dalla pagina FB di Gioacchino Criaco
L’indissolubile rapporto fra Milano e le Anime Nere
Una lotta infinita, a volte s’inabissa, sembra scomparire, poi torna alla ribalta, si prende spazio sull’informazione, si fa bestemmia, stigma. Almeno ogni dieci anni le forze della repressione mettono in luce un esercito di fantasmi con l’accusa di essersi appropriati di un ambito economico di Milano: a volte la movida, i lavori della metro, il Comune, lo stadio, lo smaltimento dei rifiuti, le aste, la sicurezza, il movimento terra, la ristorazione. Che sia divertimento o lavoro puro, giorno o notte, Milano finisce per incontrarsi con una parte buia che non si fa guidare dai codici repubblicani. Ed è inevitabile che dove ci siano i soldi non provi ad infilarsi il tessuto criminale, qualunque sia il posto, a qualunque latitudine. Ed è impossibile dissolvere il legame attraverso, solo, la risposta giudiziaria. Il problema è di modello, è ambientale, è culturale, trova radici in città ma anche in posti lontanissimi da essa. Milano ha il vantaggio di essere il centro economico del Paese, questo attira pure problemi.
E Milano ha questo rapporto che ormai si fa antico con quella parte, minima rispetto a un totale di indefettibili lavoratori, di Calabria che ha scelto di muoversi alla velocità della luce sapendo che in breve verrà fermata dall’acciaio delle manette o dal piombo delle pallottole. C’è una Milano che ha bisogno di legni storti, c’è una Milano che ama i banditi. C’è un modo di produrre soldi e divertimento che a volte solo attrae e altre li vuole proprio i criminali. Perché capita pure che i meccanismi economici siano più veloci attraverso modi spicci. Ogni banda lo vuole almeno un bandito calabrese, perché (nel male) sono quelli più efficienti, o reputati tali. Perché nell’immaginario la forza criminale calabrese soppianta le altre, ci sta sopra a protezione e garanzia. Qualunque affare debordi da binari legali o presuntivamente tali che, l’economia più pura, è comunque una schiacciasassi, si mette in seno un calabrese(di quella assoluta minoranza di cui). Ogni gruppo si organizza per sbandierarne uno, a volte accontentandosi di panni vecchi e scoloriti che hanno già vissuto mode e vite e onde passate.
La verità è che la borghesia milanese sappia benissimo che i treni caricati solo a soldi siano destinati a deragliare, però marciano alla grande, si imbarca si imbarca e a giro si tira il freno per sbattere a terra i portoghesi. Si ripulisce un vagone degli abusivi mentre in coda un altro vagone già comincia a riempirsi.
I buoni si riprendono i salotti, i posti in prima fila ai concerti, allo stadio, al ristorante. E il ciclo si ripete. Serve certa gente per far funzionare le cose in un certo modo, se si sceglie di far funzionare tutto in un certo modo. Serve certa gente per divertirsi in un certo modo, se si sceglie di divertirsi in un certo modo. Poi si chiama giro, i calabresi (quelli, pochi, di cui) tornano a essere calabresi e la ricchezza si spruzza un profumo nuovo su una coscienza solita, vecchia. E la ndrangheta c’entra e non c’entra, perché nonostante le leggende non può e non vuole entrare nelle cabine di regia della finanza, in terra d’origine invece disgrega, bastona, impoverisce e produce il materiale che poi andrà a riempire i vagoni.
Perché il ciclo si chiuda servirebbero due condizioni: l’irreprensibilità del modello economico a Milano e lo sviluppo vero di certe aree disagiate calabresi. Fintanto che ciò accada ci sarà una borghesia poco illuminata a molla, si ritira e si rinchiude nei salotti polverosi e poi scatta e si riprende lo spazio in un andirivieni che continuerà a ripetersi.