Fratelli di ‘ndrangheta, una lunga scia di “campioni”: Nicolò, Pittelli, Creazzo, Neri e Ripepi…

Incredibile, ma vero. Fratelli d’Italia, che in Calabria ormai tutti conoscono come Fratelli di ‘ndrangheta – visti i continui arresti di suoi esponenti da parte delle Dda di Reggio e Catanzaro – continua ancora ad esternare di legalità e politica e manda avanti Wanda Ferro a parlare di un tragicomico e grottesco codice etico con tanto di “controlli” della Commissione Antimafia dove ancora siede il mafiosissimo Mangialavori e la stessa Ferro, notoriamente eletti alle Politiche del 2018 grazie ai voti del clan Anello… E così, dopo la patetica convention di maggio a Catanzaro ovvero la città di Giancarlo Pittelli, pezzo da 90 della massomafia, che solo qualche anno fa veniva definito “valore aggiunto” dalla leader di Fratelli di… ‘ndrangheta, oggi a Cosenza arriva direttamente Giorgia Meloni, che vorrebbe tanto essere incoronata “premier” ma che ormai ha capito bene che Mattarella non la indicherà mai per l’incarico di formare il governo. Nonostante chiacchiere, saluti romani e pietosi comizi fascisti. 
La domanda che ci verrebbe spontaneo fare è la seguente: ma in Fratelli d’Italia per essere iscritto e poi candidato e forse eletto devi avere qualità morali ed umane irreprensibili come mamma Meloni fa finta di richiedere o far parte di quel mondo che tutti osteggiano (a parole) e dal quale invece sono tutti li in fila a chiedere i voti?
La Signora Wanda Ferro come coordinatrice regionale e massimo esponente politico di fratelli di ‘ndrangheta risponderebbe: ”la ‘ndrangheta in Fratelli d’Italia non entra!”.
Ma purtroppo per la signora deputata i fatti la smentiscono quotidianamente.
Partiamo dal consigliere regionale in carica Giuseppe Neri .Abbiamo scritto tanto, ma proprio tanto su di lui con perizia di numeri o per meglio dire di voti del ras di Catona Gallico o forse meglio identificarlo come locale Araniti. Eppure circola ancora a piede libero, si dice “protetto” da un magistrato di spicco della Dda di Reggio.
Cirielli e i suoi “picciotti”Creazzo (arrestato) e Neri (chiacchieratissimo)
Uomo bipartisan (ma su tutti i fronti) ha adottato una tattica molto nota ai politici che si sentono colpevoli di qualcosa, ha fatto il “Palombaro”. Fare il “Palombaro” vuol dire andare sottacqua, respirare a stento e non muoversi. Ebbene, il “Palombaro” Neri è stato completamente assente dalla vita politica reggina. Infatti non è riuscito neanche a far eleggere il  Dattola alias “Luigione“, che nonostante il boom dei consensi nel regno dei Labate non è andato oltre il 4° posto poiché il suo sponsor Neri si è defilato (anche perché ha dovuto votare per ordine supremo il cugino Marra candidato a sinistra), consapevole che il tintinnio delle manette di Bombardieri è sempre più forte, nonostante la “copertura” di cui sopra, che a quanto sembra diventa sempre più fragile causa “sputtanamento”.
Il “Palombaro” Neri ha preso una marea di schiaffi per le sue frequentazioni particolari, prima non lo hanno eletto Presidente del Consiglio preferendogli il “galantuomo” Tallini e poi si è visto chiudere le porte in faccia anche dal Ciccio Laqualunque, detto anche “bummino”, Cannizzaro, che si è spaventato di farlo entrare in Forza Italia nonostante un estenuante pressing. Povero Neri, mi sa che il panettone non lo mangi…
Neri, per chi non lo sapesse, è stato candidato e persino eletto due volte al Consiglio regionale con  Fratelli d’Italia, pardon di ‘ndrangheta. 
Altro eletto (consigliere comunale di Reggio Calabria) Massimo alias Papà Ripepi. Vulcanico consigliere, oppositore atavico di Falcomatà ed ora presidente della commissione controllo e vigilanza dello sgangherato Comune di Reggio, manculicani.
Papà Ripepi più volte è salito alla cronaca nazionale per le sue omelie da pastore cristiano dove insultava una sua fedele con epiteti non molto simpatici (definì la poveretta figlia di Satana) che gli era già costata una condanna per diffamazione.
Ma per essere un uomo di Fratelli di ‘ndrangheta non basterebbe una condanna cosi banale. Infatti il Papà Ripepi, come tutti sanno dopo il gran casino scoppiato proprio poco più fi un anno fa, è sotto inchiesta per favoreggiamento alla pedofilia. Infatti il consigliere è coinvolto in una brutta storia che ha interessato la sua comunità sempre più simile ad una setta (“Pace”) dove un suo seguace sembrerebbe aver abusato di una sua nipotina di 9 anni. Il Papà Ripepi invece di denunciare l’accaduto ha cercato di nascondere tutto provando inutilmente a convincere la mamma a non denunciare. Purtroppo per lui le microspie hanno fatto il loro dovere e la giustizia a breve farà il suo naturale corso. CHE SCHIFO.
Ripepi avrebbe voluto essere candidato al Consiglio Regionale con  Fratelli d’Italia, pardon Fratelli di ‘ndrangheta. Ma, dopo la sacrosanta sospensione dal partito (pardon dalla ‘ndrina) seguita alla sua “disavventura” non è stato possibile… 
Ma l’elenco dei fratelli di ‘ndrangheta è così affollato che facciamo addirittura fatica a stare dietro a tutti.

