Franco Muto: “I traffici di droga li faceva la procura di Paola”

Negli anni passati, presentando la nostra inchiesta sull’omicidio di Giannino Losardo e sull’ispezione ministeriale alla procura della Repubblica di Paola, abbiamo scritto che mai nessun organo di informazione aveva avuto il coraggio di pubblicare il rapporto del magistrato Granero. C’è però un giornalista, Luigi Michele Perri, da una vita collaboratore della sede Rai di Cosenza, che ne ha scritto diffusamente in un suo fortunato saggio intitolato “Come nasce una Mafia”, con la prefazione del magistrato antimafia Luigi Caponnetto.

Nel capitolo “Macchie sulla toga: magistrati sott’inchiesta”, Luigi Michele Perri ricorda subito il coinvolgimento, quali imputati, del procuratore capo di Paola Luigi Balsano e del sostituto Luigi Belvedere (a tutti gli effetti il vero dominus della procura) nel processo di Bari al clan Muto per l’omicidio Losardo.

Il procuratore Leonardo Rinella, che sostenne il ruolo della pubblica accusa, si mostrava convinto “come pure negli ambienti giudiziari la mafia può trovare l’humus utile e come, a volte, la procura di Paola, a mezzo dei suoi magistrati Balsano e Belvedere, ha tenuto comportamenti che sono stati senza dubbio poco adatti a mostrare fermezza, decisione e coraggio e idonei ad interpretazioni certamente non favorevoli in ordine alla correttezza dell’esercizio della funzione giudiziaria”.

Giannino Losardo
Giannino Losardo

IL SEQUESTRO DE “LA PERLA”, LA DOTTORESSA GIANNELLI E GIANNINO LOSARDO

Nella sua requisitoria scritta, Rinella riporta circostanze decisamente imbarazzanti per la procura paolana di allora.

“… Nè può deporre a favore del dottor Balsano e del dottor Belvedere quanto ha dichiarato la dottoressa Giannelli nella sua deposizione. Ella aveva osato, nella sua qualità di pretore di Cetraro, sequestrare un albergo facente capo a persona cara ad altro magistrato (si tratta dell’hotel-night-ristorante “La Perla” di Cetraro, di proprietà del fratello del magistrato Oreste Nicastro, all’epoca sostituto procuratore della Repubblica di Cosenza, ndr). Ebbene, dopo il sequestro, è proprio la dottoressa Giannelli a parlare. “… Fui convocata dal procuratore della Repubblica dottor Balsano, che mi chiese se si poteva, in questa fase, arrivare a un dissequestro. Quando io dissi che il caso era troppo eclatante e andava contro la mia politica giudiziaria, mi disse che sarei stata costretta ad andarmene se non avessi ascoltato i consigli più saggi del procuratore”.

Ma perchè i consigli più saggi sono quelli che inducono alla remissività, al lasciar andare, al non insistere e ad adeguarsi?

“… Nè, parimenti, è edificante l’intervento che il dottor Balsano fece quando il povero Losardo, incontrata la dottoressa Giannelli e congratulandosi con lei per l’attività in materia di abusivismi edilizi, le disse: “Ora ci manca solo il sequestro della pescheria”: Balsano non si associò nè al “bravo” nè all’invito a continuare sulla strada intrapresa ma, al contrario, esclamò: “Che cosa vuoi mettere in testa a questa che ce l’ha già così dura?”.

Lasciar fare, lasciar passare, tollerare: è questo il motto del dottore Balsano, come si evince da alcune deposizioni. Ha ragione, quindi, la Corte. Non è per favorire Muto che il procuratore consente che l’imputato renda l’interrogatorio circondato da cinque avvocati difensori. E’ una prassi instaurata anche nei confronti di altri imputati. Ma, guarda caso, anche gli altri imputati fanno parte della cosca Muto. E’ la prassi. E questa dà forza e coraggio all’imputato che manifesta la sua potenza economica.

IL RAPPORTO SCIPPA

Di tutto questo, scrivono diffusamente i carabinieri nel loro voluminoso rapporto, noto come “rapporto Scippa”, dal nome del maggiore Bruno Scippa, comandante del nucleo di polizia giudiziaria dell’Arma di Bari, che lo ha sottoscritto, a conclusione di sei mesi di fitte indagini svolte direttamente sul campo, lungo il Tirreno cosentino, per l’intera prima metà del 1984, su incarico della magistratura barese, investita del processo per il riconosciuto sospetto che l’ambiente locale potesse influenzare l’operato dei giudici.

“Si tratta – scrive Luigi Michele Perri – di un dossier sconvolgente che, se pure annullato dalle sentenze giudiziarie, lascia sul piano delle opinioni dubbi e perplessità, sconcertanti punti interrogativi… Verità fattuali difficilmente cancellabili anche per la consapevolezza teorica secondo cui non sempre la verità oggettiva trova occasioni di esaltazione, nemmeno nelle aule di giustizia”.

“Il rapporto Scippa diventa acquisizione assai significativa, dato emblematico di un contesto di gravi e colpevoli contraddizioni per tradursi in un vero e proprio campanello d’allarme per i problemi che individua all’interno degli apparati di giustizia. In occasione dell’interrogatorio di Francesco Muto da parte del procuratore della Repubblica di Paola, dottor Balsano, il Muto profferì minacce. In particolare, esordì dicendo che le imputazioni erano state elevate nei suoi confronti dal procuratore soltanto per dare soddisfazione al senatore Martorelli e all’avvocato Alecci nonchè al loro partito, il Pci, per ottenere l’appoggio in relazione alla nomina dello stesso magistrato a procuratore della Repubblica di Cosenza”.

“Alla domanda di come fosse proprietario di un fabbricato in Cetraro e di altro, il Muto rispose: “Così come voi vi siete fatti la Lamborghini e le ville”, riferendosi alla procura di Paola.

Richiesto ancora se fosse a conoscenza del traffico di droga che sembrava si svolgesse nel porto di Cetraro, il Muto rispose: “Lo sanno tutti che questi traffici li fa la procura della Repubblica di Paola”. E qui i confini tra mafia e stato diventano veramente molto labili…

Martorelli e Alecci restarono annichiliti soprattutto perchè il procuratore non obiettò assolutamente nulla, anzi con fare conciliante esortò il Muto a stare calmo e a rispondere soltanto a lui.

“Fu sollevata, poi, una questione di natura procedurale su cui intervennero tutti gli avvocati, non gradita al Muto, il quale, urlando come un pazzo, si alzò e uscì dalla stanza mentre i suoi difensori tentavano invano di calmarlo… Tutto ciò avvenne in un clima di urla e di gravi intimidazioni da parte del Muto, forte della presenza dei suoi cinque avvocati ma soprattutto forte dell’assoluta incapacità del procuratore di reagire in qualunque modo… Martorelli e Alecci abbandonarono l’ufficio e spedirono subito un telegramma al procuratore generale di Catanzaro e al Csm per denunciare il grave atteggiamento del magistrato”.