Di Maio picconatore del Movimento (di Antonio Padellaro)

(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – “Preferisco essere una vittima piuttosto che un assassino”. Joseph Cotten nel film “Duello al sole” (1948)

Colpisce la “location”, perché Luigi Di Maio e Giuseppe Conte hanno scelto di sfidarsi sulle pubbliche piazze, sotto l’inclemente canicola e con intorno nugoli di cronisti accorsi speranzosi al richiamo del sangue pentastellato. Non parleremo però di piazzata per rispetto degli elettori 5 Stelle perché è di loro che vorremmo occuparci in queste brevi note.

Alla luce dei sondaggi per le politiche dell’anno prossimo, che segnalano costantemente il Movimento tra il 12 e il 15 per cento, mettiamo che i potenziali votanti dagli oltre 10 milioni e 700mila del 2018 si siano ridotti di due terzi (nell’ipotesi oggi più pessimistica). Rimarrebbero pur sempre circa 3 milioni e mezzo di voti, cioè un ampio consenso che, per dire, i vari Carlo Calenda e Matteo Renzi (protagonisti dell’immaginifico Centro che si merita spot quotidiani su “Repubblica”, “Corsera, “La Stampa”, eccetera) si sognano di notte. Insomma, malgrado gli inenarrabili casini di questi anni l’M5S continua a rappresentare una fetta importante, e determinante, di questo Paese sotto il profilo numerico ma soprattutto ideale. Sì, ideale poiché di quell’entusiasmo popolare che cinque anni fa travolse la politica italiana, una rivoluzione civile dal basso di cui parlò tutto il mondo, Conte e Di Maio sono stati testimoni diretti (accanto, ovviamente, al fondatore Beppe Grillo e alla generosità di chi, come Alessandro Di Battista, in seguito ha preso altre strade). Oggi, quel popolo, anche un po’ sognatore, si è parecchio ristretto ma esiste ancora. Lo immaginiamo come una gigantesca platea che assiste da lontano allo spettacolo abbastanza triste di un ministro degli Esteri che attacca frontalmente il leader del proprio partito. Osservano non più come l’onda spumeggiante di un tempo ma in un silenzio piuttosto sgomento. Cercano di capirci qualcosa, ma cosa?

Senza dubbio il prossimo 21 giugno l’M5S sarà chiamato in Parlamento a dire la sua sulla guerra e, trattandosi del partito di maggioranza relativa, il governo Draghi non potrà non tenerne conto. A cominciare dalla fondamentale e controversa questione delle forniture di armi da inviare a Kiev. E allora come può Di Maio continuare a descrivere Conte – che è stato premier apprezzato e popolare, e che resta convintamente un uomo delle istituzioni – come un guastatore qualsiasi e mentre l’Italia annaspa tra mille problemi? D’altra parte, il dubbio che Di Maio abbia come obiettivo dei suoi attacchi a Conte anche il limite dei due mandati parlamentari (restando così le cose, l’anno prossimo non potrebbe ricandidarsi) lo ha in qualche modo avanzato proprio il blog di Grillo. Dove viene ribadito che il limite del doppio mandato non si tocca (e quanto alle ipotesi di possibili deroghe non fanno altro che rafforzare il sospetto di cui sopra). Non può esserci dunque equidistanza tra le ragioni e i torti che emergono da tutta la vicenda: se Di Maio vuole andarsene lo faccia, ma decidere di rimanere per picconare ogni giorno Conte può solo accresce la distanza con i cittadini e danneggiare il Movimento. Infatti gli elettori guardano e giudicano.