Passiamo senz’altro agli arrestati.

ALESSANDRO NICOLO’: LE ACCUSE DEL PENTITO DE ROSA

Alessandro Nicolò

il capogruppo alla Regione di Forza Italia (poi sbaraccato in Fratelli d’Italia e prontamente cacciato dopo l’arresto) Alessandro Nicolò è stato depennato proprio in extremis dalla lista di Fratelli d’Italia alle Regionali 2020, grazie a gente col sale in zucca come Romani e Ghedini perché ormai tutti sapevano che è stato nel cerchio magico di Paolo Romeo, Peppe Scopelliti e tutto il cucuzzaro. E tutti sapevano che prima o poi sarebbe finito in galera. Come in effetti è stato.

La sua esclusione aveva fatto rumore e addirittura settantasei (!!!) dirigenti e amministratori di Forza Italia della Provincia di Reggio Calabria avevano considerato non competitive le scelte delle candidature nei collegi della provincia partendo proprio dall’esclusione di Nicolò. Che, come, da scontato copione, aveva trovato rifugio temporaneo nel gran carrozzone dei fascisti di Fratelli d’Italia, facendo la stessa fine di… Pittelli (chi vuole può toccarsi le parti basse, ci mancherebbe).

Noi, dal canto nostro, per dimostrarvi e per suffragare tesi che sosteniamo ormai da anni, sottoponiamo ancora alla vostra attenzione questo documento inoppugnabile che lo inchioda. Checché ne dicano i suoi lecchini…

Il consigliere regionale Alessandro Nicolò era un uomo nella disponibilità di Mico Tattoo Sonsogno e per questo Enrico De Rosa (mafioso oggi pentito) per anni è riuscito a lavorare con la Regione Calabria. Lo mette a verbale in maniera chiara proprio il pentito, che interrogato dal pm Stefano Musolino afferma: «Ricordo che Sonsogno aveva progettato di ricattare Sandro Nicolò (consigliere della Regione Calabria) perché faceva uso di cocaina e allo stesso modo altri. Allo scopo si era procurato delle microcamere che si faceva dare da mio cugino, Enrico La Rosa, di Taurianova, che a sua volta le recuperava dal compagno di sua sorella, che è un poliziotto di nome Salvatore che lavora al porto di Gioia Tauro».

Se il progetto sia mai stato realizzato o no, allo stato non è dato sapere. Ma su un punto De Rosa è sicuro: «In merito ai miei rapporti con la Regione, ricordo che Sandro Nicolò, unitamente ai Berna, mi concedeva la possibilità di effettuare con Frascati tutte le pubblicità all’interno del palazzo della Regione». Rapporti formalmente inesistenti grazie a un trucchetto. «Io fatturavo a una società che a sua volta fatturava alla Regione. In una circostanza, mi hanno fatturato pagandomi meno».

