Dal porto di Gioia Tauro alle divise “infedeli”, Rocco Delfino alias ‘U Rizzu è «un uomo che arriva ovunque»

Beni per 11 milioni e mezzo di euro sono stati confiscati dalla Guardia di finanza all’imprenditore Rocco Delfino, imputato nel processo “Mala Pigna” nato da un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria contro la cosca di ‘ndrangheta dei Piromalli di Gioia Tauro. Lo ha deciso la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria che, oltre alla confisca, nei confronti di Delfino ha disposto la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per 4 anni, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale.

La confisca di oggi fa seguito al sequestro dei beni che era avvenuto il 10 marzo 2022.  Compendi aziendali, beni immobili, fondi obbligazionari, rapporti bancari e finanziari e relative disponibilità. C’era tutto questo nel maxisequestro – stimato in oltre 11 milioni di euro – e adesso nella confisca eseguita dalla Guardia di Finanza di Reggio Calabria nei confronti dell’imprenditore gioiese Rocco Delfino, operante nel settore della raccolta e gestione di rifiuti speciali e metallici.

Il nome dell’imprenditore era emerso nell’ambito delle operazioni denominate “Mala Pigna” e “Rinascita Scott”.

OPERAZIONE “MALA PIGNA”

Nel primo caso, l’indagato era stato raggiunto da un ordine arresto in carcere – emesso dal Gip del capoluogo dello Stretto su richiesta della Dda di Reggio – in relazione a diversi capi di imputazione e in quanto ritenuto il capo, promotore ed organizzatore della cosca Piromalli.

Dagli atti dell’inchiesta emergeva che c’era uno stratagemma tanto semplice quanto funzionale alla base di tutto. Intestare delle aziende a dei prestanome in modo tale da poter contare su società per così dire “pulite” e dunque operare in un settore strategico, ed anche redditizio, qual è quello dei rifiuti speciali. Un metodo per avere “le carte in regola” e, dunque, intrattenere rapporti contrattuali con le maggiori aziende siderurgiche italiane, così come contrattare l’importazione e l’esportazione di rifiuti da e per Stati esteri, oltre che aspirare all’iscrizione nelle cosiddette white list negli elenchi istituiti presso la Prefettura. Tra gli indagati c’era anche il noto avvocato ed ex parlamentare Giancarlo Pittelli, già coinvolto in Rinascita Scott oltre a diversi membri della famiglia Delfino, che da decenni opera nel settore.

OPERAZIONE “RINASCITA SCOTT”

Nell’ambito della seconda operazione, Rocco Delfino era stato attinto da un’altra ordinanza di custodia in carcere – emessa però dal Gip del Tribunale di Catanzaro su richiesta della Dda – sempre per reati di natura associativa di stampo mafioso.

In relazione alle risultanze investigative delle due operazioni, la Dda ha delegato al Gico, il Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata delle Fiamme Gialle, a svolgere nei confronti dell’imprenditore un’apposita indagine economico-patrimoniale per ricostruire le acquisizioni patrimoniali, dirette o indirette, effettuate in circa 22 anni, ovvero dal 1997 al 2019, ricostruendone il patrimonio di cui disponesse, direttamente o indirettamente, ed il cui valore appare agli inquirenti sproporzionato rispetto alla capacità reddituale dichiarata ai fini delle imposte sui redditi.

Da qui sono scaturiti dunque i provvedimenti di sequestro e poi di confisca emessi dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria che le Fiamme Gialle hanno eseguito, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri.

Dal porto di Gioia Tauro alle divise “infedeli”, Rocco Delfino è «un uomo che arriva ovunque»

