Inviato su “Otaria”, in navigazione verso Gaza. Almeno è meglio di Portopalo”, scherzava ieri mattina un italiano della Flotilla per Gaza. “Sì, ma a terra non ci vai da qui”, gli hanno risposto. Insomma un’altra giornata di attesa, stavolta a Creta, come era stato per giorni e giorni nella rada di Portopalo di Capo Passero all’estremità sud-est della Sicilia, dove le barche partite da Augusta si erano fermate ad aspettare quelle bloccate a Tunisi, tra bombe incendiarie lanciate dai droni e problemi con il governo di Kais Saied. Non è detto che si riparta oggi.
Le barche, oltre 40 compresa Otaria che ospita il Fatto sono ancorate al riparo dello scoglio disabitato di Koufonissi, a sud della punta orientale dell’isola di Creta, da non confondersi con l’omonima delle Piccole Cicladi. Qui non ci sono neanche le capre. Bellissimo. Qualcuno ha fatto il bagno, anche per lavarsi. A bordo l’acqua dolce è poca, siamo imbarcati da dodici giorni e a Gaza mancano quasi 500 miglia, quattro giorni di navigazione. Anche il cibo fresco è finito, se non fosse per l’omaggio dei greci che si sono uniti qui alla Flotilla. Altro che vacanza. Vita spartana con la prospettiva di ripartire e farsi attaccare, abbordare e arrestare dalle forze israeliane.
È venuta la guardia costiera greca a controllare i documenti, molto gentili, ci hanno anche ripresi e fotografati uno per uno da un grosso gommone nero, al largo una grossa nave militare, in cielo hanno tuonato diversi caccia. Ci sono problemi vari sulle barche, almeno due si fermano e tra queste la principale, la Familia Madeira, colpita dal primo attentato in Tunisia: ha un problema al motore, il brasiliano Thiago Avila e gli altri leader del Comitato direttivo dovranno traslocare su altre imbarcazioni.
Intanto qualche decina di persone su oltre 400 sbarca, alcuni per la paura di attacchi più violenti dopo quelli con i droni e le bombe assordanti della notte di martedì 23, rafforzata almeno tra gli italiani (alla partenza più di 50) dalla campagna di dissuasione della Farnesina che nessun altro governo ha fatto. Altri perché devono tornare al lavoro. Come la portavoce italiana Maria Elena Delia, tornata a casa ufficialmente per “condurre un dialogo diretto con le istituzioni per garantire l’incolumità dei membri italiani dell’equipaggio”. C’è però un’altra barca in arrivo, si chiama Summertime, una piccola motonave di 20 metri partita ieri da Marzamemi (Siracusa) con a bordo l’inventore della Gaza Cola, Osama Qashoo, palestinese di Nablus rifugiato nel Regno Unito, e una decina di persone da Malesia, Indonesia, Tunisia e Italia.
Di Cipro, dell’ipotesi di portare lì gli aiuti umanitari stivati nelle barche con la garanzia del Patriarcato Latino di Gerusalemme, non si parla più. L’assemblea online di giovedì ha detto “si va a Gaza” perché l’obiettivo “rompere l’assedio”, non solo consegnare medicine e pacchi alimentari ma togliere a Israele il potere di decidere cosa entra e cosa no a Gaza e di usarlo come arma di guerra tenendo fermi centinaia di camion. Solo gli italiani, ieri, si sono interessati all’appello del presidente Sergio Mattarella “alle donne e agli uomini della Flotilla”, di cui pure ha riconosciuto il “valore dell’iniziativa”, affinché “raccolgano la disponibilità offerta dal Patriarcato Latino di Gerusalemme”.
L’ha respinto la portavoce Delia: “Non possiamo accettare questa proposta perché arriva per evitare che le nostre barche navighino in acque internazionali con il rischio di essere attaccati. La questione degli aiuti è importantissima. Siamo pronti a valutare delle mediazioni, ma non cambiando rotta, perché significa ammettere che si lascia operare un governo in modo illegale”. Naturalmente apprezzano Mattarella i parlamentari Pd Arturo Scotto e Annalisa Corrado, che sono sulla barca Karim dell’Arci nel porto cretese di Irapetra, i primi a promuovere la soluzione Cipro – su cui poi il governo Meloni ha messo il cappello – insieme al leader dei musulmani italiani dellUcoii, Yassine Lafram. Ripartiranno verso Gaza, a quanto pare, anche loro.