Ma ad aprire a De Rosa le porte della Regione, non sono stati semplicemente i traffici di Sonsogno. «Spesso Francesco Berna (titolare dell’omonima ditta di costruzione e presidente di Ance Calabria, arrestato anche lui stamattina, ndr) sponsorizzava unitamente a Demetrio Berna (ex assessore comunale al Bilancio di Reggio Calabria, ndr) la mia figura con Sandro Nicolò». Certo, ricorda il collaboratore, nonostante appoggi e sponsorizzazioni lavorare in Regione non era per nulla facile.

«Progetto cinque – come mi disse Sonsogno – aveva rapporti direttamente con Scopelliti, l’ex governatore, con il quale prendevano direttamente accordi». E, a detta di De Rosa, c’era un patto di ferro fra l’ex governatore e la Progetto cinque, che nessuno poteva mettere in discussione. «Allorquando io mi interessai a effettuare ulteriore pubblicità, mi consigliarono di lasciar perdere perché i Frascati erano appoggiati da Scopelliti. Tale legame, garantito dai Libri, non si poteva bypassare». Un rapporto che già aveva fatto discutere quando l’ex governatore amministrava Reggio da sindaco.

LE ACCUSE DEL PENTITO SEBASTIANO VECCHIO

Ma Alessandro Nicolò “fu appoggiato anche dai Serraino“ per come ha detto il collaboratore di giustizia Sebastiano Vecchio, l’ex assessore comunale di Reggio Calabria arrestato  nell’operazione “Pedigree 2“.
Il verbale dell’interrogatorio, reso davanti al procuratore della Dda di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri e ai pm Walter Ignazitto e Sara Amerio, è stato depositato nel fascicolo del processo “Libro Nero” che vede imputato Nicolò.

“Nel 2007 – ha detto Vecchio – ero stato eletto al consiglio comunale, con l’appoggio della cosca Serraino. Fabio Giardiniere, genero di Mico Serraino, nel frattempo si era allontanato da me, a seguito delle incomprensioni e delle lamentele per il mio comportamento post-elettorale, ed appoggiò Nicolò. Giardiniere volle fare mettere un manifesto di Nicolò affisso alla porta del suo supermercato a San Sperato. Fu una cosa plateale, una manifestazione esplicita dell’appoggio della cosca al politico. So che intervennero addirittura i carabinieri, facendolo rimuovere”.

Il collaboratore, che oltre a essere un ex assessore comunale è anche un poliziotto, ha ricostruito anche i suoi rapporti con l’esponente politico: “Ho conosciuto Nicolò grazie ad Antonino Caridi (oggi consigliere comunale), figlio di Bruno (già presidente della VII circoscrizione)”.
Ai magistrati il pentito ha riferito anche l’episodio in cui rappresentò al consigliere regionale l’inopportunità di aver chiamato nella sua segreteria Pasquale Repaci, suocero del boss Filippo Chirico: “Mi disse di stare tranquillo – ha detto Vecchio – e fece ‘scivolare’ il discorso. Anche Nino Caridi aveva affrontato la questione con Nicolò. Anche a lui sembrava strano che avesse chiamato giusto il Repaci nella sua segreteria, perché Caridi mi faceva notare che a Reggio era diffusa la voce che, nella scomparsa del padre di Nicolò vi fosse la mano di Filippo Chirico”.

