Da Mendicino al Bronx: ciao Mike, “re del salame” amato da Scorsese e De Niro

di Roberta Scorranese

Fonte: Corriere della Sera

Quando Michele Greco arrivò a New York era il 1947. Aveva diciassette anni e cinquanta dollari in tasca. Bastavano per dimenticare un’Italia sfigurata dalla guerra e la povertà della Calabria, dove era nato negli anni del fascismo trionfante. «Volevo fare l’attore», racconterà in una delle tante interviste rilasciate nei decenni americani. E non è vero che non ce l’ha fatta: dietro al bancone della sua salumeria, Mike improvvisava duetti con il figlio David, cantava arie d’opera, si lanciava in lunghi monologhi dal sapore teatrale nei quali l’accento cosentino si ostinava ad allargare le «o» e a dare aria alle palatali. La sua vita, in fondo, è stata un film che potrebbe intitolarsi «The salami king», il re del salame. Poi, il 20 marzo scorso, i titoli di coda: Greco se n’è andato a 89 anni. In tasca, stavolta, aveva molto di più dei cinquanta dollari che in America lo aiutarono a fondare la sua fortuna: Mike’s Deli, una delle gastronomie più famose di New York, nella Little Italy del Bronx, lungo la strada famosa per le soppressate e i dolci di mandorla che arrivano dall’Italia, cioè Arthur Avenue.

Ma quando Greco e il fratello Joe sbarcarono dalla Sobieski, la nave russa che li aveva condotti negli Stati Uniti dopo trenta giorni di navigazione, non pensavano alla mortadella. Mike aveva studiato dai preti, veniva da Mendicino – Cosenza -, era praticamente cresciuto senza il padre (da tempo emigrato in America): voleva un posto sicuro. Si mise a lavorare nelle costruzioni, poi il salumiere napoletano Gennaro Cappiello gli diede in moglie la figlia Antonietta e lo mise a lavorare nel nuovo negozio di Arthur Avenue. Lì, a due passi dai mercati generali, Greco si metterà in proprio nei primi anni Cinquanta. E così Mike Greco è invecchiato assieme a questa colorata enclave italiana nel quartiere più romanzesco di New York. Cantava Puccini mentre disponeva le olive sul piatto, mescolava italiano e inglese — «Sono neutral perché troppo critic per essere politico», replicò agli assistenti di Rudolph Giuliani quando gli chiesero di togliere dalla parete una foto di Hillary Clinton. E quando uscì A Bronx Tale di Robert De Niro, nel 1993, Mike storse il naso: troppe parolacce. Da lui non usava: riponendo un tocco di capocollo, spiegava che a casa sua vigeva la regola delle 5 «F»: Family, Food, Faith, Friends e Forever.

Com’è andata? Mezzo e mezzo: un divorzio, ma anche quattro figli. Uno dei quali, David, oggi guida Mike’s Deli, dove si fanno fotografare De Niro e Scorsese, Bloomberg e Luigi de Magistris (quest’ultimo si ritrovò a lavorare la mozzarella a mano). E quando l’allora candidato repubblicano George W. Bush fece un giro nella zona senza fermarsi da lui, Mike se lo legò al dito. Ma era «troppo critic per essere politico» eccetera. Quindi anche alla voce «Friends» Mike diceva la sua senza tante storie, come certi personaggi di Don DeLillo, uno che è cresciuto lì a due passi, tra i manifesti di Jack LaMotta e l’odore forte dei mercati generali. Questa è la piccola Italia del Bronx nella quale Greco ha girato il suo film personale: non è tanto scorsesiana quanto dondelilliana. C’è un’autenticità tanto rigorosa da diventare religione: si parla il dialetto degli ultimi emigrati e non il broccolino, si tifa Yankees. Rimane la voce «Forever», che chiude la regola delle 5 effe. Che cosa resterà di Mike? Un sentore di prosciutto come si deve, un’Italia che prova a funzionare bene anche se, diceva lui, nessun italiano «sa davvero quanti tipi di Parmigiano esistano». E sappiamo che un paese che ha tante varietà di formaggio fa fatica.