito da una singola organizzazione criminale e che avrebbe comunque consentito ingenti guadagni per più realtà ‘ndranghetistiche tra cui anche quella mesorachese: «Dobbiamo guadagnare tutti quanti…inc… dobbiamo mangiare tutti quanti».

E per far “mangiare tutti” le cosche non si sarebbero fatte scrupoli nell’effettuare tagli indiscriminati nei boschi della Sila rischiando di compromettere per sempre il patrimonio ambientale dell’altopiano calabrese. Ma gli alberi non sarebbero bastati a soddisfare gli appetiti. A bruciare dentro la centrale di Cutro sarebbe finito di tutto, anche materiale proveniente dai lavori di manutenzione e pulizia delle strade effettuati in Puglia. Le intercettazioni confermano la “qualità” del materiale. Un dipendente della centrale di Cutro al telefono spiega: “Abbiamo trovato dei blocchi di cemento… tipo quanto un mattone… però tutto di cemento… ne abbiamo trovato sei…”. In un’altra occasione uno degli autotrasportisti si lamenta: “C’è troppa roba lorda… troppa plastica”.

Ma un altro pentito, Giuseppe Liperoti, ha svelato l’ennesimo affare per i clan. La criminalità organizzata avrebbe appiccato incendi nei piazzali di alcune centrali. Questi incendi pilotati e programmati, da un lato avrebbero consentito di poter scaricare nuovo cippato per compensare quello andato bruciato, dall’altro avrebbero potuto permettere di lucrare anche sullo smaltimento della cenere che gli incendi avrebbero prodotto, sempre mediante ditte controllate dalla ‘ndrangheta.