Gianni Rivera e Catanzaro, una storia lunga 50 anni: dal vecchio “Militare” al Centro Tecnico Federale

Anche per chi non è milanista sfegatato – e non parliamo del Milan di Berlusconi, attenzione -, Gianni Rivera è semplicemente un mito. E lo è ancora oggi che compie 80 anni ragion per cui bisogna avere “almeno” 60 anni per ricordarne appieno tutte le gesta.
Gianni Rivera è stato la bandiera del Milan per due decenni, dall’inizio degli anni Sessanta all’inizio degli anni Ottanta, 12 stagioni da capitano coraggioso e carismatico vincendo tre scudetti, 2 Coppe dei Campioni e un titolo mondiale per club. Nel 1968 è campione d’Europa con la Nazionale (con cui disputa quattro Mondiali, 60 presenze e 14 gol segnati) e nel ’69 France Football lo incorona con il Pallone d’oro. Primo italiano di tutti i tempi a riceverlo: da qui il suo eterno nomignolo di “golden boy”. Rivera fa parte dell’11 di sempre con più presenze nella massima serie (527), costellate da 128 gol, record che gli vale ancora oggi lo scettro di miglior realizzatore tra i centrocampisti nella storia del calcio italiano.

Aveva un sinistro divino quanto quello di Maradona, anche se con il destro segnò il gol della vittoria nella “partita del secolo”, la semifinale dei Mondiali di Messico ‘70, l’epica Italia-Germania 4-3, il gol che decise il match. «Quel gol se non lo avessi rivisto alla televisione non avrei mai saputo di averlo fatto con il destro». Eh sì, perché cambiò piede all’ultimo secondo, quando vide che il portiere della Germania si stava buttando dall’altra parte.
Con il mancino poteva anche scrivere e sul campo ha disegnato traiettorie che hanno sovvertito tutte le teorie geometriche. «Rivera è’ l’unico calciatore che ho visto nella mia lunga carriera capace di lanciarti e metterti la palla sui piedi stando girato di spalle», ricordava con affetto e ammirazione l’ex milanista Pierino Prati prima di volare via per sempre. Un colpo unico, da maestro il “lancio di spalle”…

GIANNI RIVERA E CATANZARO

E proprio il “lancio di spalle” ci dà la possibilità di agganciare la gloriosa storia di Gianni Rivera a quella del Catanzaro e del suo rapporto con la Calabria, nato inevitabilmente proprio dagli incroci con la squadra giallorossa.

Erano i tempi di don Nicola Ceravolo, il “Presidentissimo” di quel Catanzaro allenato da Gianni Seghedoni, prima squadra calabrese ad assaporare la Serie A, che ha incrociato più volte, sul campo, anche il Milan di Rivera. La prima volta nel ’72, il 23 gennaio, in un “Militare” ridotto ad un acquitrino, che non era certo l’ideale per un talento di qualità come Rivera. “Maglia Rossonera” conserva ancora una preziosa fotografia con tanto di (altrettanto preziosa) didascalia con la quale testimonia come Rivera “affondava nell’acquitrino delo stadio “Militare”.

Così come risulta preziosa la testimonianza di “Catanzaro nel pallone” che ritrae Rivera, all’inizio della gara, nei preliminari della partita con il capitano giallorosso Roberto Franzon e la terna arbitrale. La partita finì 0-0 ed era l’ultima del girone di andata. Mammì sfiorò il gol della vittoria nel primo tempo, quando era riuscito a bucare il mitico Cudicini ma un difensore levò letteralmente il pallone dalla porta, forse anche dopo che aveva superato la fatale linea bianca, ma allora non c’erano né il Var e né la goal tecnology… Sette giorni dopo, sempre al “Militare” e sempre su quello stesso acquitrino, Angelo Mammì segnò davvero il gol della vittoria contro la Juventus che poi sarebbe diventata Campione d’Italia. Un gol che rimarrà per sempre nella storia del calcio calabrese.

