Gattuso uomo giusto al posto giusto: i suoi 95 minuti sono stati una partita nella partita

di Paolo Tomaselli

Fonte: Corriere della Sera

Da allenatore di seconda fascia – ultima panchina (di 305 già accumulate in carriera) all’Hajduk Spalato finito terzo nel campionato croato – a commissario tecnico della rinascita azzurra.

È presto, prestissimo per dirlo, ma il debutto è finito con i cori dello stadio di Bergamo tutti per lui, Rino Gattuso. Non per gli azzurri o per l’ex idolo Retegui tornato dall’Arabia con una doppietta. Ma per lui, che ha riacceso l’Italia in una sera di inizio settembre e che in due mesi e mezzo deve tentare l’impresa disperata, quella della qualificazione diretta al Mondiale.
Gattuso uomo giusto al posto giusto? Di sicuro le missioni complicate, dal debutto al Sion nel 2013 passando per Palermo, Ofi Creta, Pisa, e poi Milan e Napoli per tentare il grande salto, quindi l’atterraggio non morbido fra Valencia e Marsiglia prima della Croazia, hanno forgiato l’allenatore e l’uomo. Che però per tanti versi è rimasto lo stesso di quando giocava: finto burbero, sincero, appassionato, più forte delle sue paure, che non erano poche al debutto e per sua stessa ammissione non sono poche lungo la strada che lo attende.

Gattuso uno di noi. Gattuso «italiano vero» come recitava un piccolo striscione. Come le canzoni di Toto Cutugno, come «l’inno che mi ricorda la voce di mia madre che mi chiamava dal balcone»: un po’ vintage sicuramente, ma per fare breccia nel calcio stressato dei club, gli azzurri dovevano ritrovare un’oasi a Coverciano, come ai tempi felici dell’era Mancini. E Gattuso forse ha riaperto davvero l’oasi nel pieno del deserto.
«Ci trasmette tanta carica, tanta grinta, ci ha dato anche un bel po’ di ceffoni per darci una svegliata che ci serviva», ha dichiarato Alessandro Bastoni. Figurarsi la risposta in conferenza del c.t.: «Ceffoni non ne ho mai dati a nessuno, voglio chiarirlo (ride. ndr). Io voglio una squadra che in questo momento deve pedalare: per diventare campioni non basta solo la qualità, serve anche la componente squadra. Bisogna fare una corsa in più, bisogna dire una parola in più. Credo fortemente in questo, non basta solo avere giocatori di qualità. Dobbiamo avere la voglia di portare il risultato a casa, saper soffrire: su questo eravamo maestri e dobbiamo ritrovare questo spirito».

95 minuti di Gattuso sono stati una partita nella partita, soprattutto per la fatica che ha fatto la squadra a sbloccarsi. E in attesa del gol i tifosi si sono goduti lo spettacolo nello spettacolo: «Per le scene viste stasera ti senti più commissario tecnico o capopopolo?», gli è stato chiesto in conferenza stampa. «Mi sento un uomo con un peso sulle spalle incredibile – sospira Rino – . Sono orgoglioso di ricoprire questo ruolo, devo ringraziare tutti coloro che mi hanno voluto, ma non mi sento nulla. Sento solo un peso enorme e spero di riuscire a centrare l’obiettivo».
Fuori ad attenderlo c’erano la moglie e la figlia, per un saluto veloce prima della partenza verso la prossima partita, molto più difficile, contro Israele, lunedì in campo neutro a Debrecen, in Ungheria. Sarà un’altra storia in campo, ma per l’Italia non deve cambiare il copione: quello del c.t. dal cuore azzurro che da allenatore di club faticava dannatamente a trovare la via del successo ma la ritrova assieme ai suoi azzurri. Pagina dopo pagina, vediamo come va a finire.