“Genocidio” a Sebrenica: perché a Gaza non lo è?

“Genocidio” a Sebrenica: perché a Gaza non lo è?
di Domenico Gallo
Fonte: Il Fatto Quotidiano

L’11 luglio ricorre un triste anniversario: 30 anni dalla caduta di Srebrenica, dalla deportazione di tutti i suoi abitanti (40/50 mila persone) e dagli orribili massacri che ne seguirono. Le truppe serbo-bosniache, comandate dal generale Ratko Mladic, assunsero il controllo della folla radunata nei pressi della base Onu di Potocari e separarono donne, bambini e anziani dagli uomini in età militare.

Il primo gruppo fu caricato su bus ed espulso dall’enclave, il secondo gruppo fu concentrato in un posto denominato “la Casa bianca” dove fu sterminato. Nello stesso contesto, una colonna di soldati e civili in fuga attraverso i boschi fu attaccata e costretta ad arrendersi. Secondo quanto accertato dal Tribunale Internazionale per la ex Jugoslavia nei giorni successivi alla caduta di Srebrenica furono uccisi da settemila a ottomila uomini, i loro cadaveri fatti sparire seppellendoli in fosse comuni. Di fronte a questi avvenimenti si levò un grido d’orrore. La Cancellerie, Stati Uniti in testa, non fecero finta di non vedere, furono diffuse le foto aeree delle fosse comuni, un fremito d’indignazione, sostenuto dai principali media, percorse l’opinione pubblica internazionale. L’enclave mussulmano-bosniaca di Srebrenica subì una radicale pulizia etnica, attraverso la deportazione di una parte della popolazione e lo sterminio dell’altra. Il sogno di Israele di liberarsi della popolazione “aliena” che occupa abusivamente l’enclave di Gaza nel territorio che la Bibbia ha assegnato al popolo ebraico, è stato già realizzato, in piccolo, dai Serbo-bosniaci nel 1995 con la “liberazione” della enclave di Srebrenica.

In realtà il sogno di appropriarsi di un territorio “liberandolo” dei suoi abitanti sgraditi, per Karadzic e compagni si è presto trasformato in un incubo. Sia Karadzic (nel 2016) che Mladic (nel 2017) sono stati condannati all’ergastolo dal Tribunale Internazionale per la ex Jugoslavia, assieme ad alcuni generali e altri ufficiali. Il 2 agosto del 2001 nel processo a carico del generale Radislav Krstic, è stata emessa la prima condanna per genocidio in Europa dopo la Shoah. Il Tribunale internazionale ha qualificato come “genocidio” i fatti di Srebrenica. Ha rilevato che del delitto di genocidio ricorrevano sia l’elemento oggettivo della condotta, actus reus, che l’elemento soggettivo, il dolo specifico, mens rea. Il Tribunale ha osservato che la popolazione mussulmana di Srebrenica costituiva una frazione di un gruppo etnico-religioso (i mussulmani di Bosnia), e che i massacri erano stati determinati dalla volontà di distruggere in parte questo gruppo etnico.

È curioso che i trombettieri della “Sinistra per Israele” o della destra non si siano ribellati al ricorso alla definizione di genocidio per qualificare i fatti di Srebrenica, né che abbiano ritenuto “una bestemmia” rievocare il genocidio dopo la Shoah. Eppure c’è un sottile filo nero che collega i fatti di Srebrenica alle operazioni compiute dalle forze militari israeliane a Gaza, il cui obiettivo, rivendicato da molte voci presenti nel governo israeliano, è quello di liberarsi della popolazione palestinese e recuperare il territorio della Striscia. Tuttavia i metodi sono differenti, i serbo-bosniaci in una sola settimana, hanno liberato l’enclave di tutta la popolazione “aliena” e hanno sterminato ottomila “terroristi”, cioè giovani uomini in età militare. Gli israeliani sono molto più pazienti, non uccidono più di cento/duecento persone al giorno (ci hanno messo 20 mesi per eliminarne 50 mila) e lo fanno in modo egualitario, senza fare discriminazioni fra uomini e donne, bambini e anziani, miliziani e civili, medici o infermieri. Non hanno deportato la popolazione fuori dal territorio con i bus, come hanno fatto i serbi, ma attendono pazientemente il trasferimento “volontario” della popolazione e per incoraggiarlo si limitano a radere al suolo tutte le case, a sfollare tutti gli abitanti dalle zone pericolose a causa dei combattimenti concentrandoli nelle “safe areas”, dove il rischio di morire bruciati vivi nelle tende è frutto solo del caso.

La pazienza di Israele è testimoniata anche dal blocco dei rifornimenti di cibo, di acqua, di medicinali e di carburante. Mentre le bombe ti inceneriscono in un attimo, ma colpiscono solo alcuni lasciando sopravvivere tutti gli altri, la fame raggiunge tutti i due milioni di abitanti della Striscia. Un po’ di violenza, però, è necessaria e viene esercitata per ragioni di ordine pubblico quando viene distribuito il cibo dai volontari della Gaza Humanitarian Foundation per evitare spintoni o tafferugli. In un solo mese sono stati uccisi 549 palestinesi e 4.066 sono rimasti feriti. Il tiro all’affamato è diventato un gioco popolare fra i soldati israeliani, viene denominato Operation salted fish.