Ma torniamo a Rivera. Il secondo incrocio con il Catanzaro (allenato da Gianni Di Marzio) risale al campionato 1976-77 e la partita di andata non si giocò al “Militare” bensì a Catania, al leggendario “Cibali”. Qualche settimana prima, al Militare, uno dei peggiori arbitri del calcio italiano, Alberto Michelotti, aveva fatto di tutto, in un memorabile Catanzaro-Torino, per far perdere i giallorossi. Un gol validissimo annullato, un clamoroso rigore negato, espulsioni a go go e chi più ne ha più ne metta. Provocando la reazione rabbiosa dello stadio, sfociata in una rovinosa squalifica del campo per tre giornate.

Il Milan, in quella stagione, se la passava malissimo e si trovò addirittura nei bassifondi della classifica. A Catania il Catanzaro vinse 1-0 con gol di Sperotto e questa volta a conservare la foto del prepartita è una leggenda del calcio catanzarese, Fausto Silipo, che l’ha postata stamattina sul suo profilo FB per rendere omaggio al grande Rivera.

Oggi compie 80 anni Gianni Rivera. Auguri al mio idolo da sempre, del miglior calciatore italiano di tutti i tempi (de gustibus non disputandum). Qui in una mia (preziosa) rara foto da capitano, per l’assenza di Adriano Banelli. La gara è un Catanzaro-Milan c.n. al Cibali di Catania.

La partita di ritorno a San Siro – penultima di campionato – invece assunse un tono drammatico per entrambe le squadre, visto che il Milan con appena 24 punti e con Nereo Rocco ritornato sul ponte di comando al posto di Marchioro rischiava davvero di retrocedere e il Catanzaro (terzultimo a 21 punti) perdendo avrebbe detto addio alla Serie A vanificando un girone d’andata quasi perfetto chiuso con 13 punti. Vinse il Milan 3-2…

Il Catanzaro tornò subito in Serie A, in tempo per “battezzare” lo scudetto milanista della “stella” del campionato 1978-79. 29 aprile 1979, terzultima di campionato al “Militare”. Il Milan di Liedholm scende in Calabria per conquistare i due punti che gli consentirebbero in pratica di vincere il tricolore.
Carletto Mazzone manda in campo il Catanzaro così: Mattolini, Sabadini, Ranieri, Turone, Groppi, Nicolini, Braglia, Orazi, Rossi, Improta, Palanca. Il Milan si schiera con Albertosi, Collovati, Maldera, De Vecchi, Morisi, Baresi, Novellino, Bigon, Antonelli, Rivera e Buriani. Il primo tempo è privo di grosse emozioni e si conclude sullo 0-0.

Poi, a inizio ripresa, si accende Rivera. Aldo Maldera gli chiede il “triangolo” e il numero 10 si gira e si esibisce nel famoso “assist di spalle” per il terzino, che va in gol.
Claudio Ranieri trova la forza di pareggiare con un gol da cineteca, un’azione personale quasi da fantasista e non da terzino qual era, ma ancora una volta arriva Rivera a illuminare il suo Milan.

Stavolta prende la palla quasi da centrocampo, resiste alla carica di un avversario e mentre si gira, ecco che parte il solito lancio di spalle per Novellino, che scarica in rete il gol del 2-1. Nel finale, ancora Rivera e De Vecchi costruiscono l’azione per il definitivo 3 a 1 siglato da Antonelli. Il Perugia – rivale del Milan e secondo in classifica – pareggia e lo scudetto è ormai in tasca… Sarà il canto del cigno del “Prodigio”

