Giginu ‘u Zorru

A Luigi Pennino succederà Luigi Palermo detto Giginu ‘u Zorru, un personaggio da romanzo che aveva assunto quel suo strambo nomignolo, Zorro, dal segno di una ferita a forma di Z inferta col coltello sul viso di un avversario.

Negli anni settanta la malavita cosentina era governata da questo boss all’antica i cui interessi principali risiedevano nel contrabbando di sigarette e nello sfruttamento della prostituzione, attività quest’ultima che gli valeva il disprezzo delle ‘ndrine (famiglie) e dei locali (raggruppamenti di famiglie) del resto della Regione, dal Crotonese al Vibonese passando per il Reggino.

La malavita cosentina era rozza, i contrasti venivano spesso risolti a coltellate o con improbabili duelli a colpi di rivoltella, scimmiottati dai peggiori film dell’epoca. Giginu Palermo regnava incontrastato sul locale cosentino e quindi sulla città, trascorrendo le sue giornate al Bar Nettuno di via Montesanto, al Bar Cimbalino di Piazza Riforma o al Caffè Luciani di Piazza Valdesi, osservatorio privilegiato, quest’ultimo, sul quartiere a luci rosse della città, Santa Lucia.

Era senza dubbio un uomo di rispetto, ‘u Zorru, uno che come cantava Totonno Chiappetta (in “Giginu u niagliu du Cimbalino”) portava “a ru mignolo l’anello“, segno di rispetto, “e na tufa (pistola) ‘ntru borsello“, segno di potere e forza.

Giginu Palermo era solito ripetere agli inquirenti, che di tanto in tanto lo convocavano in questura, che Cosenza era, in fondo, “una città stabile e serena, dove si sta bene, dove è tutto a posto“: era vero, non vi erano spargimenti di sangue, non vi era violenza diffusa, fors’anche a causa della ferma opposizione del boss all’introduzione sul territorio dell’attività sulla quale le cosche del Reggino e del Vibonese già prosperavano, ovvero lo spaccio di sostanze stupefacenti.

E così, mentre ‘u Zorru regnava sulla città apparentemente tranquillo, gli uomini a lui più vicini già sgomitavano per ereditare il suo scettro e accordarsi con le cosche del resto della Regione per incrementare i traffici illeciti e aperti alla droga nel territorio cosentino.

Il 14 dicembre 1977, due killer freddarono Giginu Palermo nei pressi del cinema Garden: con la scomparsa del vecchio patriarca, la malavita cosentina sarebbe cambiata per sempre.

Dopo quello di Za Peppa, l’omicidio di Luigi Palermo è la pietra miliare per la categoria dei delitti eccellenti a Cosenza.

Luigi Palermo detto Giginu ‘u Zorru, il vecchio capo della mala, sta tornando a casa, a Torre Alta, via Montevideo, sulla sua Mercedes scura.

I killer lo seguono affiancandolo improvvisamente con un’altra autovettura quasi di fronte al cinema Garden di Rende. Costretto a fermarsi con uno speronamento, Palermo viene ammazzato con quattro colpi di pistola calibro 38 esplosi da distanza ravvicinata.

Le indagini rasentano il ridicolo. Lo sanno tutti che l’omicidio è stato ordinato da Franco Pino ma nessuno ha il coraggio di denunciarlo e men che meno Procura e forze dell’ordine prendono l’iniziativa.

L’unico indizio raccolto (ma proprio perché non se ne può fare a meno) sono le tracce di vernice della macchina usata da Franco Pino su quella di Giginu u Zorru.

E così Pino viene finanche arrestato con Alfredo Morelli e Giuseppe Irillo ma senza lo straccio di un testimone e altre prove, gli indizi della vernice sono davvero ben poca cosa.

Insufficienza di prove e archiviazione: così Franco Pino è scagionato dalla giustizia cosentina. Ma la cosa più grave è che più di vent’anni dopo, quando scatta l’operazione Garden e partono gli altri processi correlati, non si trova più traccia della sentenza di archiviazione e sarà addirittura necessario rifare il processo. E così, solo nel 2002, dunque 25 anni dopo, Pino sarà condannato per quest’omicidio quando ormai è già passato dalla parte dei pentiti da un bel po’.