Il riferimento era a Pietro Nicolò, padre dell’ex consigliere regionale, scomparso nel 2004 per “lupara bianca”. A detta del collaboratore di giustizia “Sandro Nicolò ricordava spesso la figura del padre, commuovendosi e non parlava volentieri della sua vicenda. Io non so perché Nicolò avesse inserito Repaci nella sua segreteria. Certo della cosa si parlava nel nostro ambiente; tanto che qualcuno pensava che la chiamata di Repaci nella segreteria fosse stata chiesta, o in qualche modo imposta, dalla cosca Libri e fosse funzionale ad allontanare i sospetti su Filippo Chirico”. (fonte Ansa)

Del resto, lo stesso Nicolò, originario di Mosorrofa (feudo della cosca), pare che abbia goduto delle sue fortune elettorali fino alle Regionali del 2014 proprio grazie alla “famiglia” Libri che rappresenta nelle istituzioni da anni ormai! Ma anche su questo ha indagato l’ottimo De Raho da molto tempo e con il blitz “Libro nero” Nicolò è stato arrestato.

GLI AFFARI E IL LAVORO NERO

Tra i tanti affari di Nicolò, vediamo – per esempio – come incentivava il lavoro nero dentro il Palazzo il caro Sandrino (come lo chiamano gli amici). E’ semplice: con sua cognata Patrizia Occhipinti, la moglie del fratello. Dev’essere una prerogativa di questi papponi di Forza Italia ora organici a Fratelli d’Italia. Proprio poco tempo fa facevamo emergere la bramosia di potere del “camerata” Orsomarso (fino a ieri in Forza Italia e oggi passato anche lui a quella melma che si chiama Fratelli d’Italia), che ha imbucato la cognata Giada Passarelli (anche in questo caso la moglie del fratello) e altri suoi clienti nella pappatoia di Calabria Etica. Che, com’è noto, è una dependance del clan Mancuso (http://www.iacchite.blog/calabria-etica-i-soldi-dei-poveri-anche-ai-clienti-di-fausto-orsomarso/).

Ma Nicolò è molto più furbo di Orsomarso e ben sapendo che per Parentopoli non la poteva registrare nel gruppo, la pagava in nero e la cognatina tutte le mattine andava al Consiglio a “lavorare” usando i telefoni del gruppo o del cognato nella sua stanza e chiamando nei vari uffici della Regione per conto del cognato onorevole capogruppo! Era chiaro già da allora che se ne volesse andare anche lui con Orsomarso a reggere il moccolo a Salvini e a quella sgallettata della Meloni…

Patrizia Occhipinti è stata pagata in nero per molto tempo ma evidentemente deve aver dato un po’ troppo nell’occhio e così, da maggio 2016, il suo amato cognato l’ha assunta con la qualifica di Responsabile amministrativo con decreto dirigenziale perciò siamo stati noi contribuenti a pagarla perché è stata assunta con contratto del consiglio regionale.

Il suo background è di commessa in un negozio di abbigliamento. Con tutto il massimo rispetto per chi svolge questo lavoro, non è davvero possibile accettare questo tipo di realtà clientelare.

E non è finita qui. Nicolò ha assunto col gruppo suo cugino Pasquale Nicolò mentre sua cugina Fortunata Raffa è stata assunta con contratto di collaboratore esperto sempre con decreto dirigenziale del consiglio, per cui paghiamo pure questa…

In comando presso la struttura di Nicolò c’era anche Riccardo Occhipinti, fratello di Patrizia, e il cugino Gabriele Trimboli, con contratto di collaboratore esperto fino al 2019.

Fino alla precedente legislatura in struttura c’era pure Anna Martino, suocera del famoso avvocato De Stefano, mentre nell’ultimo periodo ha collaborato con Nicolò da esterna.
Nicolò è riuscito a fare trasferire presso il Corecom in Consiglio anche la moglie dell’avvocato De Stefano, figlia di Anna Martino, dietro pressione di questa.

Un quadretto straordinario: Nicolò, se possibile, ha stracciato il suo collega Fausto Orsomarso, che pure in tema di assunzioni di clientes et parentes è uno quotato. Ma alla fine – come diciamo a Cosenza – c’ha trovato il padrone: Orsomarso (ancora) no…

De Rosa, che prima di diventare collaboratore si muoveva tra gli ambienti delle cosche De Stefano e Libri individua Nicolò come “un punto di riferimento” ed “espressione della famiglia Libri” già dal 2008, dunque. Tramite Berna e Nicolò, De Rosa, con la sua azienda di marketing e pubblicità, come abbiamo visto, ha ottenuto anche dei soldi pubblici, curando inoltre la parte promozionale dell’allora Popolo della Libertà.