DAL DIARIO DI UN TIFOSO… (di Colombo Labate)
29.04.1979 – CATANZARO vs MILAN 1-3, Campionato di Serie A (28^ giornata)
La giornata successiva vedeva il Milan impegnato a Catanzaro ed in caso di vittoria avremmo finalmente “visto” la stella del 10° scudetto. Il sabato precedente alla partita andai a Catanzaro Lido allo “Still Hotel”, ove alloggiava la squadra rossonera. C’era parecchia gente che attendeva l’arrivo dei futuri campioni d’Italia, ricordo che vidi scendere dal pulman per primi Albertino Bigon, Nils Liedholm e Fabio Capello che furono letteralmente assaliti dai tifosi festanti. Il giorno dopo andai allo stadio, assieme a Michele. Ci sistemammo in Curva Ovest mentre papà andò a bordo campo (fu immortalato anche dal “Guerin Sportivo” che conservo gelosamente). Tantissime erano le bandiere rossonere che sventolavano in Curva Est, Tribuna e Distinti; stadio stracolmo. Il diavolo si impose per tre reti ad una, marcatori Maldera, Claudio Ranieri, Novellino ed Antonelli allo scadere. Nel dopopartita parecchie macchine provenienti dalla Sicilia furono prese di mira e si registrarono tafferugli.

E torniamo al celeberrimo “lancio di spalle”, che non rientrava nel repertorio del suo antagonista, l’uomo della staffetta azzurra, Sandro Mazzola.
La staffetta? Una follia, però con Mazzola massimo rispetto
«Ma lui non era un 10, un regista come me, Mazzola giocava da punta. Per ragioni puramente mediatiche e di comodo hanno voluto farci passare per Coppi e Bartali, ma gli è andata male, noi non abbiamo mai litigato e siamo stati capaci di coesistere pacificamente, con il massimo rispetto reciproco, dal primo Mondiale del 1962 fino all’ultimo del ‘74. In Messico l’altitudine deve aver giocato qualche brutto scherzo a chi doveva decidere. Mazzola anche nella finale con il Brasile alla fine del primo tempo rientrando nello spogliatoio si tolse le scarpe convinto che toccasse a me entrare in campo…». E invece quel giorno il ct Valcareggi (che Rivera giustamente manco nomina…) non fece giocare Rivera: lo mandò in campo all’84’ quando già perdevamo 4-1…

Solo un allenatore per amico, il Paròn, Nereo Rocco. «A volte penso che se Rocco vedesse il calcio d’oggi, con questi che invece di andare avanti passano sempre indietro il pallone mi chiederebbe: “Gianni, ma che succede, hanno cambiato il regolamento?” – sorride di gusto -. Col Paròn ridevo sempre e mi divertivo a vederlo imprecare contro il vice, Bergamasco, che si portava gli assi all’ultima mano del suo gioco preferito, dopo il calcio, il ciapa no». Il tressette a perdere, giocato da un vincente come Rivera che in campo non ricorda di aver mai incontrato la sua “bestia nera” in un terzinaccio picchiatore o un mediano fuorilegge.
Solo uno ha provato a fermarmi, l’arbitro Concetto Lo Bello
«L’unico capace di fermarmi, lo sanno tutti su, è stato un arbitro, anzi l’Arbitro -sorride ironico – Concetto Lo Bello, che con me stabilì svariati record: a Bari mi fischiò una punizione a favore, si prese due minuti per far piazzare la barriera e poi quando capì che da quella posizione potevo far gol fischiò la fine del primo tempo». Rivera precursore in tutto, perfino nello showbiz. Prima di danzatore a Ballando con le stelle (nel 2012, in fondo appena 11 anni fa) è stato il primo calciatore in carriera conduttore televisivo. «Era Caccia al 13, in onda su Telemilano. Parlavo di calcio, invitavo anche gli arbitri e disquisivo con scrittori e giornalisti fuoriclasse come Beppe Viola».

Meglio Beppe Viola che il fustigatore Gianni Brera​
Con Beppe Viola rimane la storica intervista sul tram per San Siro prima di un derby dove dalla tribuna stampa a marcarlo a uomo c’era la penna sferzante dello scriba massimo del folber, Gianni Brera fustigatore di quel “10” idolo delle folle che aveva ribattezzato l’Abatino. «Magari chissà, con il tempo Brera sarebbe rinsavito nel giudizio, comunque le polemiche alimentate dalle critiche nei miei confronti gli hanno regalato una celebrità superiore a quella che sperava…Abatino? Sono cresciuto in oratorio e grazie a padre Eligio ho conosciuto “Mondo X”, la carità cristiana che si fonde con l’impegno nel sociale, che poi ho trasferito anche nel mio lungo corso da parlamentare. Vado fiero dei miei vent’anni di calcio, quanto i 22 anni di politica». Il senatore e totem della Democrazia Cristiana Giulio Andreotti sosteneva che il “potere logora chi non ce l’ha”. «Andreotti aveva ragione su questo e su molto altro. La Dc mi ha accolto e mi ha sempre sostenuto, pur non avendo mai preso la tessera del partito».

