Dimissioni di Occhiuto, pillola rossa o pillola blu?

«Questa è la tua ultima occasione. Dopo non potrai più tornare indietro. Se scegli la pillola blu, fine della storia: domani ti sveglierai nel tuo letto e crederai a quello che vorrai. Se scegli la pillola rossa, resterai nel Paese delle Meraviglie. E ti mostrerò fin dove arriva la tana del Bianconiglio».

Chi ha visto Matrix ricorda bene questa scena. È il momento in cui la realtà viene messa in discussione, e la verità — quella vera — si presenta per quello che è: scomoda, spietata, ma finalmente autentica. Ora immaginiamo di poter offrire la stessa scelta a ogni cittadino calabrese. Una pillola blu per continuare a vivere nella comfort zone delle bugie rassicuranti, dei telegiornali addomesticati, delle sentenze comode, delle verità parziali. O una pillola rossa per aprire gli occhi su una realtà che da anni ci viene costruita addosso, pezzo dopo pezzo, da chi ha tutto l’interesse a mantenerci nell’illusione. Perché la realtà non è mai uguale per tutti. C’è chi la vive, chi la subisce, e chi la costruisce. Oggi non è più fatta di fatti, ma di narrazioni. E la narrazione di questi giorni — quella messa in scena da Roberto Occhiuto sulle sue dimissioni — è, per chi ha scelto la pillola rossa, una sceneggiatura scritta con cura, fotocopiata dalla propaganda, cucita addosso per ingannare.

Quello che Occhiuto presenta come un atto di ribellione contro politici di secondo piano e burocrati “cattivi” è in realtà una manovra disperata per nascondere uno scontro tutto interno alla sua coalizione. Uno scontro che, per quanto camuffato da crisi istituzionale, ha radici esclusivamente spartitorie. Nessuna grande questione politica, nessuna visione del futuro, solo fame di poltrone e gestione di fondi. E per vedere tutto questo, ai calabresi non servirebbe nemmeno la pillola rossa: basta un minimo di memoria e di onestà intellettuale.

I fatti parlano chiaro: gli Occhiuto hanno occupato e saccheggiato ogni spazio disponibile in Regione. E lo hanno fatto in maniera così arrogante e bulimica da provocare reazioni anche nei loro stessi alleati. Ogni tentativo di mediazione è fallito. Non perché gli altri siano migliori, ma perché gli Occhiuto non vogliono mollare nulla. Anche perchè non possono permetterselo: la loro situazione economica personale è disastrosa, e l’accesso diretto ai rubinetti pubblici è diventato una questione di sopravvivenza. Ed è proprio da queste crepe interne che nasce la controffensiva guidata da Fausto Orsomarso. Tra i più colpiti da Occhiuto, che non si è fatto scrupoli a scassinare la cassaforte di Orsomarso, riempita in anni di traffici e accordi trasversali. https://www.iacchite.blog/calabria-la-vendetta-di-orsomarso-occhiuto-gli-ha-forzato-la-cassaforte-salta-il-patto-ed-esplode-la-guerra/

Fausto Orsomarso, dopo essere stato scaricato pubblicamente da Roberto Occhiuto — che lo ha accusato di sperperi e opacità nella gestione della comunicazione — ha iniziato a lavorare nell’ombra per la sua vendetta politica. Una vendetta che ha preso forma proprio nel momento in cui la figura del presidente ha iniziato a scricchiolare. Ed è a questo punto che arrivano le dimissioni. Annunciate, teatrali, vittimistiche. Ma non casuali. Arrivano dopo la bufera sollevata dall’inchiesta della Dda di Catanzaro sull’uso improprio, e per fini personali, dei fondi pubblici ricevuti dalla società “Tenuta del Castello”, di proprietà proprio di Roberto Occhiuto e del suo vecchio sodale Paolo Posteraro, finanziatore occulto dell’operazione. E per guardare in faccia la realtà bisogna ripercorrere i fatti.

Ma come nasce questa inchiesta? Nasce nel 2021, in piena era Gratteri, e resta in sonno per quattro anni. Solo nel giugno del 2025 arriva, quasi dal nulla, una notifica di proroga delle indagini fino a novembre 2025. E qui la domanda sorge spontanea: dov’è stato, per quattro anni, questo fascicolo? Come mai nessuno lo ha toccato? Perché ci sono voluti quattro anni per comunicare una proroga? A far partire tutto, guarda caso, sono due bonifici sospetti ricevuti da Roberto Occhiuto. A segnalarli all’unità anticorruzione di Bankitalia è il direttore della banca dove Occhiuto ha i conti. Un direttore che, per anni, ha gestito in silenzio le operazioni del suo illustre cliente e che improvvisamente — dopo anni di collaborazione — si sveglia e decide di denunciare due bonifici per un totale di 17.000 euro. Perché? Per zelo civico? Per scrupolo morale? O perché qualcuno lo ha spinto a farlo? Per chi ha preso la pillola rossa, la risposta è chiara: il regista di questa mossa si chiama Fausto Orsomarso. È lui che muove i fili, appoggiato da tutto il suo partito e da pezzi di Forza Italia.