La vicinanza dei Nicolò ai Libri sarebbe dimostrata anche dal fatto che nel dicembre 2014 – e cioè immediatamente dopo l’esito delle consultazioni elettorali regionali –, Pasquale Repaci – padre della compagna di Filippo Chirico, reggente della cosca – veniva assegnato, in qualità di “componente interno”, alla “struttura speciale” di Nicolò e ciò sulla base di una specifica richiesta dello stesso consigliere regionale.

Ulteriori elementi a carico di Nicolò arriverebbero dalle intercettazioni captate all’interno dello studio odontoiatrico dell’ex assessore comunale Giuseppe Demetrio Tortorella, personaggio chiave dell’inchiesta. Da quelle conversazioni si evincerebbe uno stretto rapporto, improntato a reciproche utilità, se il dentista, infatti, si prodiga per procacciare i voti in favore del politico, Nicolò garantisce la sua messa a disposizione per i desiderata del sodale: …ma ricordati che… ricordati che abbiamo a Nicolò… Una cosa nostra nostra […] è una cosa nostra cioè non è… è come a noi va….” dice in una conversazione intercettata.

Nicolò e Tortorella vengono anche intercettati insieme, mentre parlano di stabilire alleanze e sinergie con altri esponenti politici, spostando all’occorrenza pacchetti di voti secondo le strategie di volta in volta pianificate. La sinergia tra Tortorella – uomo dei Libri – e Nicolò sarebbe stata di tale pregnanza da indurre il primo ad esultare di fronte al favorevole risultato elettorale: “Abbiamo vinto … con Sandro abbiamo vinto” dice. Parlando con un altro uomo dei Libri, Stefano Sartiano, Tortorella si chiede se Nicolò terrà fede agli accordi intercorsi “… Ora vediamo se mantiene i patti …”.

I RAPPORTI CON IL CLAN DE STEFANO-TEGANO

Nicolò inoltre a Reggio è chiacchieratissimo per il suo rapporto di ferro con Romeo, De Stefano e Sarra avendo fatto lavorare loro congiunti nella sua struttura.

Il collaboratore di giustizia Roberto Moio, nipote acquisito del boss Giovanni Tegano, racconta della vicinanza di Nicolò agli ambienti di Archi, e quindi non solo della cosca Tegano, ma anche dei De Stefano. Stando al racconto di un altro collaboratore di giustizia, quel Salvatore Aiello per anni direttore operativo della Fata Morgana (azienda attiva nella raccolta dei rifiuti a Reggio Calabria) vi sarebbe stato l’interessamento di Nicolò per l’assunzione diretta di Rocco Caridi, di primo grado del boss di San Giorgio extra, Nino Caridi, genero del defunto boss don Mico Libri.

Ma Nicolò è accusato anche di due episodi di corruzione elettorale aggravata: “… perché candidato alle elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale della Calabria del novembre 2014, per ottenere a proprio vantaggio il voto elettorale di Presto Antonio, dei suoi familiari e dipendenti e di altre persone non identificate, prometteva allo stesso Presto – che accettava ed anzi sollecitava la promessa – il proprio intervento agevolatore per consentirgli di aggiudicarsi appalti privati tramite la propria impresa individuale EDIL Presto e per procurare uno o più posti di lavoro ai propri familiari. Tortorella Giuseppe Demetrio metteva in contatto Nicolò Alessandro e Presto Antonio, organizzava l’incontro tra i due all’interno del proprio studio odontoiatrico, si impegnava per il raggiungimento dell’accordo tra il candidato e l’elettore, si faceva garante per il mantenimento della promessa da parte dell’aspirante consigliere regionale”.

