(DI PATRIZIA DE RUBERTIS E ROBERTO ROTUNNO – Il Fatto Quotidiano) – “Ricevevo da due anni una Pensione di cittadinanza di 250 euro. Nell’ultimo mese è diventata di soli 40 euro e nessuno mi spiega perché”. È solo un esempio, ma il caso della signora Anna (nome di fantasia) è molto comune in questi giorni. Cosa sta succedendo? A partire da gennaio, l’importo di Reddito e Pensione di cittadinanza è stato ridotto perché una serie di sussidi, che prima non erano considerati, ora vengono calcolati andando a tagliare l’assegno.
Un’integrazione a redditi modesti che ha aiutato milioni di persone a tirare avanti con meno affanni e che ora viene meno, mentre c’è da fare i conti coi rincari di bollette e beni di prima necessità. Insomma, un’emergenza nell’emergenza che riguarda le più fragili tra le famiglie italiane, con anziani e disabili tra i più colpiti. Si tratta di centinaia di migliaia di nuclei che hanno perso, alcuni temporaneamente, il sostegno, mentre molti altri si sono visti ridurre in maniera significativa l’assegno mensile. Non solo: in tanti dovranno addirittura restituire a rate nei prossimi mesi i soldi ricevuti a febbraio.
In pratica, un mix di tecnicismi che ha tolto a molte persone già in difficoltà le poche risorse sulle quali potevano contare finora. Non è un caso che in questi giorni si registri un aumento di accessi alle sedi della Caritas e, soprattutto, di lettere di lamentela all’Inps. “Mia nonna percepiva circa 190 euro – racconta un’altra persona – ma a gennaio sono scesi a 57 euro, come è possibile vivere così?”. “Io sono invalido al 74%, mia sorella al 100%, ma da gennaio il nostro Reddito di cittadinanza è diventato di 40 euro. Non possiamo lavorare, come facciamo ad andare avanti?”, si chiede un altro beneficiario.
Quello che sta succedendo non è responsabilità dell’Inps, che si sta limitando ad applicare la legge che prevede nuovi criteri per il calcolo dell’assegno, come la maggiorazione sulla pensione di invalidità o la quattordicesima. Ma l’Istituto a febbraio non è riuscito a riconteggiare tutti gli assegni mensili e i tanti che hanno ricevuto più del dovuto si vedranno ora applicare i conguagli. Per non rendere traumatica l’operazione, la compensazione avverrà a rate.
Questo, peraltro, in un periodo in cui già fisiologicamente si assottiglia la platea del Reddito di cittadinanza: a febbraio il numero di beneficiari è crollato dai 3 milioni dei mesi precedenti ai 2,4 milioni. Il motivo anche qui è tecnico: febbraio è il mese in cui bisogna aggiornare la dichiarazione sostitutiva dell’Isee e questo a volte porta via tempo e comporta il salto di un mese.
Ma il mese di marzo è iniziato sotto i peggiori auspici anche per milioni di famiglie che hanno ricevuto per la prima volta l’assegno unico universale per i figli, scoprendo che sono state più che mai disattese le aspettative riposte sul nuovo strumento che ha sostituito e unificato tutti gli strumenti precedenti di supporto (assegni, detrazioni e bonus). E questo non solo perché la busta paga è più leggera (l’importo viene accredito sul conto corrente). Ora è certificato che la nuova misura penalizzi le fasce di reddito medio, la stragrande maggioranza delle famiglie, a favore di quelle più alte del lavoro autonomo. L’aveva rilevato dieci giorni fa anche l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb): l’assegno favorisce incapienti e autonomi, con evidenti vantaggi per i redditi medio-alti. Il meccanismo è chiaro: l’assegno cala al salire del reddito, ma a 40mila euro di Isee (quando vale 50 euro mensili a figlio) si ferma e lì resta anche per i milionari.
Un’amara constatazione che ha è toccato fare alla famiglia Verdi (nome di fantasia): padre lavoratore dipendente, moglie casalinga, quattro figli minorenni, di cui uno minore di tre anni, e con Isee pari a 24.900 euro. Se fino a marzo, il signor Verdi ha percepito circa 900 euro al mese tra assegni familiari (432 euro), detrazioni per figli a carico (298 euro) e famiglie numerose (100 euro), l’altro ieri ha invece ricevuto un bonifico di appena 716 euro, più basso del 26%. Una perdita mensile che i consulenti del lavoro registrano anche nel caso di un operaio del settore metalmeccanico, coniugato con moglie a carico e due figli minori di tre anni, il cui Isee è 6.400 euro. In questo caso l’assegno unico è più basso di 50 euro: 350 euro contro i “vecchi” 400 (-12,5%). Dagli stessi conteggi è evidente che il dirigente M. R. invece ci ha guadagnato: coniugato con moglie a carico e due figli minorenni maggiori di tre anni, reddito di 98mila euro, finora il manager non aveva mai ricevuto un sostegno, ma solo detrazioni per figli a carico. Ora, con l’assegno unico gli arrivano sul conto 100 euro al mese. Ben 83 euro in più al mese rispetto al regime precedente (uno spettacoloso +488%).
Una beffa presto spiegata. Anche se si è ampliata la platea, il nuovo assegno ha un grande difetto: mentre fino a oggi gli aiuti venivano erogati in base allo stipendio, ora l’assegno unico tiene conto dell’intera ricchezza del nucleo familiare che non necessariamente fotografa la vera ricchezza. “La casa di proprietà o piccoli risparmi non sono sintomo di lusso e di ricchezza, ma solo di grandi sacrifici personali”, sottolineano i consulenti del lavoro che chiedono dei correttivi per evitare di penalizzare soprattutto le fasce di reddito medio.