Falcone e gli uomini specchio (di Gioacchino Criaco)

Falcone e gli uomini specchio

di Gioacchino Criaco

C’è una schiera umana che va dai primordi e, attraverso il tempo che rimane, andrà ai titoli di coda, restando sostanzialmente isolata, altro dal contesto. Incomprensibile, intraducibile. Una truppa di solitari a cui si è data, si darà, una casella: per ravvicinarli, tradurli, per rassicurarsi.
La Storia si è sempre spiegata per parti. Sorprende se stessa quando non si capisce quali siano le squadre in lotta, sfumino le fazioni, non sai più chi siano i gruppi in tenzone: per chi combatti o hai sempre creduto di combattere?
Nemmeno si perde, perché la disputa si è rivelata farlocca.

Semplicemente hai perso tu. Semplicemente hai perso perché eri nato per perdere. Per incarnare l’eroe sconfitto perché serviva alla lotta finta che si era creata ad arte.
Il dramma di Giovanni Falcone era di essere contemporaneamente Ulisse e Ettore senza poter essere Achille, di non aver mai abbandonato Itaca per poterne fare ritorno, perennemente assiso sopra le mura di Troia a studiare una difesa impossibile, perennemente a testa in su a scrutare crepe nella difesa di un muro impossibile da scalare, perché lui era Troia e la Grecia, sapeva tutto dell’una e dell’altra.

Era un magistrato, avrebbe potuto essere un monaco, un soldato, un medico, un mendicante, una prostituta, una santa, una madre. Una donna sterile stanca di riprodurre disumanità. È stato di tutto nel tempo trascorso, sarà di tutto.
La toga gli è caduta addosso, come qualunque degli abiti che avrebbe potuto indossare, e di qualunque straccio avesse avuto avvolto il petto i suoi muscoli ne avrebbero fatto strame.

Sono gli esseri divergenti che cadono sul mondo per caso solo per dimostrare che un altro mondo sarebbe possibile o, solo, per dimostrare che un altro mondo è impossibile.
Sono gli uomini specchio in cui si infrangono le piccolezze degli altri, dei più. Gente nata per essere amata sempre a posteriori, dopo, di solito, un accadimento da classificare come eroismo. In vita viaggiano a una velocità talmente alta da risultare imprendibili, incomprensibili. Abitano corpi talmente vasti che dopo saranno pasto per infinite e variegate bocche. Eccedono nelle capacità ma pure nei vizi per consentire ai moralismi di brandire sentenze, fumano troppe sigarette per stare completamente fra i giusti, e durano troppo poco per piantare binari da seguire. E, alla fine, nemici e amici tirano un sospiro di sollievo.

“Si è perso”, direbbe chi oggi, guardandosi intorno, credesse che davvero ci sia stata una lotta fra il bene il male, fra il popolo dei giusti e un esercito del male.
Chi sta fra quelli che tutto ormai possono vedere, sa che il nemico vero è sempre stato accanto, dentro. La vittoria era stata predeterminata a tavolino, i giusti erano già nell’inciampo rallentati nella caduta da un lentissimo replay.

il ritratto e di Ming, creatura mitologica
Fabio Mingarelli