Secop, Ofin srl, Feel srl, Zenobia srl, Moa srl, Oltrestudio srl, Tenuta del Castello Società Agricola srl, Parametro Holding, Fpa srl, Fpa Retail srl, Fgs srl, Best Italian Good, Ytam srl, Rete Alfa, Gruppo editoriale Teleuropa Network, Aplus srl. Queste sono solo alcune delle società riconducibili direttamente, perché presenti nei consigli di amministrazione, ai fratelli Mario e Roberto Occhiuto. E chissà quante altre ce ne sono — direttamente o indirettamente riconducibili — attraverso prestanome, ex mogli, nipoti/e, fedelissimi o società intestate a Carmine Potestio e compagnia cantante.
A questo punto una domanda diventa inevitabile, quasi banale nella sua evidenza: ma è normale che due politici di professione, da trent’anni dentro le istituzioni, abbiano fondato, gestito e fatto fallire decine di società, come se la politica fosse solo un piano B per pararsi il culo? È normale che un presidente di Regione e un senatore passino più tempo a spostare quote, rinegoziare leasing e cercare escamotage societari, piuttosto che affrontare i problemi reali di una terra devastata come la Calabria? No. Non è normale. Ma è esattamente quello che accade da anni, mentre il popolo li acclama e le banche li inseguono. Perché tutte queste società, una dopo l’altra, hanno fatto la stessa fine: il fallimento.
Per alcune di queste — come Ofin srl — Mario e Annunziata Occhiuto (sorella) sono stati già condannati: lui a 3 anni e 6 mesi, lei a un anno e 4 mesi per bancarotta fraudolenta. Ma non è solo una storia di carte bollate: è un metodo. Un modello. Una carriera costruita a colpi di fallimenti. Altro che imprenditori. Altro che politici. Qui siamo di fronte a prenditori seriali, a spregiudicati costruttori di bolle, a campioni di “crea, prendi, fallisci, ricomincia”. I finanzieri che hanno indagato parlano chiaro: “Mario Occhiuto ha creato, nel corso degli anni, attraverso l’uso spregiudicato di società spesso fittizie, un buco da 28 milioni di euro. Debiti per lo più verso istituti di credito che nel corso degli anni hanno erogato prestiti senza alcuna garanzia. L’insolvenza delle società fallite è dovuta a una crescente crisi di liquidità, causata da finanziamenti non restituiti da soci a società partecipate, oltre ad antieconomiche cessioni di leasing su beni aziendali e a prelievi ingiustificati di cassa”.
Altro che Regione Calabria: servirebbe un tribunale commerciale permanente solo per gestire il loro impero fallimentare. Eppure, mentre i comuni cittadini con una cartella di Equitalia da 1.000 euro vengono perseguitati a vita, loro — i fratelli Occhiuto — girano indisturbati tra Roma e Catanzaro, tra talk show e incarichi pubblici, presentandosi come esempi di buona politica. Una farsa indecente. Ed è proprio da questa farsa che si arriva al nodo di tutto: Roberto Occhiuto si dimette… ma per fare cosa? Per risolvere i problemi della Calabria? O per risolvere i suoi, ancora una volta? Perché il punto non è se si ricandida. Il punto è perché è costretto a restare incollato al potere. Gli Occhiuto non hanno mai fatto politica. L’hanno solo usata. Come paravento, come scudo, come ufficio legale personale. La loro carriera pubblica è stata solo un modo per tamponare i buchi lasciati dalle loro stesse società fallite, per allontanare i tribunali, per scaricare debiti sugli enti pubblici, per mettere i loro problemi a carico dei cittadini. Altro che interesse per la Calabria: qui c’è solo un gigantesco interesse per se stesso.
Chiunque abbia aperto un’azienda in vita sua lo sa: se sei un imprenditore serio, ne apri una, ci metti la faccia e la fai crescere. Gli Occhiuto, invece, fanno altro: una la usano per incassare, un’altra per fatturare, una terza per fallire e una quarta per ripartire con i soldi della precedente. È un sistema, non un incidente. Un meccanismo di travaso permanente. Una macchina per imbrogliare lo stato e i cittadini con il timbro della politica in copertina. Ma davvero qualcuno crede che uno così si occupi della sanità calabrese, dei trasporti, delle scuole, del lavoro dei giovani? Davvero pensate che Roberto Occhiuto abbia tempo, lucidità e volontà per governare una regione quando passa le giornate a trattare con creditori, a spostare quote, a cedere auto aziendali a 50 euro per sistemare le carte?
Questo non è un politico. È un sopravvissuto finanziario. La Regione è il suo rifugio fiscale. Il Consiglio dei Ministri è la sua polizza sulla vita. La poltrona è l’unica cosa che tiene lontano i processi, i pignoramenti, le convocazioni in tribunale. E ogni calabrese che oggi pensa di rivotarlo, deve sapere che sta salvando lui, non se stesso. Perché ogni voto dato a Roberto Occhiuto è un voto tolto alla propria salute, alla propria dignità, al proprio futuro. È come firmare la cambiale della propria morte sociale ed economica. Non c’è più nulla da scoprire. È tutto scritto: nei bilanci delle società, nelle visure camerali, nelle sentenze, nelle indagini, nei bonifici, nei leasing, nelle fideiussioni false. Chi continua a votare Occhiuto non può più dire “non lo sapevo”. Ora lo sa. Chi vota ancora Occhiuto non sta scegliendo un presidente. Sta firmando la propria condanna.