Chi è Rocco Delfino, alias “U Rizzu”, l’uomo che l’avvocato Giancarlo Pittelli avrebbe cercato di favorire acquisendo per lui informazioni riservate tramite il colonnello Giorgio Naselli?
Secondo le accuse che gli rivolge la Procura di Reggio Calabria (e che la Dda di Catanzaro ha messo agli atti del processo Rinascita Scott), Rocco Delfino, fin dagli anni 80, svolge il «ruolo di luogotenente dei fratelli Rocco Molè e Mommo Molè, fino all’omicidio di Rocco Molè del primo febbraio 2008. Procedere poi alla gestione occulta della “Idea Sud” srl, le cui quote sono poi state poste in sequestro e sottoposte a sequestro di prevenzione. Viene attribuita a Rocco Delfino la condotta di riciclaggio di proventi di attività delittuose, mediante attività usuraria. Viene altresì attribuito a Rocco Delfino di avere effettuato dei pagamenti del consulente tecnico che si doveva occupare della consulenza balistica per conto di Pino Piromalli, detto “facciazza”, capo indiscusso della cosca Piromalli, in quel momento al 41 bis».

Rocco Delfino si sarebbe offerto di versare in nero circa 30mila euro su incarico di Antonio Piromalli, figlio di “facciazza”. La perizia balistica è relativa all’omicidio del giudice Antonino Scopelliti. «Pensate la caratura di Rocco Delfino – dice il sostituto procuratore Annamaria Frustaci nel corso della requisitoria del processo Rinascita Scott – che durante la detenzione al 41bis di Pino Piromalli è destinatario della condotta di aver foraggiato, sostenuto il pagamento, delle sue attività difensive, per un omicidio che ancora non è stato punito e che ha riguardato un magistrato come Antonino Scopelliti».

I rapporti con le altre cosche
A Rocco Delfino viene contestato di occuparsi «dell’organizzazione logistica ed economica dei viaggi che dovevano essere effettuati dai familiari di Pino Piromalli detto “facciazza”». Il pm ricorda, inoltre, che Rocco Delfino «teneva i rapporti di rilievo della cosca Piromalli con esponenti di altre cosche o di altre famiglie mafiose, come con Luigi Mancuso ed altri esponenti della famiglia Mancuso di Limbadi, come emerso nell’indagine Rinascita Scott, con esponenti della camorra e con Cosa Nostra».

Dal porto di Gioia Tauro alle divise infedeli
«Rocco Delfino – prosegue il pm – rappresentava insieme a Domenico Cangemi, all’interno del porto di Gioia Tauro, un referente della cosca dei Piromalli per le estorsioni nei confronti delle ditte operanti nel porto». Col fratello Giovanni, Rocco Delfino è accusato di occuparsi di traffico illecito di rifiuti e della gestione della società “Delfino srl di Giovanni Delfino”. Un personaggio, Rocco Delfino, che, dice il pm, le indagini dimostrano che «arriva ovunque». Capace, sostiene l’accusa, di arrivare anche fino a un tenente colonnello dell’Arma dei carabinieri come Giorgio Naselli che su istigazione di Pittelli avrebbe acquisito notizie ricoperte da segreto d’ufficio per agevolare Delfino.

La difesa di Delfino sollecitata da Luigi Mancuso
Ad agosto 2017 ci sono degli incontri conviviali dove Giancarlo Pittelli verrà condotto dal boss Luigi Mancuso. «Dai commenti dei partecipanti a quell’incontro sappiamo – dice il pm – che oggetto dell’incontro è la pratica di Rocco Delfino e di Mimmo Cangemi». «Abbiamo la conferma da parte dello stesso Pittelli – dice Frustaci – che è stato lo stesso Luigi Mancuso a fargli conoscere Rocco Delfino e a segnalarglielo». Ma, secondo l’accusa, quella non fu la segnalazione di un semplice cliente. Esiste, infatti, «un problema che sarà ricorrente», ovvero il fatto che «a fronte della segnalazione di quel mandato difensivo Giancarlo Pittelli renderà conto a Luigi Mancuso». Allo stesso tempo «delle attività difensive di altri suoi assistiti, Pino Piromalli in particolare, Giancarlo Pittelli risponderà a Rocco Delfino». «E’ un modo improprio – asserisce il magistrato – di svolgere l’attività difensiva se non si entra nella logica che non è un mandato difensivo tout court». Secondo l’accusa è un mandato che viene sollecitato da un «capo promotore come Luigi Mancuso» ed è a lui che poi bisogna riferire gli esiti «anziché all’assistito e al cliente con la privacy che è dovuta nella gestione del mandato difensivo».