Anche la riesumazione del fascicolo — dormiente da anni — è tutto fuorché casuale. È evidente che sia stata sollecitata. Il nuovo procuratore Curcio, uomo d’apparato, non avrebbe mai avuto il coraggio di promuovere un’azione contro il presidente della Regione, specie in un momento in cui governo e procure sono ai ferri corti. E allora cosa è successo? È successo che ha ricevuto garanzie. Rassicurazioni politiche che non sarebbe stato attaccato. E così è stato. Ed è un fatto — non un’interpretazione — che all’indomani dell’esplosione del caso “Tenuta del Castello”, nessuno nel governo, e in particolare in Fratelli d’Italia, abbia speso una sola parola di solidarietà per Roberto Occhiuto. Nessuno. Silenzio assoluto. E oggi, invece, tutti — proprio tutti — si spellano le mani per dire che Occhiuto è un ottimo candidato, il migliore possibile, il leader regionale del centrodestra. Come si spiega questa schizofrenia?

Se hai preso la pillola rossa, lo sai: la mossa disperata di Occhiuto ha funzionato. Una mossa che va letta per quello che è: un ricatto. Un aut-aut lanciato ai suoi ex alleati, costretti oggi a uscire allo scoperto e prendere posizione sulla sua ricandidatura. Non possono certo dire che sono loro gli ispiratori del “complotto”. Devono reggere la parte. E lo fanno: raccontando che tutto è stato concordato con Meloni e gregari, che le dimissioni sono un atto strategico.

La verità? Devono coprire il panico di Roberto Occhiuto. Devono far credere, ai calabresi, che non è stato abbandonato. Venduto. Scaricato. E che non esite nessun fuoco amico. Ma per svelare la realtà questa volta non serve nemmeno la pillola rossa. Basta ascoltare Fausto Orsomarso. Sentito poche ore dopo l’annuncio via social delle dimissioni di Occhiuto, ha candidamente ammesso di aver parlato con lui la sera prima, senza che il presidente gli avesse accennato nulla. Silenzio totale. Un’assenza di comunicazione gravissima.

Perché, se davvero Occhiuto avesse concordato tutto con Giorgia Meloni, com’è possibile che Orsomarso — delfino politico della Meloni in Calabria, coppia fissa con Wanda Ferro — ne sapesse zero? Ognuno è libero di credere a quello che vuole. Ma la verità, quella nuda, è lì. Roberto Occhiuto parla delle sue dimmissioni con la Meloni e Orsomarso non sa niente di questo! Se c’è chi vuole credere a questo, è libero di farlo. Ma bisognerebbe anche spiegare il senso di queste dimissioni con ricandidatura annunciata. Robertino dice che si dimette perché i dirigenti non firmano. E la domanda non si può evitare: se i diirgenti oggi non firmano perché dovrebbero farlo dopo la sua eventuale rielezione? Cosa cambia in questi tre mesi che precedono le elezioni? Difficile trovare una spiegazione a questo se non nella realtà dei fatti.

È chiaro che la disperazione ha avuto il sopravvento. Compreso che l’inchiesta potrebbe avere sviluppi pesanti, fino a una misura cautelare o a un avviso di garanzia, e consapevole di non poter contare su alcuna tutela da parte del governo, Occhiuto ha pensato che la sua rielezione, magari a furor di popolo, possa diventare uno scudo giudiziario. Una berlusconata disperata. Come se i voti potessero legittimare ogni azione meschina messa in atto. Ma non gli restava altro da fare: neutralizzare il tentativo di logoramento da parte degli alleati, disattivare eventuali candidature civiche fuori controllo, e dotarsi di uno scudo attraverso la legittimazione popolare.

Spera innanzitutto che la campagna elettorale blocchi eventuali misure cautelari, e che una volta rieletto possa trovare un nuovo accordo con il governo per fermare l’inchiesta. Ma è qui che si offre la possibilità a tutti di guardare in faccia la realtà. Tutto dipende dai rapporti di forza che si costruiranno nelle prossime settimane. Perché se è vero — come è vero — che quella di Curcio è un’inchiesta seria nei contenuti ma tirata fuori su richiesta, allora “gli Orsomarsi” hanno ancora il coltello dalla parte del manico. Roberto Occhiuto potrebbe essere raggiunto da un atto giudiziario proprio durante la campagna elettorale, o subito dopo l’eventuale rielezione, riportando al centro del dibattito pubblico la questione morale degli Occhiuto. La domanda vera è: fino a che punto vorrà spingersi il fuoco amico? Dopo il gesto disperato delle dimissioni — che ha costretto i suoi avversari interni a un sorriso forzato — è lecito pensare che l’acredine nei suoi confronti sia cresciuta. Potrebbero fargliela pagare, e andare fino in fondo. Del resto non si mette in moto una macchina del genere per poi spegnerla di colpo. E se invece, a sorpresa, dovesse arrivare un’archiviazione, vorrà dire che l’accordo è stato trovato. Per amore degli equilibri, o meglio: degli intrallazzi. Che poi sono l’unica vera regola che muove tutta questa messinscena.

Ognuno è libero di vederla come vuole, com’è sempre stato. Ma qui la realtà che si nasconde dietro il teatrino del “bene per il popolo” è talmente evidente, che la sceneggiata si presenta da sola. Non serve smascherarla: si smaschera da sé. E distinguere la recita dalla realtà, stavolta, è facile. Fin troppo facile. E non serve nessuna pillola.