(DI LUCA DE CAROLIS – Il Fatto Quotidiano) – La notte del Consiglio a 5Stelle non abbatte l’ex capo che ancora conta parecchio, dentro e soprattutto fuori il M5S. Non possono cacciarlo loro, i big contiani, Luigi Di Maio: secondo lo Statuto non ne hanno il potere, anche se l’espulsione qualcuno gliel’ha giurata anche pubblicamente. Però gli rinfacciano che il no a nuove armi all’Ucraina era ed è la linea del Movimento. Tanto le convulsioni dei grillini in crisi sempre lì porteranno: alla separazione tra il ministro che bolla “il comportamento immaturo dei dirigenti del M5S” sulla politica estera, la mina che potrebbe detonare dentro o a margine della risoluzione attesa per domani in Aula, e Giuseppe Conte, il leader che non ne può più dell’avversario più insidioso.
”Mi dispiace molto per a quello che ha detto Luigi sul Movimento non democratico, l’assetto interno consente il massimo coinvolgimento, a più livelli” si rammarica l’ex premier nella riunione serale. “Non fa bene al M5S, anche perché lui ha canali di stampa forti, difficili da smentire” continua Conte. Non si può più ricucire. Ed è già partita la conta, tra chi andrà con Di Maio che sogna un approdo centrista e quelli che invece resteranno con l’ex premier, sperando in una candidatura in Parlamento – pochi – o in qualcosa d’altro (molti). Lui, l’avvocato, tenta di tenere buoni i suoi big. “State tranquilli, alle deroghe sui due mandati ci penso io”, ha assicurato nei colloqui riservati di queste ore. Giura che convincerà lui Beppe Grillo a dare il suo placet per salvare qualche maggiorente dalla mannaia della regola, fondamentale “contro la sclerosi del potere” come ha teorizzato venerdì il Garante. Invece dal giro del ministro è già un fiorire di parole che sanno di addio. “I vertici del M5S hanno una regola: ‘O sei con me o sei contro di me’. Se questa è la democrazia del nuovo corso, no grazie”, scandisce Sergio Battelli, dimaiano d’assalto.
Mancano solo le carte bollate, per la scissione. E la prima leva per realizzarla sta dentro il dossier Ucraina: in nodi come le armi già inviate o da inviare, e la pace da cercare. Oggi dovrebbe materializzarsi una bozza della risoluzione di maggioranza collegata alle comunicazioni di domani in Senato di Mario Draghi, in vista del Consiglio europeo. Dovrebbe, ed è da quel condizionale che Di Maio parte per la nuova stilettata agli ancora colleghi di partito: “I dirigenti della prima forza politica in Parlamento, invece di fare autocritica, attaccano con odio e livore il ministro degli Esteri e portano avanti posizioni che mettono in difficoltà il governo in Ue”. Siamo ai comunicati in terza persona, per sé e per gli avversari. Al ministro che ostenta di sentirsi estraneo al Movimento contiano. Fuori, l’avvocato e i suoi preparano il Consiglio convocato per le 21. Quell’organo dove “Di Maio può essere audito” aveva ricordato quattro giorni fa Conte, beffardo. Il caminetto del M5S, con il leader, i cinque vicepresidenti e i capigruppo in Parlamento. Ma per l’occasione la riunione – in streaming – viene estesa a tutti i coordinatori dei comitati. Lo avevano chiesto loro. E Conte acconsente, perché deve mostrare condivisione almeno ai non dimaiani. Soprattutto, certi big chiedono e ottengono facilmente di togliere dal tavolo l’espulsione di Di Maio, eventualmente di competenza dei Probiviri. “Ma lei ci vede persone come Chiara Appendino o Alfonso Bonafede ad appoggiare una richiesta del genere?” fa notare un big. Non a caso, in serata a Controcorrente il vicepresidente Riccardo Ricciardi precisa: “Il tema non è l’espulsione di Di Maio, ma il chiarimento politico sulle sue gravi dichiarazioni”. Ma nel Consiglio c’è da discutere anche della risoluzione, e di quale linea tenere. La posizione di partenza, cioè pretendere che nel testo sia richiesto l’obbligo di un voto parlamentare per l’invio di nuove armi, è indigeribile per Palazzo Chigi. Quindi anche per gli alleati del Pd: preoccupati. Tanto che un grillino confessa così: “Noi del Movimento dovremmo entrare a giorni nel gruppo dei Socialisti in Europa, ma ci hanno detto di aspettare prima la risoluzione sull’Ucraina”.
Così in serata raccontano di una possibile virata del M5S su una linea più sfumata. Centrata sul puntare su un’escalation diplomatica, come perno della risoluzione. Lasciando perdere le armi. I 5Stelle ne discutono a lungo, nel Consiglio. In cerca di un punto di caduta, per non affondare un governo.