Fonte: Il Fatto Quotidiano
La ripartenza del 18 maggio, l’ultimo passo verso l’uscita dal lockdown: il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva convinto i suoi ministri. Ma poche ore dopo la conferenza stampa in cui ha annunciato le riaperture, “con fiducia e prudenza”, affrontando quello che per amor di verità è un “rischio calcolato”, il capo del governo si è ritrovato davanti le Regioni, la maggior parte delle quali ha rappresentato a lungo – soprattutto nell’ultimo mese – la “lobby” della ripartenza: dal Veneto alla Calabria.
Così quello che era l’ultima formalità procedurale dopo la giornata faticosa di venerdì – il Dpcm che allenta le misure – è diventato un nuovo corpo a corpo tra il governo e le Regioni, tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia da una parte e i governatori dall’altra: un confronto che si è consumato nella notte tra sabato e domenica, convocazione (in teleconferenza come sempre) all’una e trattative per oltre due ore, tra proposte, rifiuti, rilanci.
L’accordo è arrivato alla fine alle 3,30. Qual è stato l’oggetto del contendere? Se in un primo momento i 6 presidenti leghisti sono stati vaghi e si sono limitati alla polemica politica, quasi di rivendicazione (“Il governo la smetta di continuare a mettere in discussione le competenze delle Regioni”), ora dopo ora sono uscite le questioni sul tavolo. La prima di metodo: nel Dpcm di Conte non erano assorbite le linee guida determinate con grande fatica nelle riunioni con l’esecutivo durante la giornata di venerdì, su cui si trovano d’accordo sia le Regioni sia le associazioni di categoria. Le linee guida, in particolare, sarebbero citate nelle premesse del decreto e non sarebbero inserite negli allegati, il che – secondo le Regioni – le priverebbe della forza di legge. La seconda questione, legatissima alla prima, di merito: la battaglia, infatti, era su chi doveva avere la responsabilità dei protocolli di sicurezza siglati dall’Inail.
La riunione era iniziata malissimo anche per il tam tam prodotto dai governatori di centrodestra. Oltre alla nota congiunta dei 6 leghisti, avevano scritto su facebook il presidente della Sicilia Nello Musumeci e quello della Liguria Giovanni Toti, che è anche vicepresidente della Conferenza delle Regioni: “Non c’è il richiamo alle linee guida delle Regioni (quelle che le categorie economiche vogliono), chiama in causa non meglio precisate linee guida nazionali, inibisce alcune facoltà di deroga regionali. Così rischiamo il caos” spiegava. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto la soluzione, come raccontano diverse fonti all’AdnKronos, viene individuata inserendo un richiamo nella premessa del Dpcm al protocollo unitario delle regioni, che verrà poi allegato al testo del Dpcm nella sua interezza. “La verità – sostengono fonti di governo alla stessa agenzia di stampa – è che alcuni governatori hanno paura delle responsabilità e volevano più garanzie, però Stefano Bonaccini è stato bravo e la maggior parte dei presidenti ci ha aiutato a chiudere”.
Il riferimento al presidente dell’Emilia Romagna non è banale: è presidente della Conferenza delle Regioni e prima del vertice notturno convocato mentre i governatori della Lega evocavano la rottura di ogni dialogo aveva rotto il silenzio solo per dire (in diretta a Petrolio, su Rai2) di aspettarsi “in questi momenti che le criticità potessero essere superate con l’unità di intenti e non ci fossero invece divisioni politiche o territoriali”.