Euro 2021, la finale di Berardi/2. Bocchigliero, la partita di calcetto e l’Incavallicata

di Antonio Torrisi

Fionte: Goal

Bocchigliero d’inverno si trasforma in una palla di vetro incantata: stupore, nel giorno che si rinnova come una promessa, tra le case innevate. Da quelle parti si conoscono tutti: tra le vie, labirintiche, intrise del mistero più alto che un piccolo comune possa offrire, il patto d’immutabilità stretto con la storia, passeggiano i ragazzini, con un pallone sottobraccio. Saldo, nei sogni regalati ai vicoli e alle porte semplicemente immaginate: tra questi, a qualcuno sarà capitato di vedere anche Domenico Berardi.

A Bocchigliero il cielo si confonde con le idee di paesaggio offerte dall’orizzonte: da un lato il Mar Ionio, dall’altro la Sila. Intorno, invece, una serie quasi infinita di luoghi che hanno segnato irrimediabilmente la vita dell’attaccante azzurro, rendendolo quel che è adesso. Dietro al concetto stesso di riservatezza lasciato in dono da chi vive da una posizione talmente elevata da poter osservare gli altri con giusta considerazione, si celano le movenze ciniche dell’atleta in sé. Ma Berardi in quelle zone ha lasciato un pezzo il cuore e quasi tutto il resto. Non può essere altrimenti. Casa propria è il centro del mondo , da qualsiasi prospettiva lo si guardi: persino a 940 chilometri di distanza, o qualcosa in più. A Modena. A Sassuolo. A Londra.

L’arco di Wembley disegna la traiettoria perfetta, e a lunga gittata, del percorso di Berardi: quando nel 2009 andò a trovate il fratello, studente fuorisede, a Modena, sapeva già di essere al limite con le possibilità di essere tesserato da un club ad alto livello, nonostante i provini non fossero mancati. Nel 2006, quando giocava nel Castello, in provincia di Cosenza lo conoscevano tutti. Si era già fatta viva la Juventus, poi si è fatto avanti il Napoli, ma non se ne fece nulla. Quindi Cosenza e SPAL: in viaggio verso l’Emilia-Romagna deve aver pensato anche ad alternative al calcio, senza prenderle minimamente in considerazione.

Fermo com’è nella sua riservatezza, non sappiamo se abbia mai letto Nietzsche, anche solo di sfuggita. Ben prima di essere considerato un folle, ingenerosamente, il filosofo tedesco ha consegnato alcune delle massime più importanti del vivere moderno, persino contemporaneo, legate e stretto giro a una certa visione dell’essere, a tratti disillusa per quel che riguarda le credenze e le convenzioni. Berardi sarebbe stato un soggetto perfetto, a metà tra il concetto di eterno ritorno e quello di volontà di potenza: nel calcio, comunque, ha seguito gli ideali nietzschiani, pur senza accorgersene.

“Che cosa dice la tua coscienza? Devi diventare quello che sei”: la Gaia Scienza parla chiaro, senza appelli. Guardando dal finestrino prima di arrivare al campo dove avrebbe giocato con il fratello e alcuni suoi amici, a Modena, avrà discusso con la parte più segreta del suo essere. Una partitella tra amici, in un’altra città, a 15 anni è semplicemente un nuovo pretesto per trasferire i sogni in una dimensione più ampia: chi dice di non aver mai provato a trasformare, mentalmente, un campetto a 5 in Old Trafford mente, spudoratamente. Berardi, in fondo, nonostante i diversi provini non andati a buon fine non ha mai avuto bisogno di snaturarsi: quel che era, il suo essere, andava già bene. Bastava solo qualcuno che se ne accorgesse.

Berardi - Sassuolo

A Bocchigliero c’è uno speciale passo che porta a Campana, un Comune vicino: un sentiero detto “Cammino Basiliano” lungo 17 chilometri, tra spiritualità e consapevolezza interna. Prima di arrivare a destinazione ci si può imbattere nei “giganti di pietra” dell’Incavallicata, imponenti rocce che stanno lì. Quasi in eterno: guardiane del territorio. Un elefante e un guerriero, simbolo di potere, saggezza e istinto. Caratteristiche comuni a quelle di Berardi, in un certo senso.

Cammino Basiliano

Entrato in campo a Modena è di gran lunga il più piccolo tra tutti, ma dai piedi e dal tocco palla non si nota. Quel che non può con l’età anagrafica e il fisico lo fa con il senso d’essere del suo stare in campo: non esiste un modo ben preciso per entrare a far parte della storia. Di solito è questa che sceglie di accoglierti tra le sue braccia: a quella partitella tra amici era presente Pasquale Di Lillo, collaboratore del Sassuolo , che non riesce a non staccargli gli occhi di dosso. È un colpo di fulmine calcistico che deve avere per forza un seguito.

DOMENICO BERARDI ITALY 06072021

“Io sono nato col pallone sotto braccio, lo portavo anche a letto, me lo dicono ancora i miei: dormivo col pallone e mi risvegliavo col pallone sotto al braccio” , dirà Berardi dopo aver festeggiato i 100 goal con il Sassuolo (lo scorso aprile). Un traguardo partito proprio da quella partitella del settembre del 2009. Di Lillo rimane colpito: contatta subito Luca Carlino, vice della squadra Allievi, convincendolo a fargli sostenere un provino. Il ritorno in Calabria viene rimandato a data da destinarsi: “Gianni Soli, responsabile del settore giovanile mi disse: ‘Tu rimani qui, avvertiamo noi i tuoi genitori'” . Il resto è storia nota.

La vita, in fondo, è fatta di portali: quello tra i due “giganti di pietra” dell’Incavallinata, tra la sua Bocchigliero e Campana, come quello disegnato dall’arco di Wembley, che domenica sera lo vedrà protagonista con la maglia dell’Italia contro l’Inghilterra. Penserà allo strano scherzo del destino del calcetto: il rovescio della medaglia offerto dalla chiamata del fratello minore, ancora di salvezza quando una partita tra amici è a forte rischio. In quel caso linea temporale che si rende concretezza o storia che apre le sue porte a un ragazzino senza nulla da perdere, cresciuto tra vicoli stretti e sogni.

Silambiente Bocchigliero Berardi

A Bocchigliero hanno appeso uno striscione, pochi giorni fa, ribattezzando il Comune: “Benvenuti a Bocchigliero, paese di Domenico Berardi” con la sua foto in azzurro stampata in primo piano. E alla fine sì, ha ascoltato la sua coscienza, nella maniera più nietzschiana possibile, diventando quello che è: leader del Sassuolo, con un futuro da scrivere, e pilastro dell’Italia di Roberto Mancini. Ha dribblato le chiacchiere, prendendosi la finale: non si è fermato. Da una partita tra amici a Wembley: nel calcio c’è ancora spazio per le storie a lieto fine.