Promosso dal Palazzo della politica dove Rivera ha incrociato il Cavaliere che gli chiuse le porte del Milan. «Chi è stato davvero Silvio Berlusconi? Una persona che ha pensato molto a se stesso e poco al bene del Paese. Nel Milan se c’era qualcuno che potesse fargli ombra come il sottoscritto non lo voleva. Ha fatto così anche con Paolo Maldini. Ora gli americani hanno fatto peggio con Paolo, l’hanno cacciato perché volevano vincere senza dargli le risorse necessarie per farlo.

Tavecchio mi voleva ct della Nazionale, se ora Gravina mi chiama io ci sono
Destino delle bandiere, essere scomodi e invisi al Palazzo del calcio. Però qualche anno fa Gianni Rivera era riuscito a entrare dalla porta principale della Federcalcio ed era diventato presidente del settore tecnico della Figc e in questa veste aveva incrociato ancora una volta la città di Catanzaro. Era il 29 febbraio del 2016 quando Gianni Rivera tornò a Catanzaro insieme all’allora presidente della Figc Carlo Tavecchio per l’inaugurazione del Centro Tecnico Federale.

Gianni Rivera nel suo discorso aveva puntato l’attenzione su due aspetti fondamentali: il primo riguarda l’approccio dei genitori all’attività sportiva dei figli. Rivera ha ricordato loro che un bambino su trenta mila che iniziano a giocare a calcio ha la fortuna di arrivare in Serie A: proprio per questo motivo aveva invitato i genitori ad educare i propri figli prima allo studio e successivamente all’attività sportiva. Il secondo aspetto ne è una diretta conseguenza: grazie allo studio si diventa dei buoni cittadini, rispettosi delle regole e di sani principi. Rivera aveva augurato alle bambine ed ai bambini prima di tutto di diventare buoni cittadini, i successi sportivi ne saranno una logica conseguenza. Per Rivera il programma dei Centri Federali Territoriali è un’attività che vive e parla di calcio, per questo ha un grandissimo valore.

Con Tavecchio, Rivera aveva un grande feeling. «Dopo Ventura mi voleva ct della Nazionale, ma qualcuno pose il veto perché non avevo ancora preso il patentino da allenatore… Per altri tecnici invece hanno lasciato correre». Tipo per Roberto Mancini che ora ha lasciato libero quel posto di ct. «E io ho appena mandato un messaggino al presidente della Federcalcio Gravina dicendogli che se vuole ci sono. Ho 80 anni è vero, ma scusate: Paul McCartney, Mick Jagger ma anche il nostro Gianni Morandi fanno concerti tutte le sere, e allora io non posso andare in panchina? Tra l’altro faticherei molto meno di quando giocavo, non devo neppure correre». Se il sogno di allenare non si avverasse il piano B è ancora prendere in mano il Bari. «Con una cordata di imprenditori locali se il Bari fosse stato promosso in A la trattativa con De Laurentiis era bene avviata, resta comunque in piedi».
Il nostro calcio invece barcolla, oggi un 15enne che debutta in Serie A è un’utopia e la colpa dicono che è sempre dei troppi stranieri. «No, la colpa è degli italiani che fanno scelte scellerate. Due secondo me sono i mali principali del nostro campionato: in campo si gioca un calcio troppo fisico, lontano anni luce dalla mia filosofia, e fuori imperano i procuratori che tengono in pugno i loro assistiti e spesso anche i club. Un mondo scandaloso? No, io lo dico da tanto: il calcio non è né meglio ne’ peggio, è come tutto il resto». Parola di Gianni Rivera, l’eterno golden boy del calcio italiano.