L’altra accusa riguarda Nicolò in concorso con Pasquale Repaci (che ha svolto la funzione di intermediario) e Stefano Sartiano (sodale della cosca Libri), che avrebbe concluso un accordo corruttivo funzionale all’assunzione del figlio di Sartiano, in cambio dei voti dallo stesso garantiti in favore del politico. Sartiano avrebbe barattato con Nicolò l’assunzione del proprio figlio in cambio dei consensi elettorali. E così, all’indomani del risultato elettorale lo stesso Sartiano si rivolge a Repaci per rammentare al neoeletto consigliere Nicolò la promessa di assumere il figlio. E lo stesso Sartiano riferisce anche delle rassicurazioni avute dal Repaci: “Lui mi ha detto…, gli ho detto io che si ricordi gli impegni, mi ha detto si, e che ha detto? Ha detto non ci sono problemi ha detto, uno è tuo figlio e uno è un altro, non mi ha detto chi è…”.

DA NICOLO’ A PITTELLI

Reggio Calabria si respirava un’aria “nuova” all’interno del partito di Fratelli d’Italia nel 2019. Infatti, dopo l’operazione “Libro Nero” che aveva portato all’arresto del consigliere regionale Sandro Nicolò, la Meloni aveva mandato in riva allo Stretto un cavallo di razza per riordinare e riportare la legalità nel partito che si rifaceva ai principi di patria, famiglia e legalità. Pertanto era stato nominato l’ex missino, colonnello dei carabinieri nonché deputato Edmondo Cirielli.

Il deputato vanta una lunga storia politica ricca di successi e cariche prestigiose. Il buon Cirielli ricopre l’incarico di Presidente della Provincia di Salerno, consigliere regionale della Campania ed è stato deputato per varie legislature. Ma al nostro moralizzatore mancava qualcosa nel Curriculum vitae per essere un politico di levatura nazionale: un’ indagine… Che in Italia non si nega a nessuno. E infatti facendo una piccola ricerca in rete il nostro onorevole risulta indagato per corruzione aggravata con voto di scambio politico mafioso/camorrista. Ma guarda un po’ il caso… il moralizzatore di Reggio è peggio dei suoi conviviali!!!

PITTELLI E LA MELONI

Eravamo nell’estate del 2019, non passarono neanche sei mesi ed ecco arrivare una seconda “tempesta” con gli arresti di Giancarlo Pittelli (ex Forza Italia, che aveva aderito a Fratelli d’Italia nel 2017) e di Roberto Rosso, consigliere regionale piemontese preso con le mani nella marmellata mentre inciuciava con la ‘ndrangheta.

Un valore aggiunto per la Calabria e tutta l’Italia”. Così Giorgia Meloni nel 2017 aveva annunciato il passaggio da Forza Italia a Fratelli d’Italia dell’ex parlamentare Giancarlo Pittelli. E invece, leggendo le cronache del blitz “Rinascita Scott” di Gratteri, sembra si trattasse più che altro di un valore aggiunto per la massoneria deviata e la criminalità organizzata.

La procura antimafia di Catanzaro ha condotto un’indagine che ha portato a un’ordinanza di custodia cautelare per 334 persone, accusate di essere legate al clan della ‘ndrangheta Mancuso. Le accuse sono diverse e variano dall’associazione mafiosa, all’usura, all’omicidio, fino al riciclaggio e alla fittizia intestazione di beni.

Tra gli arrestati c’è anche Giancarlo Pittelli, ex deputato in ben due legislature: dal 2001 al 2006 prima e poi nuovamente dal 2008 al 2013, nelle file di Forza Italia e del Popolo delle Libertà. Tra il 2006 e il 2008 ha invece ricoperto la posizione di senatore. Poi il passaggio recente a Fratelli d’Italia, con l’entusiasmo del coordinatore regionale del partito, Ernesto Rapani: “L’ingresso in Fdi di Giancarlo Pittelli è di quelli certamente importanti. A lui, dunque, un caloroso benvenuto. Sono certo che contribuirà alla crescita del partito nella nostra regione”, aveva detto.

