C’è anche un nipote del boss di Cutro Antonio Dragone nell’inchiesta della Dda di Brescia denominata ‘Sisma’, portata a termine questa mattina dai carabinieri di Mantova, che coinvolge complessivamente dieci persone (una delle quali non è stata ancora rintracciata) accusate di concussione, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, intestazione fittizia di società, aggravate dalla finalità di agevolare la cosca mafiosa di Cutro e incentrata sui lavori di ricostruzione dopo il terremoto che nel 2012 ha colpito diverse zone dell’Emilia Romagna.
Il nipote di Dragone, Giuseppe Todaro, arrestato insieme ad altri familiari del boss, è un pubblico ufficiale con la carica di tecnico istruttore presso i Comuni compresi nel cosiddetto ‘cratere sismico’ della provincia di Mantova (Poggio Rusco, Borgo Mantovano, Magnacavallo, Sermide e Felonica), con compiti istruttori, di verifica, di rendicontazione e di autorizzazione ai pagamenti dei contributi a fondo perduto stanziati dalla Regione Lombardia per gli immobili danneggiati dal terremoto del 2012.
Il provvedimento disposto dal Gip di Brescia riguarda architetti, ingegneri, imprenditori e soggetti del sistema bancario (quattro posti in carcere e cinque ai domiciliari), che, secondo l’accusa, insieme ai beneficiari dei finanziamenti, si sarebbero interfacciati con il tecnico istruttore secondo un collaudato schema criminoso, consistente nella corresponsione di indebite somme (in genere pari a circa il 3% del contributo elargito), per garantirsi la trattazione della propria pratica in violazione dell’ordine cronologico e con aumenti (talora indebiti) dell’importo del contributo pubblico a fondo perduto, in un caso attestatosi a 950mila euro anziché 595mila come originariamente stabilito.
Le ipotesi di concussione “prevedevano che il contributo pubblico venisse elargito ai richiedenti solo a condizione che costoro affidassero i lavori di ricostruzione a delle società facenti capo al citato tecnico istruttore e al padre di questi.
Le indagini avrebbero messo in evidenza che tali società, che di fatto sarebbero state gestite dal padre del pubblico ufficiale, erano intestate a prestanomi per evitare il diniego di iscrizione nella cosiddetta ‘white list’. Parlando con alcuni imprenditori il nipote di Dragone diceva “io come ditta non posso lavorare nel sisma perché mio nonno era mafioso. Io da sei anni son il Rup di Poggio Rusco, Villa Poma, Magnacavallo e Sermide. Io sono chi realizza la pratica, chi realizza le ditte e chi fa l’ordinanza di concessione. Se ne prendi sessanta, settanta, grazie a un mio agire sei contento o no?”.
A carico degli indagati è stato disposto anche il sequestro delle società fittiziamente intestate, delle provviste bancarie e di beni mobili e immobili per un valore di circa due milioni di euro, costituenti il ritenuto prezzo e il profitto dei reati contestati.
I NOMI
In carcere: Giuseppe Todaro (Crotone, 37 anni); Raffaele Todaro (Cutro, 61 anni); Rossano Genta (Ostiglia, 67 anni); Felice D’Errico (Villa di Briano, 58 anni); Giuseppe Di Fraia (Casaluce, 56 anni);
Ai domiciliari: Pierangelo Zermani (Medesano, 65 anni); Monica Bianchini (Ostiglia, 58 anni); Antonio Guerriero (Napoli, 49 anni); Enrico Ferretti (Reggio Emilia, 48 anni); Carlo Formigoni (Revere, 73 anni);
Indagato: Francesco Garofalo (Boscotrecase, 55 anni).