L’arresto di Pittelli si inserisce perfettamente nelle dinamiche della vecchia politica, quella dove corruzione e connivenza con la criminalità organizzata costituiscono la regola più che l’eccezione. Esattamente quel modello negativo che figure come Giorgia Meloni annunciano di voler rottamare, proponendosi come un nuovo che avanza che in realtà non è altro che un vecchio camuffato da novità. Ma l’arresto di Pittelli portava anche a una riflessione sul partito che negli ultimi decenni egli ha rappresentato nelle istituzioni nelle vesti di parlamentare, Forza Italia. Un partito in cui gli scandali di questo tipo si ripetono in continuazione, divenuto un vero e proprio esempio di malapolitica. “Poteva mancare qualcuno di Forza Italia?”, si era chiesto ironicamente qualcuno sui social dopo la notizia della maxi-operazione. E ce n’è stato un altro anche più recentemente, nel blitz della Dda di Reggio nell’Aspromonte, addirittura Marco Siclari, meglio conosciuto come il figlioccio di Tajani… E che ve lo diciamo a fare? A braccetto, naturalmente, con l’ennesimo “pacco” che la Meloni ha preso in Calabria ovvero il finanziere corrotto Domenico Creazzo… 

E in effetti è da troppo tempo una certezza il fatto che quando scoppia uno scandalo di questo tipo, tracce del partito di Silvio Berlusconi o qualche elemento approdato alla corte di Giorgia Meloni si trovano sempre. Non stupisce che proprio Forza Italia sia sempre stata in prima linea in questi anni quando c’era da affrontare la questione dell’immunità parlamentare e del taglio dei parlamentari. Alzando le barricate affinché non si intervenisse su questi aspetti. Un meccanismo di autodifesa, probabilmente. Sembra che Forza Italia abbia fatto il suo tempo. In passato aveva i numeri dalla sua, ora nemmeno quelli, riducendosi a un partito da pochi punti percentuali che ormai balza agli onori delle cronaca solo per le battute sessiste del suo leader Berlusconi. O, appunto, per il nuovo scandalo di turno.

È allora arrivato il tempo delle rottamazione definitiva per uno dei principali residui della vecchia politica. Certamente l’alternativa nuova e fresca non è data dal restante panorama di destra. La Lega, che in tema di scandali forse riesce a far peggio di Forza Italia, con cui peraltro ha condiviso diverse esperienze di governo. O Fratelli d’Italia, che sembra difficile possa ripulire la destra dalla corruzione e dagli scandali se i protagonisti di questi ultimi confluiscono nelle sue fila, come è il caso di Pittelli, di Nicolò e adesso anche di Creazzo.

Già, Creazzo. La “palma” dell’arresto più clamoroso spetta senz’altro a Domenico Creazzo, finito in manette a febbraio 2020, appena un mese dopo l’elezione a presidente di Jole Santelli.

DOMENICO CREAZZO

Ma chi è Domenico Creazzo, il consigliere regionale di Fratelli d’Italia, appartenente alla Guardia di Finanza (è in aspettativa, vista la sua intensa attività politica), sindaco di Sant’Eufemia e addirittura Mister 8000 (preferenze), approdato alla Regione sotto le insegne della Meloni dopo una transumanza che l’ha portato senza vergogna da sinistra a destra e clamorosamente arrestato il 25 febbraio 2020?

Anzitutto, tanto per essere chiari e tanto per ribadire, Creazzo è un finanziere. Arruolato nel 1999 – si legge nel suo curriculum – ha maturato particolare esperienza in materia di aree protette e biodiversità. Poi, da quando è diventato sindaco, si è messo in aspettativa.

Domenico Creazzo è stato sindaco di Sant’Eufemia D’Aspromonte per otto anni (eletto nel 2012), è genero di Domenico Fedele, ex consigliere provinciale di Reggio dal 2007 al 2011 con il gruppo della Margherita nonché – tanto per non farsi mancare nulla – dirigente medico della “Commissione Invalidi”.

Creazzo è stato vicepresidente del Parco dell Aspromonte dal 2014 fino al 2019 quando ne assume la presidenza come facente funzioni dopo l’uscita di Bombino, che oggi vorrebbe fare il sindaco di Reggio in quota centrodestra (!!!). Creazzo ha rivendicato la presidenza del Parco, che ricordiamo viene indicata dal Governatore della Regione, e quando l’ormai ex Governatore Palla Palla non ha soddisfatto le sue richieste (in caso contrario si sarebbe senz’altro candidato in una delle liste del beone di San Giovanni in Fiore!!!), lui si è alleato con il nemico e tra i suoi alleati ha trovato anche parecchi ex scopellitiani, che rimasti orfani di una guida, e sostenuti dai soliti “sistemi” hanno INCORONATO IL CREAZZO RE DELL’ASPROMONTE.… da 0 ad 8000 voti in due mesi: in Calabria succede anche questo…
Quando il compare del tuo compare è mio compare… come diceva Franco Morelli ai tempi belli e prima di finire in galera…

Parliamo della zona aspromontana: Sant’Eufemia, Sinopoli, San Procopio, Cosoleto, Delianuova e zone limitrofe… e tutti sanno che la ‘ndrangheta sta sempre dalla parte di chi vince e se Creazzo ha vinto, eccome se ha vinto, non ci vuole molto a fare due più due…
E se si sono scomodati a sostenerlo gli ex fedelissimi di Scopelliti un motivo ci sarà stato. A pensar male a volte si fa peccato, ma spesso ci si azzecca e a Reggio tutti sanno che, grazie a Creazzo, anche un altro bel soggetto come Giuseppe Neri, di cui parlavamo prima, addirittura consigliere regionale uscente col Pd, lo ha seguito in Fratelli d’Italia risultando – sputa che ci indovini! – eletto anche lui.

In realtà, Creazzo alla guida del Parco dell’Aspromonte andava più che bene a Palla Palla. Infatti è rimasto al suo posto, di fatto esercitando di fatto i poteri che furono di Bombino per molto tempo. Distrazione del governo? Disinteresse della Regione? Al di là delle supposizioni, diverse fonti qualificate concordavano su un punto: Oliverio considerava cosa fatta la candidatura di Creazzo (non ancora incoronato Re dell’Aspromonte) in una delle formazioni a sostegno della sua nuova discesa in campo. Ma poi quei cattivoni del Pd non lo hanno candidato e Creazzo è passato con la Meloni, con Scopelliti e… tutto il cucuzzaro.

Quanto al suo rapporto con Peppe Scopelliti, «Creazzo – si legge nell’ordinanza – aveva disponibilità di informazioni segrete e riservate, il cui mancato “uso” era funzionale ad ottenere il sostegno elettorale».

Non viene fuori quale fosse il titolo per il quale il politico avesse quei documenti, se per la sua attività istituzionale o per la sua pregressa attività militare. «È logico supporre – afferma il gip – che potesse trattarsi di qualcosa di cui Creazzo era venuto a conoscenza in ragione del vecchio incarico ricoperto nelle forze dell’Ordine».

Le intercettazioni

Di seguito l’estratto delle intercettazioni da cui si ricava la conversazione fra Nino Creazzo e Domenico Alvaro.

Creazzo: Tutti questi di, di Scopelliti! Tutti questi di Scopelliti tutti con Mimmo sono!

Alvaro: Scopelliti quale?

Creazzo: Del presidente! Tutto

Alvaro: Ah

Creazzo: Il gruppo

Alvaro: Sì sì

Creazzo: di Scopelliti

Alvaro: Sì quelli che…

Creazzo: Tutti con Mimmo

Alvaro: Erano con lui!

Creazzo: Sai come lo rispettano che manco i cani!

Alvaro: Ma lui, Scopelliti che fine…

Creazzo: Però Mimmo si è comportato bene!

Alvaro: Ha fatto? Con i domiciliari è?

Creazzo: Sì! E Mimmo si è comportato bene! Sono andati a ringraziarlo tutti! E gli ha detto che gli manda… gli hanno detto “Ti ringrazia pure il presidente!” però…

Alvaro: Ma ormai è fuori da tutto lui? No?

Creazzo: Mimmo aveva tutte le carte per, per… incularli a tutti e non gli ha fatto niente!

Alvaro: Non è fuori da tutte cose?

Creazzo: Sì! Ma il gruppo ce l’ha! Ha quelli che non l’hanno abbandonato mai, gli sono rimasti sempre vicino!

Alvaro: Eh bravo!

(continua)